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Un viaggio appassionante alla scoperta di un piatto poco brianzolo.  Ma che  importa? Il cibo da sempre è un modo per conoscersi, e ritrovarsi. E, qualche volta, per  aiutare chi  sta peggio.

 

È

una storia straordinaria. Ce la raccontano, venerdì 23, in una sala del Circolo cooperativo Libertà, di via della Libertà per l’appunto. Sono le ore 13 ed è l’ultimo venerdì del mese. Inizia (e finisce) a tavola quella che per statuto viene definita l’assemblea ordinaria degli amici (guai a chiamarli soci) del merluzzo fritto. Bella compagnia, una trentina di persone, uomini e donne, anziani e giovani. E all’ordine del giorno .... un piatto di merluzzo fritto.

Lo statuto della Associazione che al punto a) dell’art. 2 prevede ... di sviluppare e diffondere il soave piacere di gustare la prelibatezza del nostro merluzzo fritto, è pienamente rispettato.

 

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Niente discorsi, tante chiacchiere, risate a gogò. E poichè noi siamo lì a chiedere lumi su come sia nata l’idea di mettere assieme questi amici, c’è anche tanto amarcord. I più anziani fanno ovviamente la parte del leone. Ricordano, ad esempio, che ancora nel secondo dopoguerra e per parecchi anni, in piazza San Paolo, dalla parte dove ora sorge la sede della Banca Popolare di MI, c’era una pensilina sotto la quale si vendeva merluzzo fritto. Si, merluzzo fritto, proprio come si vendono le caldarroste nei mesi invernali. Il presidente onorario Lino Erba, 83 anni tra qualche giorno, racconta come la predilezione di quel piatto per i monzesi e dei brianzoli in genere sia radicata nel tempo e duri tuttora.

Ma c’è voluta l’inventiva di un gruppo di giovani architetti (Michele Erba figlio di Lino, Pippo Caprotti, Sandro Gnetti e soprattutto il vulcanico Gian Claudio Di Cinto, purtroppo scomparso), per trasformare quella predilezione in una vera e propria associazione. Essa fu costituita ufficialmente nel 2006 al numero 2 di via Dante, allo scopo previsto dal punto a) dell’articolo 1 dello statuto ma anche da quelli successivi : b) combattere il Fast Food a favore dello Slow Food ; c) ricercare, selezionare altre golosità regionali fedeli alla tradizione brianzola ; stimolare ed organizzare – e questo è il punto d) - viaggi gastronomici nonchè l’attuazione di ogni altra attività "... ove la gioia – udite, udite! - allaga et dove al convivio si mangi pietanze sortite d’antiche ricette et di credenza-bolliti, ravioli, latticini lo tutto innaffiato da vin onesto et altre cose tutte per lo palato...".

Sede operativa della Associazione la trattoria Basilio, a Vimercate, piazza Castellana (tel. 039 660266), un vero giacimento di merluzzo fritto, scoperto dall’architetto Sandro Guetti, gestito dalla famiglia Ronchi : il vecchio Basilio non c’è più, il figlio Ambrogio ne ha continuato l’attività che ora è nelle mani di Paolo, il nipote.

Oltre al presidente e al vice presidente, l’Associazione si avvale dell’opera anche di una segretaria, l’ efficientissima Matilde Ruol veneziana, pure lei architetto, e del tesoriere Angelo Zecca (cognome quanto mai di buon augurio per uno che si occupa di soldi). Già archiviate e ampiamente fotografate le “ trasferte “ a Venezia, Acqui Terme, Brescia, Como, Modena con visita finale alle Officine di Maranello. A Vicenza ci si è incontrati con i membri della Veneranda Confraternita degli amici del Baccalà ( alla vicentina naturalmente ). E ne è uscito un gran dibattito su come meglio cucinare il merluzzo nelle varie versioni di baccalà e stoccafisso. La questione è tutt’altro che semplice da dirimere. Alcuni addirittura spruzzano il merluzzo fritto di zucchero e giurano sia ottimo. E il migliore dove si cucina ? Chi se ne intende fa il nome della Trattoria degli Osti di Milano, zona Monumentale. Ma anche in Brianza, capitale della cassola e della busecca, un buon posto se lo è ritagliato anche il merluzzo fritto. E per noi, lo confessiamo, è una novità.

 

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Thomas Rowlandson, "Dinner". Hermitage, San Pietroburgo

 

Ma attenzione: nel caso dei nostri amici (perchè non dirlo?) quel piatto è anche un pretesto. Nobile, anzi nobilissimo. Innanzitutto per mettere assieme una volta al mese una cinquantina di persone che altrimenti non si incontrerebbero mai. Fanno mestieri diversi, abitano in quartieri distanti l’uno dall’altro, hanno età differenti : in una parola socializzano, si conoscono, ridono, parlano, vivono momenti completamente staccati dal tran tran quotidiano. Non è poca cosa. Ma vanno anche oltre : gli amici del merluzzo fritto finanziano direttamente e indirettamente (al tesoriere è stato ordinato di fare la cresta sul prezzo del pranzo) una associazione Onlus AfricaBogou (via Spluga 10, 2052 Monza, tel. 039 327425, fax 039 2319385) che opera nella Repubblica del Malì in Africa Occidentale. A Djinindjebougou, un villaggio di capanne, contribuiscono alla costruzione di una scuola, gli architetti del merluzzo fritto hanno fatto il progetto. Con 30 mila euro se ne metterà in piedi una, capace di 6 classi al servizio di 100 bambini di quel villaggio e di altri tre vicini , comprensiva degli alloggi per i maestri e degli arredi. Alcuni estati fa l’amico Emilio Caravatti, pure lui architetto, è montato in Vespa, si è imbarcato a Genova e, sbarcato a Tangeri, ha proseguito in motoretta, per centinaia di chilometri e nel deserto, sino nel Mali dove ha consegnato i fondi raccolti con il merluzzo e controllato lo stato di realizzazione dell’opera. Ha lasciato sul posto la Vespa ed è rientrato con un elenco di cose da fare e da acquistare. Il tutto è scritto su un bel cartoncino di Africa Bougou.

Dal merluzzo fritto al villaggio del Mali è certamente un bel salto, c’è da andarne fieri. Ovviamente non vige esclusiva alcuna : le porte della associazione sono spalancate. C’è posto per tutti : è sufficiente apprezzare il merluzzo, il baccalà e lo stoccafisso (punto b dell’art.6 dello statuto) ed essere persona di specchiata compagnia di “tavola e forchetta “. E di qualcos’altro, che si impara o si rinverdisce stando a tavola, nelle assemblee del venerdì di ogni fine mese. Bravi architetti!