A Monza per presentare il suo ultimo libro, Barbara Schiavulli svela la sua missione: raccontare la guerra come la vive la gente. Perchè non tutto è come appare in televisione.
Anima giramondo. Una che ha avuto il coraggio di andare a caccia della verità anche a rischio di guardare la morte in faccia. Barbara Schiavulli, 37anni, giornalista freelance, scrive per l’Espresso e La Stampa. Ieri sera è venuta a Monza per presentare il suo ultimo volume “Guerra e guerra”. Tratti orientali, modi garbati ed eloquio preciso, la reporter, una delle poche ad andare ancora in Iraq, nonostante l’età, di esperienza ne ha da vendere. Nel suo carnet, tutti gli scenari di guerra più importanti degli ultimi anni: oltre all’Iraq, l’Afghanistan, lo Yemen, Haiti. Visitati per raccontare poi negli articoli le storie che viveva. Storie di vita vera.
Come quando un imam intervistato da pochi giorni la cerca per ringraziarla e donarle un “pacco regalo”, facendoglielo però recapitare direttamente nella cabina dell’aereo con cui lasciava il paese. Immaginarsi la fifa sua e dei passeggeri del volo per il simpatico omaggio. O quella degli americani arrivati in Israele per assistere ad un matrimonio, e che invece delle nozze si sono trovati a partecipare al funerale della sposa, morta il giorno prima della cerimonia in un attentato. O ancora, quelle dei traduttori che l’hanno accompagnata nel corso dei suoi viaggi, spesso ex professionisti senza lavoro, alcuni dei quali sono morti, altri sono ancora vivi e “operativi”, e che sono i primi a rischiare la vita nell’ipotesi tutt’altro che remota di un sequestro.
Appena rientrata dall’ennesimo viaggio, la Schiavulli ha risposto con affabilità alle domande del pubblico. “In Yemen, dove da qualche tempo si dice ci sia il nuovo quartier generale di Al Qaeda, ci sono 60 milioni di armi e 25 milioni di abitanti: questo dà un’idea del rapporto della popolazione con la violenza. In Afghanistan si combatte da 40 anni. I giovani di adesso, nonostante laggiù avere 40 anni significhi essere già vecchi, non hanno mai conosciuto la pace. Non sanno che cos’è, non riescono a descrivere il concetto, per cui è molto difficile per loro venir fuori dalla situazione in cui si trovano ora. In Iraq non va meglio. Per 30 anni c’è stato Saddam, che era sunnita. Poi, dopo la sua caduta, al governo hanno messo gli sciiti: era invitabile che si scatenasse una guerra civile. Servono decenni per dimenticare i soprusi”. Qualcuno chiede se sia possibile esportare la democrazia. “Io credo che ogni paese tenda naturalmente alla democrazia. Ma non tutti sono pronti”. Lo sarebbe l’Iran. “Ma il problema in questo caso è la minaccia che noi occidentali costituiamo per loro. All’opposto c’è la Siria, che invece è una dittatura, ma abbastanza stabile. Se si decidesse di farle guerra, potrebbe diventare un altro Iraq”. Neanche lo scontro di civiltà appare una teoria convincente per la Schiavulli. Si tratta di un concetto, dice, che non trova riscontro nella realtà.
“Scontro di civiltà? Una bella targhetta da applicare alla guerra. Ma quali sono le civiltà di cui si parla? Al mondo non ci sono solo quella musulmana e quella cristiana. E la gente araba non la pensa così. C’è una componente di fondamentalisti che fanno notizia, e una, largamente maggioritaria, di persone che vanno in moschea ma che non ce l’hanno con l’Occidente. Al Qaeda si è legata alla causa dei palestinesi: ma della Palestina non gliene importa nulla. Ha trovato conveniente sposarne la causa perché sa che è il punto debole dell’Occidente. Ma il fatto è che molti di quelli che hanno voluto la guerra, in Iraq non ci sono mai andati. Anzi, Bush e Blair che avevano mentito sulle armi di distruzione di massa adesso sono in giro per il mondo a far conferenze....”.