20100228-librogrigio

Pippo Civati e Carlo Monguzzi pubblicano un dossier sull'operato del presidente lombardo «Dalla A di Arese alla Z di Zero donne, passando per la C (e la L) di CL, la I di Idrogeno e la S della Santa Rita. C’è anche la H di Haiti». Da scaricare. Ecco l'introduzione

 

Riceviamo e pubblichiamo.

Il volume completo in pdf si può scaricare da qui.

 

Passano, gli anni passano. Nel 1995, quando Formigoni è diventato presidente della Regione la prima volta, c’era la lira, l’Italia aveva appena perso i Mondiali per un rigore sbagliato da Roberto Baggio, il primo governo Berlusconi era già caduto.

Una generazione fa. Il più longevo politico italiano che, oltre a bearsi dei propri successi, dovrebbe anche chiedersi che cosa è successo in Lombardia in questi anni, senza ogni volta dare la colpa a qualcun altro, senza scaricare il barile (e, pensando alle bonifiche, di barili ce ne sono parecchi) su questo o quel governo e su questo o quel comune. Anzi, sugli stessi governi che ha contribuito ad eleggere e sugli stessi comuni che in questi anni non ha voluto ascoltare.

Cielo grigio su cielo grigio su. Foglie gialle giù. Questo libro grigio è dedicato a Roberto Formigoni, la figura politica che in quindici anni di ininterrotto esercizio del potere (c’è una legge del 2004 che impedisce più di due mandati, lui si appresta invece ad essere presidente per la quarta volta consecutiva) ha prodotto un sistema che oggi è più sfilacciato di quanto non appaia, fortunatamente in una Lombardia che funziona e in molti ambiti è eccellenza a prescindere dall’uomo più sensibile a telecamere e flash della storia lombarda.

Non c’è solo la magistratura, che fa il suo dovere e indaga quando ve n’è motivo senza guardare l’orologio (soprattutto se l’orologio, come nel caso delle bonifiche, è regalato da un operatore sotto inchiesta…), ad aver aperto crepe importanti nel feudo formigoniano. Anche i comuni cittadini si stanno accorgendo delle lunghe liste d’attesa per una normale visita medica, dell’addizionale Irpef più cara d’Italia, dei treni sporchi, freddi e troppo spesso in ritardo, delle scuole pubbliche abbandonate a loro stesse dal governo Berlusconi ma anche da Formigoni, che preferisce riversare una pioggia di contributi regionali a chi manda i propri figli a quelle private (400 milioni dal 2001), anche se è ricco e del contributo potrebbe farne a meno.

Se ne stanno purtroppo accorgendo anche gli anziani e le mamme che passeggiano con i loro bambini lungo strade e piazze sempre più inquinate dallo smog, senza che l’uomo del trentesimo piano del Pirellone batta ciglio. Il “Celeste” continua a gongolare, fiero dell’unica grande opera realizzata nel suo lungo mandato: una nuova sede costata 400 milioni di euro provenienti direttamente dalle tasche dei lombardi.

Uno dei lavori che ha più impegnato il presidente e i suoi è stata l’occupazione sistematica dei posti nella sanità lombarda, che rappresenta l’80% del bilancio della Regione Lombardia. Anni di lavoro per consolidare un potere personale e di “corrente”, quella di Comunione e liberazione, per avere sempre più un ruolo, ma con molte resistenze nello stesso Pdl, su scala nazionale, nella speranza, sempre viva e mai nascosta, di succedere un giorno a Berlusconi.

Successione che Formigoni ha tentato più volte, nel corso della legislatura, candidandosi per andare a Roma nel 2006 e nel 2008, in cima alle liste bloccate della destra, lasciando in sospeso per mesi la politica lombarda: lunghi mesi di «vado o vengo», per mutuare un’espressione dialettale milanese. Voleva fare il ministro, di un ministero importante, ma Berlusconi questa opportunità gliel’ha sempre negata. Perché Formigoni, anche controvoglia, deve restare in Lombardia.

L’importante è apparire (l’ironica campagna di Repubblica avviata in questi giorni: «là dove c’è un flash… c’è Formigoni» calza a pennello) e minimizzare le crepe, deridere gli avversari anche di fronte all’evidente incapacità di risolvere problemi fondamentali e continuare a dare (i) numeri, ripetendo voci di bilancio, facendole comparire magicamente come se fossero nuove, per scoprire, poi, che sono sempre le stesse. Con i risultati che conosciamo.

