Dossier: La verità, vi prego, sulla politica. In una doppia intervista il ritratto dei due neodeputati eletti in Brianza. Giunti in Parlamento dopo essere stati a lungo impegnati nella politica locale.
Il
loro impegno politico ha ormai radici profonde, eppure Pippo Civati e Roberto Rampi a livello nazionale rappresentano il nuovo che avanza nelle file del PD. Oltre a questo aspetto, li accomuna anche la laurea in filosofia. Entrambi, poi, sono concentrati sul rinnovamento culturale che avvertono come necessario per la loro parte politica.
Prima di essere eletti in Parlamento, Civati è stato Consigliere comunale a Monza e poi Consigliere nella Regione Lombardia, mentre Rampi è stato vicesindaco di Vimercate, con delega alla Cultura, alle Politiche giovanili e all'Istruzione. Con quali idee e quale spirito affronteranno il nuovo incarico, in uno dei più travagliati periodi della storia repubblicana? Ecco cosa hanno risposto a Vorrei.
Qual è stata la spinta ad entrare in politica? Attraverso quale delle diverse anime del PD siete arrivati nell’attuale partito?
Civati – Sono stato colpito dalla politica fin dai tempi della scuola. La spinta era quella di cambiare le cose e veniva da un'idea di collettività dell'azione umana, da una forte idea di condivisione. Nel 1995 ero già nei comitati per Romano Prodi, e sono stato consigliere comunale con i Democratici di Sinistra. Una volta ci si chiamava ulivisti, ora si dice democratici. Ma resto sempre io.
Rampi – Vengo da una famiglia di persone impegnate, per cui a casa mia si è sempre respirata la Politica come passione per la cosa pubblica e come impegno per migliorare la società nel piccolo come nel grande. Mio padre è sindacalista da sempre, mia madre è stata impegnata nelle ACLI, nel sindacato, nella scuola ed è stata anche consigliere comunale. Detto questo, tutto è iniziato al liceo. Sono stato rappresentante di classe prima e d'istituto poi. Ho contribuito alla nascita di Fonendoscopio, associazione di studenti che promuoveva politiche culturali rivolte ai più giovani. Da lì il Consiglio Comunale a 19 anni e poi l'impegno come assessore alla cultura e vicesindaco.
Penso però che in parte la chiamata venga anche dalle letture, dalla passione per la filosofia (Vattimo e Gadamer su tutti) e dai cantautori italiani. Sono stato iscritto ai DS, ma prima ancora ai giovani per L'Ulivo. Per questo per me tutto il PD è un riferimento, una risposta nuova che va oltre le categorie classiche del Novecento.
Giuseppe Civati, detto Pippo
Chi eravate prima di dedicarvi alla politica? Interessi, passioni, studi...
C – Ho una formazione filosofica e quando ho scelto i miei studi non pensavo che la filosofia sarebbe stata la mia principale attività anche in politica: gli ultimi vent'anni, se vogliamo, sono stati con Berlusconi l'eterno ritorno dell'uguale... Dopo essere diventato Dottore di Ricerca ho insegnato a Milano, a Firenze e a Barcellona. Ho lavorato anche nella comunicazione e nella pubblicità.
R – Come detto, vedo una forte integrazione tra studi, passioni, lavoro e politica. Non c'è mai stato un prima senza politica e non c'è un dopo. Sono una persona curiosa, appassionata di cultura in senso lato, che crede che tutto sia cultura. Che la politica sia cultura. E che "ciò che è politico è anche personale". E viceversa.
Come concepite il vostro impegno politico? Un mestiere, o una missione da compiere per poi tornare alla vita di prima?
C – Fino a circa sei o sette anni fa, riuscivo a fare altre cose oltre al politico, mentre ora è un impegno totalizzante. Ci si priva di qualcosa per seguirlo bene. Non lo vedo comunque come definitivo, anche se va trovato un equilibrio fra carriera e politica a tempo pieno. E tempo pieno non significa farlo per sempre, ma solo con serietà finché lo si fa.
Civati: politica a tempo pieno non significa farla per sempre, ma solo con serietà finché la si fa.
R – Come ho detto sopra, non c’è prima né dopo. Non è un mestiere. Non si fa politica. O meglio, la si fa in molti modi sempre. Nelle scelte, anche personali. Nei consumi. Nel modo di porsi. Per un periodo la sto facendo anche nelle istituzioni. E questo, in effetti, sarà transitorio.
Per quale motivo pensate che i cittadini lombardi, almeno alcuni, si siano fidati di voi?
C – Credo che la prima cosa per la quale si sono fidati siano state le primarie dei parlamentari: se non ci fossero state, io non mi sarei candidato. Ne facevo un requisito imprescindibile. Poi c'è il blog. In generale sono molto presente su internet, al punto che devo sembrare uno con tanti collaboratori. In realtà gestisco completamente da solo la mia presenza online, e a volte è stancante. Ma serve a tenere un filo diretto con le persone. Anche quando "il mio territorio" è diventato la Lombardia, ho mantenuto un rapporto forte con la città. Io sono un appassionato di politica, e credo che gli elettori non solo la sentano, ma la condividano e partecipino. Credo che un elemento fondamentale per avere e mantenere la fiducia sia la trasparenza. La classe politica non deve negarsi mai al rapporto diretto con i cittadini, deve accettare sempre il confronto con loro.
