Silence is Complicity. Questa scritta è sul muro: se taci sei complice. Il muro è quello che divide Israele dal territorio Palestinese occupato, la Cisgiordania.
C'è
questa scritta sul muro: se taci sei complice. Il muro è quello che divide Israele dal territorio Palestinese occupato, o Cisgiordania.
Come il genio nella lampada, quella scritta mi è entrata dagli occhi ed è stata la molla perché inziassi a scrivere qui.
Vivo da poco piú di un anno a Gerusalemme Est ed è un tempo sufficiente per osservare, farsi delle domande, raccogliere qualche dato, leggere libri tendenziosi e concludere che ci sono tante questioni che possono essere ampiamente discusse, ma non certo taciute.
Le parole non sgorgano spontanee. Hanno la retromarcia ingranata dalla paura.
La paura di essere confutata. Qui la tensione politica fa scoccare scintille su qualsiasi tema. Non c’è gesto quotidiano che non abbia un risvolto politico. Dal quartiere in cui vivi alla lingua con cui saluti (Ebraico? Arabo? Inglese? Italiano?).
Per ogni statistica c’è una contro-statistica che può essere citata. In questo momento mi sto occupando del problema della scarsità d’acqua in Palestina. Vorrei entrare più nel merito di questa questione cruciale nella prossima puntata. Per ora mi interessa portare l’esempio di una relazione di un’università israeliana1 e di una dell’Autorità Palestinese per l’Acqua2; entrambe del 2012. Il primo studio sostiene che attualmente il consumo d’acqua quotidiano in Israele è di 410 litri a testa mentre quello in Palestina è di 383. Una differenza irrisoria se paragonata a quella tra i 300 litri al giorno pro capite per israeliano contro i 70 per palestinese, indicati nell’altro rapporto. 70 litri sono sotto il limite minimo di 100 litri al giorno a testa raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Quello che non posso tacere è che le case palestinesi a Gerusalemme Est si riconoscono perché sul tetto hanno le taniche nere che servono come riserva d’acqua quando viene tagliata dall’acquedotto. Quelle israeliane no perché non subiscono tagli. La casa dove viviamo dipende dall’acquedotto di Ramallah (la ‘capitale’ palestinese) e i tagli sono significativi. Prima di avviare una lavatrice controllo il livello dell’acqua nella tanica sul tetto. Ieri mio marito ha partecipato a una partita di calcio tra palestinesi ed europei a Nablus, nel nord della Cisgiordania. Sudati fradici, confidavano in una doccia ma non scendeva una goccia d’acqua.
Forse non basta per decidere quale studio sia esatto, ma per avere dei dubbi sulla correttezza del primo è più che sufficiente.
Il terreno è minato sia in senso figurato che nella realtà. Passeggiare fischiettando per una rivista di Brianza potrebbe farmi saltare in aria. Se tutto è politico, qualsiasi frase diventa facile propaganda che mette a repentaglio la sicurezza del paese in cui vivo.
Sicurezza è la parola chiave che in questo luogo smuove le montagne e legittima qualsiasi violazione dei diritti umani. Ricevere una bella ingiunzione a lasciare il paese in 4 settimane, come è successo a due amici italiani che lavoravano qui, non mi farebbe piacere. Tantomeno per aleatori motivi di sicurezza.
La paura di firmarmi con nome e cognome è questa.
L’asta che mi fa saltare l’ostacolo è la consapevolezza che se si rimane neutrali in una situazione di ingiustizia, si è scelto di stare con gli oppressori.
1 Gvirtzman Haiman, The Israeli-Palestinian Water Conflict: An Israeli Perspective, The Begin-Sadat Center for Strategic Studies, Bar-Ilan University, Mideast Security and Policy Studies No. 94, Ramat Gan, January 2012
2 Palestinian National Authority, Palestinian Water Authority, Palestinian Water Sector: Status Summary Report, September 2012: In preparation for the Meeting of the Ad Hoc Liaison Committee (AHLC) 23rd September 2012, New York