Un sistema di potere. Un Consiglio svuotato delle sue competenze (e meno male che, grazie alla responsabilità del centrosinistra, alla fine di questa legislatura, è stato finalmente votato lo Statuto regionale), una giunta debole composta da personaggi spesso discussi, una presidenza autoreferenziale. E un sistema di enti strumentali, in cui questo potere si è puntualmente manifestato.

Prendiamo l’Agenzia per il lavoro (ora Arifl). Un sito web per l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro – il portale della cosiddetta Borsa Lavoro – che è costato quasi venti (20) milioni di euro (e pare funzionare molto poco, rispetto alle meraviglie promesse cinque anni fa), consulenze a profusione (una, di 500mila euro, al vicepresidente di Compagnia delle Opere), contratti di collaborazione come se piovesse (nel 2007, la situazione era questa: 1 direttore, 9 dirigenti, 172 contratti Co.Co.Co. – per un valore di 4 milioni di euro –, 91 contratti di consulenza – per un valore di 1 milione di euro –, a fronte di pochissimi dipendenti: a tempo determinato – 14 – e a tempo indeterminato – 20). In compenso, per prendere in considerazione solo uno dei progetti di punta dell’Agenzia, dedicato alla «valorizzazione del capitale umano» (espressione perfetta per descrivere la situazione), ogni 100 euro emessi via voucher ne sono stati spesi 63 solo per consulenze e servizi del progetto stesso.

Viene in mente la famosa dichiarazione di Formigoni in tv quando affermò, con voce stentorea, che la Lombardia avrebbe pochissimi dipendenti rispetto alle altre Regioni. Vero. Peccato che Formigoni non dica quanti sono i consulenti e i collaboratori della Regione, la più grande agenzia di lavoro precario del mondo. E questa, più che una legislatura costituente, come qualcuno l’ha presentata pensando al nuovo Statuto, è stata una “legislatura consulente”.

Del resto, durante il suo mandato sono successi fatti molto gravi, ma Formigoni ha sempre fatto finta di niente, o quasi: dagli arresti nella sua giunta, anche eccellenti (Prosperini, per sospette tangenti, ex assessore al Turismo, ancora in carcere), al consigliere regionale della sua maggioranza Gianluca Rinaldin (per sospetta corruzione), alle inchieste sulle bonifiche (e sui bonifici) che hanno portato in carcere personaggi come Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche in Lombardia, e la moglie del fedelissimo Giancarlo Abelli, Rosanna Gariboldi, ex assessore a Pavia, che ha patteggiato una pena di due anni. Anche di fronte al suo fedelissimo assessore all’Ambiente (che ammette di avere «il pallino del mattone»), a cui sono stati contestati direttamente e indirettamente abusi edilizi (per un assessore all’Ambiente non è male) Formigoni ha addirittura avuto parole di comprensione.

Un sistema di potere che costa soldi alla collettività: Giuseppe Grossi, incapace di condurre in porto con tempestività la bonifica dell’ex Sisas di Pioltello, ha prodotto l’ennesimo spreco di denaro dei lombardi, dato che i costi sono lievitati da 120 a 143 milioni (vedi l’ultima delibera di Giunta regionale approvata nel febbraio 2010 che certifica l’extracosto). Le inchieste sulla sanità hanno poi tolto il coperchio al sistema regionale di accreditamento delle cliniche private, alcune delle quali, hanno scoperto Guardia di finanza e magistratura, hanno truffato il servizio sanitario nazionale per parecchie decine di milioni di euro.

Ci sono poi i veri e propri flop infrastrutturali, come Malpensa, costata carissima alle tasche e all’ambiente dei lombardi (e degli italiani), e buttata alle ortiche da Berlusconi e Bossi, complice Formigoni, che per altro in tanti anni ha fallito nella sfida più ovvia: rendere raggiungibile l’aeroporto meno servito del continente. Insieme, Bossi, Berlusconi e Formigoni hanno dapprima affossato la “pista” Air France, compagnia disposta ad acquistare Alitalia e ad accollarsi i suoi debiti, e poi hanno puntato tutto sulla cordata di imprenditori riuniti in Cai, che hanno dato il colpo finale all’aeroporto varesino. Malpensa ha progressivamente perso la dimensione internazionale per cui era nato. Perché hanno puntato con troppa enfasi su un “hub” che non lo era, lasciando crescere, senza alcuna programmazione, gli altri aeroporti lombardi (a cominciare da Linate, che gli “strateghi” avrebbero voluto chiudere ma che, in questi anni, è cresciuto più di Malpensa, come, per altro, è accaduto anche a Orio al Serio). Ricordiamo che l’operazione Alitalia-Cai è costata al contribuente 4 miliardi di euro.

