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Tangentopoli è ancora attuale?
Intervista al giornalista Romano Bonifacci che coi fatti di Mani Pulite ci lavora da anni.

 

Romano Bonifacci è un giornalista oggi in pensione dopo una vita trascorsa nella redazione milanese de l’Unità. Su Tangentopoli ha messo in piedi addirittura un archivio. Siamo andati a trovarlo a casa sua.

 "La storia di Tangentopoli che sto costruendo in silenzio,  forse troppo, e da solo, parte  da quel fatidico 18 febbraio 1992, giorno dell'arresto di Mario Chiesa, e arriva fino ai giorni nostri.  Un periodo di 17 anni abbondanti. Per il momento, si intende.  L’archiviazione continua".

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Quali documenti ha raccolto, Bonifacci?
Nulla di segreto o di trafugato chissà dove. I giornali dell’epoca: una decina almeno di quotidiani e i maggiori settimanali nei primi 5-6 anni, un po’ meno negli anni successivi. Con i fatti, i commenti, le reazioni, i nomi dei protagonisti in Italia e anche all’estero, nel bene (pochi) e nel male (tanti ), che essi pubblicarono. I ritagli cartacei li conservo in un  ampio spazio concessomi dall’Archivio del Lavoro di Sesto San Giovanni per il periodo febbraio ’92 – agosto 2002 e in un altro messomi a disposizione dal sindacato dei pensionati Spi Cgil di Monza per il periodo settembre 2002 – giorni nostri. I ritagli sono stati raccolti sulla base di un obiettivo semplice almeno all’inizio ma preciso, al ritmo del principio: un giorno, una busta.

Perchè l’ha fatto?
Innanzitutto perchè ritengo l’onestà e l’etica indispensabili  per la politica, li definirei anzi  pregiudiziali. I programmi e le divisioni  vengono  dopo. Altrimenti -  anche se si è animati dalle migliori intenzioni - si concorre a dare  solide basi all’antipolitica e si finisce in un baratro cadendo nel quale è difficile immaginare le conseguenze. La politica è troppo importante: per questo va salvaguardata da fatti e uomini miserevoli.

Ci saranno state  anche altre ragioni, immagino.
Certamente. Tutto questo lavoro, di registrazione e raccolta, l’ho fatto perché ritengo non si sia riflettuto abbastanza su Tangentopoli e dintorni, sulla moralità e sul costume. Dell’uomo pubblico, innanzitutto, e poi anche di tutti gli  altri.  Si è parlato molto, ci si è difesi, si è attaccato, si è polemizzato ma - lo ripeto -  riflettuto poco, o quasi niente. Più d’uno, a destra, al centro e a sinistra, attende ancora una risposta. Molti fatti sono stati dimenticati, oppure sbrigativamente definiti - da una parte e dall’altra – “pericolosi attacchi alla democrazia”. Ci si è dimenticati di cos’era l’Italia in quel periodo nel quale quei fatti invece sono stati portati alla luce con un ritmo veramente impressionante. Colpa della magistratura? Assolutamente no, la magistratura andrebbe  ringraziata. E molto, anche. Colpa piuttosto del malaffare imperante. Rinfrescare la memoria, dare il significato giusto a quei fatti è ancora possibile. Non è mai troppo tardi per studiare e fare storia in maniera corretta uscendo dalla fumosa e sterile polemica quotidiana.

E la magistratura come ne esce?
Fondamentalmente bene. L’ho già detto, la sua parte l’ha fatta per intero in mezzo ad un mare di difficoltà, di diffidenze e di ostacoli  posti da una politica che tentava di sopravvivere all’enorme disastro morale provocato, spesso spacciato per innovazione. È anche per rendere merito alla sua azione (ed è la terza ragione della mia scelta) che mi sono messo all’opera. A mio avviso la magistratura  ha compiuto per intero il suo dovere nell’interesse del Paese e di quella stessa componente  dormiente e accondiscendente al suo interno che tuttora esiste. Altro che toghe rosse. La stessa cosa non si può dire della politica. Si è macchiata di fatti gravi, ma chi può dire se ha imparato la lezione? Le autocritiche, tanto in voga qualche tempo fa, di questi tempi scarseggiano. Eppure partito per partito, istituzione per istituzione, una discussione pacata sulle ragioni del disastro morale ed etico nel quale era precipitato il Paese i politici avrebbero potuta iniziarla. Niente, tutto archiviato e in gran parte rimosso. Risultato: l’Italia di oggi. Dove c’è chi mette sullo stesso piano chi delinque e chi giudica. È una vergogna.

Cosa pensa sia cambiato (ammesso che qualcosa sia cambiato) dal punto di vista della corruzione, quantitativamente e qualitativamente, nel 2009?
Niente dal punto di vista della “quantità”: corruttori e concussori operano a pieno ritmo a tutti i livelli, sia in basso che in alto. Siamo in testa alle classifiche mondiali. I Partiti e i loro tesorieri sul fronte delle tangenti oggi sono più avveduti, anche se in fatto di moralità, di etica e di rinuncia a privilegi scandalosi hanno ancora un bel po’ di strada da fare. Sono mafia, camorra e 'ndrangheta - lo avete raccontato anche voi di recente  parlando della Brianza -  che ora fanno correre la mazzetta. E non solo quella, purtroppo.

La riflessione di questi ultimi anni sul giustizialismo del biennio ’92-’93 è semplice e legittimo garantismo o solamente un modo per giustificare il fatto che ciò che è uscito dalla porta a volte è entrato dalla finestra?
Io non accetto il termine "giustizialismo" applicato a quel periodo. Come dimenticarsi dello stato di corruzione di quegli anni ? Non c’erano solo le tangenti ai politici e ai loro Partiti. Basta consultare questa sorta di libro mastro di Tangentopoli che è poi il mio archivio. Contiene migliaia di nomi. Ci sono quelli dei politici famosi, quelli dei politici di mezza tacca e infine quelli di sconosciuti, e sono tanti: semplici cittadini, imprenditori, funzionari, preti, militari di tutte le Armi, amministratori locali di grandi e piccoli centri. Rappresentano la più eloquente dimostrazione che in Italia esisteva allora un vero e proprio sistema nel quale spesso  bastava avere un poco di potere per esercitarlo a scopo di corruzione. I giornali dell’epoca ci dicono che la tangente era diventata la norma. In alto e in basso. Certa politica aveva purtroppo fatto scuola.

A sentir lei c’è poco da stare allegri.
Mi consenta una battuta finale: nei giorni scorsi l’occhio mi si è posato sul 10 maggio 1992. Quel giorno Silvio Berlusconi affermò: “In venti anni di attività imprenditoriale non mi sono mai piegato". E due giorni dopo aggiunse: “ Pagare tangenti non è obbligatorio”. È vero, ma allora perché  mi è venuto da ridere?

Gli autori di Vorrei
Antonio Piemontese
Antonio Piemontese