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 Dossier: La provincia Monza e Brianza. Il sindaco di Cesano Maderno è, probabilmente, colui che ha lavorato di più per la nascita della Provincia. «Mi sento frustrato. Purtroppo è nata nel momento sbagliato»

 

E

ra appena nata. Ed era stata tanto voluta. Da alcuni in maniera addirittura spasmodica. Alla sua presenza non c’eravamo ancora abituati del tutto quando il governo ha proposto di tagliarla. Come fosse un ramo secco. Nella migliore delle ipotesi, vorrebbe modificarla, contemporaneamente alle altre, in una struttura molto diversa da quella che i monzesi avevano votato nel giugno del 2009. A Roma lo chiamano riordino. Addirittura risparmio.
Il caos è totale. E così il suo presidente Dario Allevi, in carica dal giugno del 2009, se ne va in giro per convegni affermando “speriamo che questo non sia l’ultimo discorso che faccio in tale veste”. La situazione è veramente kafkiana. Sotto certi aspetti anche ridicola. Domanda: ma se tutto questo deve essere smontato, perché tre anni fa lo abbiamo messo in piedi affrontando mille difficoltà e una dura campagna elettorale? Che fine hanno fatto le ambizioni contenute nell’atto istitutivo dell’11 giugno del 2004 e poi in quello costitutivo di 5 anni dopo?
Ne parliamo con Pietro Luigi Ponti, detto Gigi, nel suo ufficio di Sindaco, a Cesano Maderno. È considerato, giustamente, uno dei padri fondatori. Lui però si schernisce. Precisa che di padri la Provincia di Monza e Brianza ne ha avuti parecchi. Le prime richieste risalgono al 1960. Si trattava di deboli spinte autonomistiche rispetto alla Provincia di Milano, accusata di non tenere in debito conto le esigenze di un territorio che aveva una sua specifica identità sotto diversi punti di vista, economico e culturale in primis. E anche religioso. Diversi i monzesi lo erano persino davanti al prete. A Milano il rito ambrosiano, da noi  quello romano. Viale Cavriga, che taglia in due il Parco e collega le porte di Monza e di Villasanta, ospita due cappelle che praticano riti diversi. Naturalmente è solo un esempio. Altri se ne potrebbero fare. E ben più congrui.
“Per me la Provincia — precisa subito — avrebbe dovuto essere la Provincia dei Comuni, non una semplice sovrastruttura, intermedia tra il potere locale e quelli della Regione. Con compiti precisi, funzioni adeguate ai bisogni di un territorio di 405,5 chilometri quadrati sul quale vivono ed operano 850 mila persone. Pensate, 2095 per chilometro quadrato che è una media altissima. Quella regionale lombarda, ad esempio, è di 415 abitanti per kmq. Un quinto.
Gigi Ponti ha cominciato ad occuparsene nel 1990 quando, a soli trent’anni, divenne il primo cittadino di Cesano Maderno. Riconfermato in tale carica anche nel ‘95 e nel ’99, si impose come un punto di riferimento di quella assemblea di sindaci, giustamente considerata la vera iniziatrice del progetto. Nel 2004, eletto consigliere provinciale a Palazzo Isimbardi, se ne occupò addirittura a tempo pieno. Il presidente dell’epoca, Filippo Penati, lo chiamò in una Giunta fatta tutta da esterni. Fu costretto a dimettersi da consigliere, per potere indossare i panni di assessore  delegato  alla istituzione della Provincia di Monza e Brianza. È stato un lavoro lungo, non facile, faticoso, fatto di migliaia di riunioni, incontri, colloqui, stesura di documenti. “Non ho ovviamente operato da solo, al mio fianco c’e sempre stata quella assemblea che io considero la culla del progetto istitutivo della Provincia. Un percorso il mio lineare e conseguente: Sindaco, poi Assessore della Provincia di Milano, quindi Consigliere provinciale di Monza e Brianza (carica dalla quale mi sono dimesso per incompatibilità non con la legge ma con la norma dello statuto del mio Partito, il Pd, del quale nel frattempo ero diventato Segretario provinciale). Sempre con l’idea della Provincia di Monza e Brianza in testa. Altro mio interlocutore importante è stato interlocutore importante è stato il dottor Piscopo, Commissario di governo, nominato per legge. A dimostrazione che non stavamo scherzando“.