Quando la Regione ci si mette, però, i risultati arrivano. Una grande opera è stata in effetti realizzate e non possiamo far finta di niente: si tratta di un muro, quel muro sul lago di Como, un barriera paesaggistica posta dall’amministrazione del Comune di Como sul lungolago, con il finanziamento della Regione (e la sua approvazione). Un’opera destinata ad essere smantellata. A carico dei cittadini lombardi, come sempre.

Sui nodi da sciogliere, attività per cui ha avuto a disposizione quindici lunghi anni, come ad esempio il trasporto pendolare allo stremo, anche qui si contano più le chiacchiere che l’acquisto di nuovi treni: ne è arrivato qualcuno, ma solo alla fine del terzo mandato e c’è molto da fare ancora. Solo un dato: da quindici anni Formigoni è al potere ma non è mai riuscito a convincere i governi che via via si sono succeduti, compreso quelli “amici” come il Berlusconi secondo e terzo, a rivedere le somme destinate ogni anno dallo stato ai servizi ferroviari regionali, soldi indispensabili per migliorare velocità e puntualità, come gli scambi ad esempio o le linee aree: alla Lombardia da tempo è assegnata una quota di circa 7,6 euro a chilometro di rotaia, contro i 16 assegnati alla Puglia, o i 16,5 alla Campania. Nulla da dire alle altre regioni, ma perché Formigoni non riesce ad ottenere almeno altrettanto? Forse perché a Roma non lo ascolta nessuno?

È successo anche per l’acqua, che la Regione sembrava voler privatizzare. Con il concorso dei sindaci ‘referendari’ (con un’iniziativa dal basso più di cento sindaci avevano voluto protestare e proporre modifiche sostanziali della legge regionale), si era trovato un modello equilibrato, a cui gli estensori di questo piccolo libro avevano lavorato alacremente e con successo. Il decreto Ronchi e il voto del Parlamento (sostenuto anche da quella Lega che fa sempre il pesce – o, forse, la Trota – in barile) hanno di fatto cancellato la legge, spazzata via anche da una sentenza della Corte Costituzionale (che l’ha bocciata su un punto ritenuto critico da molti esponenti del centrosinistra). Ora l’acqua in Lombardia è da ripensare, anche perché il ministro dell’ambiente non ha dato ascolto a Formigoni e ai suoi assessori. Si ricomincia daccapo. E gli anni passano.

Poco, troppo poco ai treni e forse un po’ troppo alle autostrade: con una spesa prevista molto superiore ai 15 miliardi di euro, scrive Legambiente in un ricco dossier, Regione Lombardia ha in programma di realizzare oltre 589 km di nuove autostrade da qui al 2020: un raddoppio secco dei km della rete autostradale esistenti. Pedemontana, Tangenziale Est Esterna (TEM), BreBeMi, Cremona-Mantova, TiBre (Tirreno-Brennero), Broni-Mortara, Boffalora-Baggio, Val Trompia, a cui ora si aggiungono Pedemontana Bis, Nuova Tangenziale Ovest e il famigerato Tunnel sotto Milano: un elenco sempre più lungo che prosciugherà le disponibilità finanziarie delle casse pubbliche e degli istituti di credito, impedendo di impostare politiche più virtuose ed efficaci per la mobilità.

“Autostrade con contorno”, lungo le quali aprire, secondo l’assessore Cattaneo, una bella striscia di nuove edificazioni, servizi, centri commerciali, capannoni. Perché questi interventi servono a finanziare le autostrade e in alcuni casi ci si trova di fronte alla domanda: ma sono le case e i centri commerciali che finanziano le autostrade o le autostrade sono fatte proprio per poter giustificare la lottizzazione (e la speculazione) edilizia? Come la Broni-Mortara, esempio di un intervento che potrebbe essere risolto in modo molto più economico e senza dover costruire un’altra autostrada. Anche perché i finanziamenti che finora sono arrivati per le infrastrutture della Lombardia, sono venuti dall’“odiato” governo Prodi che in un anno e mezzo ha fatto più di Berlusconi dal 2001 a oggi.

