Dossier: Spazi comuni, luoghi di socializzazione. Siamo consumatori quando andiamo nei negozi ma anche quando votiamo e usiamo i media. E le nostre città ci aiutano a venirne fuori o no? Il nuovo dossier di Vorrei comincia da qui.
S
iamo uomini o consumatori? Vogliamo cominciare il nuovo dossier di Vorrei così, parafrasando il titolo del film di Camillo Mastrocinque (Siamo uomini o caporali, 1955 con Totò). Ai caporali, meschini personaggi che approfittano del loro piccolo/grande potere per imporre soprusi e angherie, abbiamo sostituito i consumatori. Cioé gente che non ha neppure bisogno di un caporale per farsi del male, se lo fa da solo. Ma se il nostro è solo un gioco di parole, nella società del consumo è un'involuzione dei ruoli: agli uomini, le persone che vivono, comunicano, hanno relazioni, si confrontano, hanno speranze e sogni, si è sostituito – appunto – il consumatore.
Siamo consumatori, ovviamente, quando andiamo al negozio o al centro commerciale. Ma siamo consumatori anche quando siamo chiamati a votare: spendiamo la nostra moneta-voto a favore del prodotto-candidato che ci ha convinto di più, seppur dica più o meno le stesse cose di tutti gli altri. Siamo solo consumatori secondo coloro che misurano il nostro benessere in base a quanto produciamo (il PIL) e a quanto compriamo o non compriamo (“l'andamento dei consumi”). Siamo consumatori quando usiamo media e social network per divorare opinioni e scartare analisi.
La complessità è pressocché scomparsa e con essa la nostra capacità di approfondire. Non importa a nessuno capire perché compriamo, perché facciamo quel determinato lavoro, perché dobbiamo assecondare la volontà dei mercati. Lo facciamo e basta.
Sarà per questo che i luoghi di socializzazione hanno lasciato spazio ai luoghi di consumo?
Ecco, di questo parla il primo dossier del 2013 di Vorrei: degli spazi comuni e dei luoghi di socializzazione. Aree libere dalla logica economica, piazze delle relazioni e non delle merci. Esistono? Sono reali o virtuali? Vogliamo capire dov'è che ci incontriamo, dov'è che ci scontriamo; dov'è che abbiamo occasione di essere animali sociali, politici e non solo ingranaggi industriali.
Proveremo a scoprire se le nostre città sono cresciute favorendo o reprimendo la socializzazione, se davvero non c'è niente di meglio nel futuro del passare ore nei centri commerciali per affermarci, come viene raccontato nell'articolo ripreso da Eddyburg e che riproponiamo qui:
“(...) si acquista per raccontarsi agli altri, per narrare il sé perché «il possesso delle cose è parte integrante, sostegno e conseguenza della narrazione che ci definisce» e ci permette di formare la nostra identità. Si acquista dunque per avere gli strumenti dell’affermazione e della comunicazione del sé, per la costruzione dell’identità individuale e di quella collettiva, sempre più sostituite da identificazioni elaborate in base alla differenza nei consumi, in un gioco in cui «ci accontentiamo di essere rappresentati da cose che ci appartengono»”.
Sapendo già che, piaccia o meno, la fine dei centri commerciali è una prospettiva possibile e vicina:
«I centri commerciali di mezza Europa stanno morendo. Diminuiscono il numero delle presenze e i fatturati, e si accorcia il ciclo di vita. Un centro commerciale mediamente oggi diventa vecchio dopo pochi di anni dall’apertura o nasce già con difficoltà» (“La morte dei centri commerciali” a cura di Re.d – Marketing & Trade).
Questo editoriale si chiude con un cortometraggio. Firmato da Federico Brugia (uno dei registi più noti della pubblicità italiana), fa parte del progetto Le città invisibili ed è stato presentato lo scorso anno nell'ambito della Settimana della comunicazione: «18 registi presi in prestito dalla pubblicità e dal cinema, per 18 mini-opere autoprodotte. Nato da un’idea di Eugenia Morato e curato da Pasquale Diaferia, “Città Invisibili” è un film che racconta Milano, le sue debolezze e i suoi lati nascosti. Un ritratto corale alle volte malinconico, stili differenti a parlare di una città in trasformazione e spesso difficile, nel venticinquesimo anniversario della scomparsa di Italo Calvino». I filmati sono tutti visibili qui. Abbiamo scelto "La Città, le Gru e Mimmo" fra gli altri, perché la frase finale ci sembra sintetizzare molto bene quello che pensiamo anche noi, come il protagonista: «I grattacieli non servono a me e io non servo ai grattacieli. E allora? Allora staremo a vedere».