La società civile internazionale insieme per una visione alternativa dell’esposizione universale e per la sovranità alimentare. Una tre giorni appena conclusa a Milano. Ne parliamo con il portavoce Giosué De Salvo
Foto di Maso Notarianni
Let’s make our Expo recita una scritta sul muro della città, una delle tante che manifestano l’indignazione di chi si oppone alla grande esposizione universale. Percorrendo le vie di Milano di ritorno dal primo giorno di Expo dei Popoli ho ripercorso con la mente la giornata del primo maggio, gli slogan dei militanti No Expo che credevano nel potere della loro marcia, l’arrivo dei black block, gli scontri, il fumo delle macchine. E la rassegnazione di chi in quegli ideali credeva davvero, ma si era visto amalgamare nello sdegno collettivo di fronte agli atti di vandalismo. Un mese dopo ecco arrivare un’altra risposta all’esposizione universale: si chiama Expo dei Popoli e di popoli ne ha raccolti davvero tanti.
14 reti, 50 Paesi rappresentati, 150 partecipanti con le proprie delegazioni, 400 persone ogni giorno in sala che si aggiungono alle altre 100 che hanno seguito le dirette in streaming: questi i dati ufficiali degli organizzatori. Le mattinate erano dedicate agli interventi dei singoli, mentre nei pomeriggi i delegati divisi in tavoli tematici lavoravano a quella che sarebbe poi diventata la risoluzione finale. Si è parlato innanzitutto di diritti, quali l’accesso all’acqua e alla sovranità alimentare. E poi di tutela dele biodiversità, di cambiamento climatico, di accordi di libero scambio. Si è poi discusso su come rendere “la sovranità alimentare un progetto politico”, come recita lo slogan sui manifesti.
Vi sono capitata quasi per caso, ma non appena ho varcato i cancelli della Fabbrica del Vapore ho percepito un’atmosfera di condivisione e mobilitazione. I veri protagonisti di questa tre giorni sono stati loro, i contadini, veri attivisti nelle rivendicazioni dei loro diritti in un’epoca in cui la loro attività è ostacolata da fenomeni quali il land grabbing, e grandi esclusi dall’esposizione universale. Nonostante non abbia mai mostrato interesse, la famiglia di mio padre era contadina. La terra, in un certo senso, appartiene alle mie radici. Eppure mai avevo pensato di considerare i contadini come “intellettuali della terra”, come li ha definiti Carlo Petrini. La mia è una generazione di universitari avvezzi all’attività intellettuale, pensare di tornare alle origini scegliendo la vita contadina è decisamente inusuale. Ma si è insistito sulla necessità di riportare i giovani al lavoro della terra.
Diversi gli interventi degni di nota, da parte di personaggi di spicco dell’ambiente agroalimentare, da Tristam Stewart a Carlo Petrini, passando per i diversi comitati quali la Via Campesina, il Movimento AgroEcologico Latino Americano o il CNOP di Ibrahim Coulibaly, che ha tenuto una breve lectio sul tema della sovranità alimentare come progetto politico. Due anche le serate di intrattenimento, che hanno visto sul palco Frankie Hi-Nrg Mc, da sempre sensibile alle tematiche sociali, insieme all’Orchestra di via Padova, e Giobbe Covatta insieme a Diego Parassole.
Curiosamente le principali testate del Paese hanno dato una minima rilevanza all’evento, salvo qualche comunicato stampa privo di intensità. Forse parlare di cose belle non è gradito ai più. L’evento si è concluso con l’intervento di Marta Benavides, attivista e vincitrice del premio delle Nazioni Unite per la creatività rurale, che ha urlato a gran voce «We belong to the planet». Prima ce ne ricorderemo, prima le cose cambieranno davvero.
Giosuè De Salvo, portavoce del comitato organizzatore di Expo dei Popoli. Ci racconti la genesi di questo progetto?