Lo stesso vale per il piano Casa, fortemente voluto dal governo Berlusconi, che in Lombardia non ha dato i risultati sperati. Anzi, non ne ha dati proprio, di risultati. Forse perché non era l’intervento corretto per rilanciare un’economia che avrebbe bisogno di innovazione e non di mattoni (e, se di mattoni e cemento vogliamo parlare, ce ne vorrebbero di qualità). Forse perché la legge è stata fatta male. Forse perché non era necessaria.

Difficile, poi, parlare di sviluppo sostenibile, se non si tiene conto del fatto che in Lombardia 10 ettari al giorno vengono consumati da nuove edificazioni (la superficie del Duomo di Milano ogni tre ore). E nonostante questo la Regione, con continue riforme a colpi di maggioranza della legge urbanistica (una decina), ha tentato più volte di riproporre veri e propri assalti al territorio, in particolare ai parchi. Uno di questi è stata la cosiddetta norma “ammazza-parchi”, contro cui si è registrata una grande mobilitazione di tutto il centrosinistra in Consiglio regionale, delle associazioni ambientaliste, di buona parte dei parchi lombardi, dei cittadini, degli urbanisti e dei sindaci che nel marzo del 2009 hanno costretto Formigoni e il centrodestra (i mandanti) e la Lega (esecutori materiali con l’assessore all’urbanistica Davide Boni) a ritirare un provvedimento che avrebbe permesso alla Regione di dare l’ok ai progetti edificatori all’interno dei parchi anche se questi avessero espresso parere contrario nel confronto con i comuni proponenti varianti urbanistiche. Difficile immaginare che si possa parlare di mobilità sostenibile se si parla solo di strade, se l’unico intervento contro lo smog è un Ecopass striminzito, se gli investimenti per le metropolitane lunghe (non solo “cittadine”) sono sempre rinviati. Difficile spendere tutti quei miliardi per nuove autostrade e poi pensare che qualcuno voglia prendere treni sporchi, vetusti, spesso in ritardo, caldi d’estate e freddi d’inverno. Senza nemmeno la possibilità di avere un biglietto chilometrico, perché in quindici anni Formigoni non è nemmeno riuscito a mettere d’accordo gli enti ‘controllati’ da lui stesso (e dalla sua parte politica).

Viviamo in una regione in cui gli unici indicatori ambientali che sono cresciuti sono quelli che riguardano gli ettari di consumo di suolo e il quantitativo di materiale escavato, da amministratori che poi magari scrivono sui manifesti: «basta cemento». E la Regione aggiunge cave, al di là del fabbisogno, rispondendo a interessi particolari, senza preoccuparsi della “bellezza” del nostro territorio, a cui Formigoni aveva dedicato l’ultima campagna elettorale. Piani cave che, a volte, travolgono i loro stessi estensori, come l’assessore Pagnoncelli, che si è dovuto dimettere dopo il brutto pasticcio del piano della “sua” provincia, quella di Bergamo. Non abbiamo capito cosa abbia di ‘eco’ l’Ecopass e che cosa si stia facendo contro l'emergenza smog oltre ovviamente a negare che ci sia un'emergenza smog (non ci pare una soluzione del problema, negare che il problema ci sia e proseguire come se nulla fosse). Non abbiamo capito perché ci sia il bike sharing (finanziato anche con un emendamento del Pd in Regione) ma non ci siano le piste (eppure una legge sulla mobilità ciclistica, presentata dal Pd, è stata approvata in Consiglio). Non abbiamo capito perché non facciamo una battaglia, insieme ai green artigiani, per mantenere il 55% sulle ristrutturazioni e non coibentiamo un po' la politica lombarda, che disperde un sacco di energia e di calore (umano, in questo caso). Non abbiamo capito perché non si parta dagli edifici pubblici per lanciare la sfida dell'efficienza energetica e delle rinnovabili. Non abbiamo capito esattamente cosa voglia dire: «Nucleare sì, ma non qui da noi», come dicono Formigoni (e Zaia, ma anche Palese e Polverini, candidati dal Pdl nelle principali regioni in questa tornata elettorale). Come già ricordato, dovremmo fare in modo che in tutte le regioni vinca la destra, così affosseremmo il piano del nucleare di Scajola. Il «nucleare sì, ma non qui da noi» potrebbe trovare sede a pochi chilometri dai confini lombardi, a Caorso, ad esempio, o a Trino Vercellese, come un tempo. Al di là di queste balle nucleari ed elettorali, il fatto è economico e, come si diceva una volta, il problema è politico. Ed è un aspetto elettorale non secondario, perché la Lombardia potrebbe optare per l'ambiente attraverso la partecipazione dei cittadini, degli amministratori e del sistema delle imprese. Come i rifiuti negli ultimi vent’anni, ora tocca all’energia. E visto che "qui da noi" il nucleare non si farà, forse è il caso di impegnarci in modo diverso, diffuso e partecipato in una sfida nuova. Magari cercando di rinnovare la centrale formigoniana, la cui spinta propulsiva si è decisamente affievolita sul piano politico.

