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Per gli immigrati che vengono a lavorare nel nostro paese la casa è un miraggio.
Due storie per cercare di capire le difficoltà di migliaia di lavoratori

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alle Ande agli Appennini. O meglio, alle Alpi. Ma quella di Sole non è una storia da libro Cuore, è la vita reale. Della nostra testimone sudamericana non diremo il vero nome perché grazie alla lentezza della burocrazia italiana ancora non è regolare, nonostante abbia presentato la domanda e ogni documentazione necessaria. Lasciato il suo paese per assicurare un futuro migliore ai suoi figli, in attesa di poter arrivare in Europa Sole è stata prima in Bolivia, con documenti falsi. La prima tappa nel vecchio continente è stata la Francia, dove ha abitato per un mese in casa di una signora, mamma di un ragazzo con cui aveva compiuto il viaggio transoceanico.

 

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"Grazie" di Cecilia Viganò


Una casa? No, un "posto letto"

La sua meta, però, era fin da subito l'Italia, dove poteva contare sull'appoggio di alcuni familiari. Qui, le "case" in cui Sole ha abitato sono sempre stati monolocali, e sempre condivisi con altri connazionali: per far fronte ai 700 euro di affitto, spese escluse, non ci sono molti altri modi, soprattutto visto che molti dei loro guadagni vengono inviati in patria, cosa che noi italiani abbiamo fatto per buona parte del Novecento. Dato che nessuno di loro è ancora regolare, il contratto è firmato a nome di un altro immigrato che è invece in possesso del documento. Quando le si chiede dove vive adesso, Sole non risponde «in una casa», ma «in un posto letto». E come lei, molti altri darebbero la stessa risposta.

Per lavoro, fa le pulizie in molte case della nostra zona, e in ognuna si trova bene, dice. L'unico vero peso della vita che conduce qui è l'impossibilità di tornare al suo paese per rivedere i suoi figli, finché non otterrà il tanto sospirato documento. L'analisi che fa della propria situazione, però, è lucido: «In questo momento trovare una casa è difficile per tutti, italiani e stranieri – dice – anche se per noi ci sono difficoltà in più. L'affitto significa dare via dei soldi che non rivedrai – aggiunge un po' mestamente – mentre sarebbe bellissimo pagare per qualcosa che alla fine rimarrà tuo. Ma come si fa? Non ci riescono alcuni italiani – prosegue – figuriamoci persone che vengono da lontano».

 

Se la casa è il posto di lavoro

Maghdi, invece, ha una storia differente, perché non è regolare, ma italiano. È arrivato qui dall'Egitto da più di vent'anni, quando ancora gli immigrati sporchi brutti e cattivi erano gli italiani meridionali, non gli stranieri. Anche lui ha vissuto per un po' dalla sorella, che già viveva qui, finché non ha trovato un primo impiego e un alloggio. «Gli egiziani – spiega – non si spostano mai in paesi dove non conoscono nessuno, dove non possono contare nemmeno sul più piccolo aiuto». È una comunità in cui ci si aiuta solo tra parenti, o anche fra estranei? «Assolutamente anche fra estranei – risponde sereno – se adesso venisse un ragazzo senza alcun appoggio, cercherei di aiutarlo per trovare un lavoro e cominciare la sua vita qui».

Maghdi ha lavorato in Italia soprattutto nella ristorazione, ma ha fatto anche l'operaio. Le sue prime "case" erano degli alloggi all'interno degli stessi luoghi di lavoro. A poco a poco, è riuscito ad aprire direttamente lui alcune attività, ed ora ha un suo Doner Kebab in via Lecco (uno dei migliori della città, NdA), dando lavoro ad altri immigrati. Anche lui vive in affitto a 700 euro al mese, dividendo le spese con altri inquilini. Tutto sommato, si può dire che Maghdi sia uno che ce l'ha fatta. Ha potuto lavorare onestamente in un paese ricco, ma non ha mai perso i contatti con il suo paese. Anche adesso che ha la doppia cittadinanza, il suo cuore è ancora completamente egiziano.

Soltanto due storie in rappresentanza delle migliaia di residenti stranieri in Brianza (nella sola Monza 9410 unità, pari al 7,79% della popolazione residente totale, al 1° gennaio 2008; fonte: Ufficio statistica del comune). Sono però indicative di un fatto: sia chi ancora cerca la regolarizzazione sia chi addirittura si è già meritato la cittadinanza italiana fatica molto a trovare una sistemazione stabile, premessa indispensabile perché ci si possa radicare in un territorio, sentirsene parte. Certo, alcuni brianzoli "doc" in camicia verde o azzurra saranno ben contenti che questi residenti di serie B non riescano a sentirsi a proprio agio, così magari "torneranno a casa loro". Intanto, questi lavoratori proseguono la ricerca di un futuro migliore con tutte le loro forze.

Gli autori di Vorrei
Simone Camassa
Simone Camassa

Nato a Brindisi il 7 maggio del 1985. Insegnante di Italiano, Storia e Geografia nella scuola pubblica, si è laureato in Lettere, in Culture e Linguaggi per la Comunicazione e in Lettere Moderne, sempre all'Università degli studi di Milano. Suona la chitarra elettrica (ha militato in due gruppi rock, LUST WAVE e BLACK MAMBA) e scrive poesie.

Appassionato di sport, ha praticato il nuoto a livello agonistico fino ai diciotto anni, per un anno ha anche giocato a pallacanestro. Di recente, è tornato al cloro.
È innamorato della letteratura in tutti i suoi aspetti, dalla poesia fino al fumetto supereroistico statunitense. Sogna di realizzare un supercolossal hollywoodiano della Divina Commedia, ovviamente in forma di trilogia e abbondando con gli effetti speciali.

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