Expo dei popoli è un comitato di 50 organizzazioni no profit che si occupano del tema: Arci, Acli nazionali, Wwf, Legambiente, Slow Food, che è un socio della prima ora; Manitese, Actionaid, Oxfam, Accra-Ccs per citare il mondo delle ong; ma poi ci sono anche tanti gruppi di acquisto solidale, di economia solidale, cooperative, e poi c’è tutto anche il mondo del commercio equo solidale. È un comitato molto variegato che per tre anni si è ritrovato su questo sogno di realizzare l’Expo dei Popoli e quindi si è ritrovato per la necessità di offrire una ricetta alternativa alla sfida posta da Expo, immaginandosi fin da tre-quattro anni fa che il mondo dentro Expo avrebbe fatto da padrone a chi oggi sta facendo da padrone, quindi dentro Expo ci sono le multinazionali come le solite Mc Donald’s, Coca Cola e Nestlè che appaiono come i campioni della buona nutrizione. Noi ci scandalizziamo perché dentro Expo si rappresenta il mondo così com’è e quindi i sistemi agroalimentari così come sono, non quelli che noi vogliamo costruire, quindi con Expo dei Popoli stanno disegnando dei sistemi alimentari che siano veramente equo sostenibili, nell’accezione sociale, economico, ambientale e istituzionale. Lì dentro c’è la rappresentazione di com’è fatto oggi il sistema di produzione, trasformazione e distribuzione del cibo. Quindi l’idea è di ritrovarci e dare voce a quelli che sono secondo noi i veri protagonisti di questa grande sfida, i piccoli produttori di cibo, non solo contadini, ma anche allevatori, pescatori, pastori, piccoli artigiani, che producono il 70% del cibo che mangiamo, che sono i primi a dare lavoro ma paradossalmente anche i primi a soffrire fame e povertà e tutti gli effetti collaterali del sistema di mercato che è molto efficiente nel garantire grandi profitti a poche multinazionali e molto poco efficiente, direi inefficiente, nel garantire i diritti umani fondamentali e rispettare i limiti intrinseci della natura. Il nostro è un sistema finito, si stanno sorpassando molti dei suoi limiti, che si chiamano planetary boundaries e spesso non c’è una via di ritorno. Appunto qui, a Expo dei Popoli, protagonisti sono i piccoli produttori di cibo che abbiamo visto in questi tre giorni, e ci sono i loro alleati naturali, quindi le associazioni ambientaliste, l’ambiente dello sviluppo, il mondo del commercio equo e solidale, quello della finanza etica, che condividono una trasformazione del mondo che metta effettivamente al centro i diritti umani, il rispetto dei limiti del pianeta e la dignità di chi il cibo lo produce, oltre che la dignità della persona in senso più ampio.
Occorre mettere al centro i diritti umani, il rispetto dei limiti del pianeta e la dignità di chi il cibo lo produce
Voi vi considerate come alternativa a Expo, però siete andati a presentare il progetto alla Cascina Triulza. Cercavate di attirare l’attenzione del pubblico di Expo anche su di voi?
Allora, innanzitutto bisogna pensare che il pubblico di Expo non è solo quello che entra dentro i recinti di Expo, perché c’è anche un Expo in città, c’è un Expo diffuso, quindi bisogna anche superare questo feticcio dei confini del territorio, cioè Expo sta nella città di Milano, in Lombardia, in Italia, poco altrove. Quindi noi come comitato organizzatore italiano eravamo e siamo convinti che i nostri messaggi debbano attraversare il recinto Expo, stare fuori da Expo, stare sopra, sotto, in ogni dove, siamo veramente forti in questi messaggi alternativi. L’Expo dei Popoli si è svolto fuori da Expo è perché abbiamo risposto a una precisa richiesta delle reti internazionali contadine, molto gelose dei luoghi di decisione politica relativi al cibo. Noi facciamo le nostre rivendicazioni laddove le nazioni, gli stati o le unioni europee di turno hanno definito i luoghi di decisione, quindi andiamo alla Fao, al Parlamento Italiano, al Parlamento Europeo, dentro le agenzie ONU, facciamo il nostro lavoro di advocacy, di lobbying. Non vogliamo farlo in una manifestazione che è a essere buoni culturale, a essere non buoni commerciale, e