Questione assunzioni, questione dei presidi che decidono tutto, la mancanza di educazione
Oggi prenderò parte allo sciopero degli insegnanti.
Vorrei far capire a quanti più lettori possibili perché ritengo necessario mettere in discussione il disegno di legge proposto dal Governo, in “poche” e spero chiare parole; mi auguro che, in questo modo, anche chi è lontano dalle dinamiche interne alla scuola abbia qualche elemento in più per riflettere.
Mi soffermerò su tre elementi principali.
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Primo elemento: la questione assunzioni.
Questa riforma nasce da una sentenza della corte europea che obbliga il governo italiano a stabilizzare quei docenti assunti e licenziati per più di 3 anni consecutivi. 250.000 persone in totale, un esercito che in questi anni ha tenuto in piedi il sistema scuola: in alcune scuole il personale precario supera quello di ruolo, giusto per comprendere di che stiamo parlando.
Di queste 250.000 persone, la promessa, nell’autunno scorso, fu di assumerne 150.000 entro settembre 2015. Operazione impossibile per tempi tecnici e copertura finanziaria. Da quella quota siamo oggi arrivati a 50.000 e voci accreditate dicono ci sarà un'ulteriore diminuzione. Per misurare la reale portata dell’iniziativa, peraltro, bisogna tenere in conto che l'anno prossimo saranno pensionati più di 35.000 insegnanti, che andrebbero - riforma si riforma no - naturalmente sostituiti.
Il disegno di legge cita numerose volte ‘merito' e ‘valutazione', ma non dice mai cosa il governo intenda con questi termini. Proviamo a desumerlo dalle proposte: i primi ad essere assunti saranno i docenti presenti nelle graduatorie ad esaurimento, cioè coloro che hanno quale unico merito di essersi abilitati prima del 2008. Questione quindi meramente anagrafica. Chi si è abilitato dopo: niente. Anche se nelle graduatorie ad esaurimento, su alcune classi di concorso, c'è chi non ha lavorato un solo giorno a scuola, c'è chi nel frattempo ha avviato un'altra attività. Valutazione? Merito? A mio parere qui non ve n'é traccia.
I futuri assunti continueranno ad essere invece reclutati tramite concorso, cioè proseguendo una tradizione irrazionale, specie se si pensa al fine dell'assunzione. Il sapere, ammesso che un concorso possa valutarlo in quattro ore, è solo una delle qualità di un insegnante. Al primo posto, ad esempio, potrebbero essere inseriti test attitudinali per escludere i docenti con problemi di relazione che oggi sono presenti nel mondo della scuola e che hanno superato brillantemente un concorso.
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Secondo elemento: la questione dei presidi che decidono tutto.
La scuola, lo ribadisco da tempo, non è un'azienda, non produce servizi che si possono contare, facilmente misurare. La scuola è un organismo complesso ed è, in primis, un luogo di relazioni tra persone, un luogo pubblico, un spazio in cui non si formano lavoratori, ma cittadini. Organizzare un serio sistema di valutazioni deve opportunamente passare attraverso il coinvolgimento e l’intervento di più voci (preside, comitato di controllo interno, ispettore, famiglie) e la valutazione deve essere non ante o post, ma in itinere.
Il disegno di legge, invece, avanza in modo meno democratico, e quindi meno adatto a creare una buona scuola: pone diverse delicate materie contenute nel disegno di legge in delega al governo.
Tra le materie delegate c'è anche la riforma degli organi collegiali, cioè quelli che oggi definiscono le linee di indirizzo sulle quali la scuola si muove e che sono decise insieme dall’intero corpo docente. L'idea di affidare al preside – e, in ogni caso, ad una o poche persone - il controllo, la valutazione e magari anche le decisioni in merito all'offerta didattica della scuola rappresenta culturalmente un passo indietro, oltre che, per chi conosce la realtà degli istituti e dei licei, qualcosa di evidentemente irrealizzabile.
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Terzo elemento: la mancanza di educazione.
L’idea di Renzi è stata quella di trasformare una procedura di infrazione in un'occasione da vetrina, dichiarando che è ora di rivoluzionare la scuola. La riforma nasce quindi da un tentativo di maquillage, da una specie di inganno ottico.
Peccato che la nostra scuola, che è buona, abbia bisogno di una seria manutenzione, non di rivoluzioni o capovolgimenti. Ne hanno bisogno i muri degli edifici scolastici, quasi tutti sotto gli standard di sicurezza previsti dalla legge: peccato che il Def tolga quasi 500 milioni di euro all’edilizia scolastica e li assegni alle scuole private.
Ne ha bisogno la didattica: assicurando ai docenti classi con meno di 22 alunni (come proposto nella LIP), assicurando agli alunni docenti che conoscano la loro materia e sappiano insegnarla (e non biologi mandati a insegnare geografia economica, o professori di matematica mandati ad insegnare informatica), creando quelle occasioni di lavoro condiviso con le quali davvero si può elevare il livello della didattica e dell'offerta, come ad esempio reinserendo le ore di compresenza.
Si parla di soldi da destinare al merito nel disegno di legge. Chi si impegna molto all'interno della scuola già oggi può essere ricompensato attraverso il fondo per i progetti di istituto, peccato che il governo abbia tagliato drasticamente le risorse e chi fa progetti per il potenziamento dell'offerta formativa, oggi, è nella maggior parte dei casi poco più di un volontario.
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Insomma, l'elenco delle contraddizioni potrebbe andare avanti ancora a lungo, ma per rispetto del lettore e della sua pazienza cerco di tirare le somme.
A mio modo di vedere, l'aspetto più grave di tutta l’operazione resta la mancanza di rispetto verso la classe docente (che dalle parole di Renzi e del suo entourage emerge sempre come un gruppo di ostili a cui “va spiegata” la riforma perché non l’han capita) e verso lo stato democratico. In democrazia la forma è sostanza e portare avanti una riforma della scuola a colpi di mano, delegando materie delicate (persino il contratto di lavoro) all'esclusiva del governo, non condividendo il percorso con le altre forze politiche, con i professionisti del settore e le loro rappresentanze, è mancanza di serietà e senso del ruolo.
Ulteriormente, qui, oltre a scarsa cultura istituzionale, ci troviamo davanti persino arroganza. Ultimo caso, proprio l'altro ieri, stizzito dalle contestazioni verso le proposte contenute nel ddl, il Presidente del Consiglio ha minacciato i docenti affermando che: “se il mondo della scuola continuerà ad essere ostile salteranno le assunzioni promesse”. Le assunzioni dei precari, di cui al punto uno, usate alla stregua di un’elargizione. Uno spiacevole tentativo di ricatto. Un motivo che, da solo, è valido per essere in piazza oggi a Milano.