 

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Ma erano proprio tutti d’accordo su questa scelta?
No, i più convinti erano i monzesi e tutta la Brianza centrale, quella dei Comuni della Valle del Lambro. Buona anche la disponibilità di quelli della parte ovest del nostro territorio, ad eccezione di Limbiate, adesione sofferta la sua. Poco convinto invece il Vimercatese, con Vimercate in testa; mentre Brugherio, il Comune più a sud, si è affidato addirittura ad un referendum popolare, vinto dai provinciali, vale a dire dai favorevoli alla istituzione della nuova Provincia.

Qui il lavoro l’ha sempre fatto da padrone, ha sempre avuto il sopravvento su tutto il resto ed è esso stesso è diventato caratteristica di civiltà.

La Brianza ha una sua chiara e uniforme identità territoriale oppure è una invenzione geografica?
Assolutamente no, anche se confini esatti non esistono. Esistono dei perimetri di territorio più ristretti accanto ad altri più ampi, e tutti con loro specificità. Poi occorre dire che la nostra Provincia è solo un terzo di quella grande Brianza che dovrebbe comprendere, per la verità, anche la parte sud delle provincie di Lecco e di Como. Quello di Monza e Brianza è un territorio, molto popolato, che fa da cuscinetto tra le Prealpi a nord e la grande pianura a sud. Le sue attività produttive fanno riferimento al tessile, alla chimica legata al filo (la Snia ne è un esempio), al legno-mobile, all’high tech (alta tecnologia) e alla meccanica di precisione. La densità imprenditoriale è di 159 imprese per kmq raggruppate in gran parte in due distretti produttivi d’eccellenza rappresentati appunto dall’high tech (Vimercatese) e dal legno-mobile-designer. L’attività agricola invece è marginale e lo è sempre stata, sin dai tempi della dominazione austriaca, che pur aveva fatto ripetuti tentativi per dargli un ruolo maggiore. Sotto il profilo culturale invece va considerata la grande tradizione rappresentata dagli usi e costumi di piccoli paesi, dei borghi. Qui il lavoro l’ha sempre fatto da padrone, ha sempre avuto il sopravvento su tutto il resto ed è esso stesso è diventato caratteristica di civiltà.

Di quali mezzi è stata dotata la nuova Provincia?
In pratica niente. E con la crisi economica in atto, la situazione peggiora. Si sono fatti i conti, si è stabilito che Milano doveva sganciare il 20 per cento del suo patrimonio. Poi, con l’ingresso nel territorio di altri 5 Comuni (ora ne abbiamo 55) i conti sono stati rifatti. Ma di quattrini nemmeno l’ombra. Anzi Monza ha ereditato il 20 per cento della rata annua di un debito cospicuo che la Provincia di Milano ha nei confronti dello Stato. Guido Podestà, che pure dovrebbe intendersi bene con Dario Allevi, militando entrambi nello stesso schieramento politico, deve ancora all’Ente brianzolo 46 milioni (a completamento della dote iniziale stabilita), dopo aver valutato il valore di tutti gli immobili ricevuti. Ed è lite aperta, con tanto di ricorso di Monza nei confronti di Milano. Attualmente si tira avanti (e male) con le risorse ordinarie che sono essenzialmente l’addizionale sulla energia elettrica e due imposte automobilistiche, una relativa alla Rca auto, l’altra al bollo – o tassa — di circolazione.

Il nostro territorio così ricco costituisce una grande attrazione per la malavita organizzata

Ti senti deluso a fronte delle aspettative iniziali?
Certamente. Quella che abbiamo davanti è una opera incompiuta. Mi sento frustrato. Purtroppo la nostra Provincia è nata nel momento sbagliato. Attenzione però: non è che le differenze fra Centro-destra e Centro-sinistra, in questa situazione di caos, siano scomparse, travolte dalla crisi economica del Paese. I modelli di Provincia che abbiano in testa noi del Centro-sinistra e loro del Centro-destra sono diversi. Il nostro vede l’Ente a fianco dei Comuni, loro invece pensano alla piramide: la Provincia in cima, i Comuni sotto. Non è la stessa cosa.

E la ‘ndrangheta?
La tesi che tutto nasce dal fatto che molti nostri paesi sono stati scelti come sede di abitazione di confinati calabresi è vera, ma è anche un paravento, che non ci permette di vedere dell’altro. Il nostro territorio così ricco costituisce una grande attrazione per la malavita organizzata che si è infiltrata dappertutto: nella politica, nelle imprese, persino nella magistratura. Guerra aperta quindi alle cosche. Ma sarebbe sbagliato non osservare che sul territorio siamo in presenza anche di una grande debolezza che finisce per determinare una disponibilità ad essere infiltrati.