non vogliamo confondere i ruoli, perché c’è qualcuno che invece sta cercando di dare una dimensione politica a un luogo che tale non è, nella sua natura. Devi pensare che ci collochiamo in un’epoca storica in cui anche le Nazioni Unite sono sotto assedio del settore privato, si cerca di svuotarle come luoghi di rappresentanza, di spostare le decisioni politiche fuori dalle agenzie che sono comunque la base di tutto, con tutti i limiti che possono avere. Vivono sempre di più anche di finanziamenti di aziende private e allora fare una distinzione fra i luoghi della politica e i luoghi del commercio, della cultura, dell’economia è fondamentale, anche perché per i contadini essere dentro la Fao, essere riconosciuti dalla Fao, dai governi, è una fatica pazzesca, i mezzi a disposizione, i rapporti di comunicazione, le capacità di relazione sono impari. Quindi noi non possiamo dissipare le nostre forze, noi presidiamo i luoghi giusti e lasciamo alle esposizioni commerciali un altro significato. Un’altra cosa, questa Expo dei Popoli non ha ricevuto finanziamenti da Expo Spa naturalmente, è finanziato dal Ministero Affari Esteri, dalla Fondazione Cariplo e dalla Commissione Europea. In che modo? Attraverso la partecipazione a bandi ordinari aperti ad associazioni e ong, che si sono messe insieme e hanno deciso, invece di finanziare ognuno dei propri progetti, di finanziare il progetto collettivo, con un grande sforzo di maturità da parte del nostro mondo. In un’epoca di crisi finanziaria, i soldi pubblici e il finanziamento alla cooperazione internazionale sono sempre meno e noi abbiamo avuto la maturità e lungimiranza di dividerci quel poco che c’era, non finanziando progetti che avevamo pronti per ripartire con questo.
Il primo Maggio Milano ha assistito impotente alla demonizzazione di un intero movimento di opposizione al grande evento a causa degli atti vandalici perpetrati da alcuni manifestanti. Secondo te questa può essere una sorta di rivincita per chi si oppone a Expo ma non si riconosce nelle devastazioni? Esiste un movimento cosciente, consapevole e pacifico che si può opporre all’esposizione senza macchiarsi di danni a cose o persone?
Non direi rivincita perché significherebbe che i soggetti in campo sono gli stessi: noi abbiamo sempre riconosciuto una legittimità a tutto il movimento No Expo che contestava in primis il grande evento come veicolo di politiche economiche, politiche infrastrutturali, politiche varie; noi invece contestiamo in primis i contenuti perpetrati dal grande evento, sono cose molto vicine ma un po’ diverse. Abbiamo sempre pensato che ci fosse spazio per tutti, non ci siamo mai immaginati come alternativi al movimento No Expo, ognuno faceva il suo lavoro, Poi loro attorno al grande evento hanno anche sviluppato un ragionamento sui contenuti e su quella parte sicuramente ci si ritrova, ci sono anche margini di condivisione e di analisi, ma non la chiamerei rivincita. In questi giorni abbiamo visto com’è possibile comunicare soprattutto ai cittadini che c’è una via alternativa a nutrire il mondo e vincere fame e povertà, che non è quella basata su nuove tecnologie e nuovo mercato, ma quella che dà valore alla democrazia, alla sovranità alimentare come proposta degli “intellettuali della terra”, come li ha chiamati ieri Petrini, che vuol dire recuperare la libertà di scelta in quanto produttore e in quanto consumatore. Come produttore essere libero di scegliere cosa produrre, come produrre, a chi rivolgere la propria merce, come consumatore essere libero di scegliere veramente il cibo, liberandosi anche dell’illusione che ci fa credere liberi anche quando andiamo in un supermercato, visto che tutto il consumo sul mercato è un consumo indotto da una potentissima macchina della pubblicità e del marketing. Quindi la scelta alimentare è da recuperare su tutti i fronti, come cittadini che producono, questa è la vera chiave, con più democrazia e sovranità ambientale e alimentare e con un accesso alla visione fondamentale della visione agricola: acqua, terra, energia e sementi.