Anche sui diritti Formigoni non brilla, anzi, si è dimostrato nei fatti il politico lombardo e italiano più conservatore che ci sia, avallando tutte le battaglie più retrograde: dalle coppie di fatto, che non possono sperare nulla da Regione Lombardia, alle donne alle prese con eventi dolorosi, come l’interruzione di una gravidanza, un evento che richiede solidarietà e comprensione, ma che Formigoni “il fondamentalista” ha cercato di rendere difficile e complicato in tutti i modi: promuovendo e sostenendo l’obiezione in strutture pubbliche, oppure facendo ostruzionismo nelle sedi istituzionali, con un’opposizione ideologica alla RU486. Nella vicenda di Eluana, Formigoni ha forse dato il peggio di sé, bollando come «assassino», di fatto, il povero papà, Beppino, e ricattando, dalla sua posizione di massimo vertice regionale della sanità lombarda, gli ospedali regionali intenzionati ad ospitare le ultime ore di vita della giovane donna, in coma irreversibile da moltissimi anni. Muovendosi contro le sentenze, contro la legge, con un furore ideologico spaventoso.

Formigoni ha anche abdicato al suo ruolo su un tema in cui il suo background religioso gli avrebbe potuto consigliare di meglio: la convivenza e l’integrazione, temi appaltati integralmente alla Lega in Regione e al governo di decine di comuni lombardi. Formigoni, uomo enciclopedico, tende a occuparsi di tutto, fuorché degli stranieri. Ha dato il via a una curiosa danza della discriminazione, case solo ai lombardi, abbonamenti del trasporto pubblico negati anche a chi ha motivi sanitari per richiederli, come è accaduto a un cittadino egiziano. Una scandalosa legge contro i phone center, elaborata all’inizio della legislatura, fatta apposta per farli chiudere, bocciata in numerose occasioni dai Tar e definitivamente cancellata dalla Corte Costituzionale (però, intanto, i posti dove gli stranieri vanno a telefonare dall’altra parte del mondo, alle loro famiglie, sono stati in gran parte chiusi, in modo illegittimo e per volontà della Regione). E poi, alla fine del mandato, la legge contro i kebab, che ha coperto di ridicolo la Regione in tutto il mondo perché vietava il consumo del kebab (e del gelato) sul marciapiede antistante. Tettamanzi cristianamente protestava e gli assessori della Lega lo attaccavano, nel silenzio di Formigoni e dei “suoi”, per poi votare, tutti insieme, in Consiglio regionale una mozione di condanna dei loro stessi attacchi contro il cardinale.

Quanto al kebab, si è trattato di una brutta figura regionale e nazionale e, per una volta, anche internazionale, perché ne ha parlato anche il New York Times. Da sotterrarsi e non farsi vedere più. E invece ogni occasione è buona per andare in tv ad autocelebrarsi, inaugurando qualsiasi cosa capiti a tiro. Sotto il fuoco delle telecamere. Ma non in Consiglio, dove in cinque anni si è visto poco, molto poco. Quasi mai. Ma dalle statistiche risulta essere stato quasi sempre presente. Come ha fatto? Un miracolo.