R – Alcuni, sopratutto quelli delle comunità che ho frequentato, Vimercate in primis ma anche Monza e la Brianza, credo mi abbiano misurato. Sanno che ci metto determinazione e passione. Che ci credo. Che mi interessa il noi molto più dell'io, che è ben triste e noioso. Che insomma voglio davvero rappresentare una comunità, un collettivo. Che ci provo davvero, fino in fondo. Non sempre ci riesco, ma ce la metto tutta.
Roberto Rampi, qui con il filosofo Carlo Sini
Della vostra esperienza politica locale, cosa pensate che potrà esservi utile in Parlamento?
C – A Monza ho imparato due cose. La prima è il rapporto con il potere: nelle ultime legislature c'è stata alternanza, e come PD abbiamo vissuto sia la fase di governo sia quella di opposizione. La seconda cosa che porto con me da Monza sono le questioni ambientali e urbanistiche, e il concetto di sviluppo responsabile che si rende necessario. Su questo punto, sono contento di come si sta muovendo il sindaco Scanagatti.
R – Le relazioni, la fantasia, la convinzione che si possono praticare strade nuove e inedite. Le due cose messe insieme danno la spinta a trovare soluzioni, a rispondere ai bisogni e a trovare i compagni di strada giusti per costruire le risposte. Sono un umanista convinto. Per me sono le persone che fanno il cambiamento, da quelle importanti all'ultimo dei lavoratori. Forse il secondo molto di più.
Rampi: la politica non è un mestiere. La si può fare in molti modi e io ora la sto facendo anche nelle istituzioni. E questo, in effetti, sarà transitorio.
Spesso ci si interroga se i politici riescano a rappresentare davvero il loro territorio. Invertiamo il rapporto: il vostro territorio, la Brianza, quanto vi rappresenta?
C – L'enfasi sul localismo non mi piace, tuttavia posso dire che mi sento rappresentato da un territorio quando si guarda al suo futuro senza campanilismi isterici. Per esempio, trovo che sia stato sbagliato chiudersi nei confronti di Milano. Per me la Brianza è e deve essere parte di un tutto. Trovo avvincente, comunque, la sua mescolanza di metropoli e provincia, che è rappresentativo di tutta l'Italia. Una sorta di cerniera fra due mondi, mi viene da dire.
R – Dipende da quale Brianza. Quella un po' stereotipata che si racconta, chiusa e reazionaria, molto poco. Ma quella dell'impresa, della capacità di scommettere su se stessi, di rimboccarsi le maniche e darci dentro, quella tanto. Mi sento rappresentato dalla Brianza dello straordinario patrimonio culturale da valorizzare, della bellezza di certe colline, dell'operosità, del volontariato e dell'associazionismo. Dalla Brianza della grande cultura solidale, che accoglie e aiuta gli ultimi. Quella che permette di uscire dalla città e trovare più equilibrio. Ecco, in quella mi ci riconosco.
Quali cambiamenti avete sentito nel tessuto sociale e culturale brianzolo da quando vi siete impegnati in politica per la prima volta?
C – Sul fronte dell'industria e dell'operosità ho visto premiato chi ha saputo innovare e sperimentare strade nuove, basate sulla qualità, mentre sul lato sociale e culturale mi imbarazza il peggioramento che ho rilevato, dovuto soprattutto al ridimensionamento dei finanziamenti alle attività culturali. In questo la Brianza ha seguito la tendenza nazionale, dettata da chi ha fatto dell'ignoranza un vanto.
R – Ci siamo tutti impoveriti, soprattutto di competenze e di senso del generale. Ci stiamo chiudendo a riccio, mentre crescono gli egoismi e si perdono patrimoni di spirito collettivo. Però vedo anche tante risorse nuove.
Civati durante un comizio
Cosa significa fare politica di sinistra in un "feudo" forzaleghista come la Brianza e, a quanto pare, la Lombardia?
Civati: la trasparenza permette al politico di mantenere la fiducia degli elettori, ed è la sola difesa contro mafie e lobby.
C – Noi siamo vicini ad Arcore, proprio a Monza abbiamo assistito ai "ministeri al Nord": siamo stati una sorta di epicentro delle promesse sentite in tutti questi anni. Eppure non abbiamo avuto un'autostrada finita, non abbiamo visto un vero rafforzamento dei Comuni, non sono state diminuite le tasse, non c'è stato il federalismo e non abbiamo visto alcuna integrazione. La cultura che ha prodotto quelle promesse ha fallito e non lo dico da antileghista, ma da osservatore obiettivo. Il nostro compito è spiegarlo, dobbiamo diventarne capaci. Berlusconi si è presentato come alfiere del cambiamento, ma in realtà non è altro che la consacrazione di alcuni poteri. Che dal suo punto di vista può essere anche legittimo, ma noi dobbiamo essere in grado di dirlo chiaramente ai cittadini.
R – Intanto vengo da una parte della Brianza che è un "feudo" progressista, dove l'incontro della cultura cristiano-sociale e della sinistra tradizionale è fecondo, profondo, e ha prodotto una visione della società. Ma è così anche in molti altre parti e vedo con valore le esperienze di Lissone, Desio, Nova, Limbiate e naturalmente Monza. C'è ancora molto altro, nei centri piccoli e fuori dal vimercatese... insomma, forse interrogarsi sulla sinistra fa scoprire che in Brianza ce n'è più di quanto si creda.
Come si mettono insieme le esigenze di progresso con la difesa dell’ambiente? In Lombardia c’è la Pedemontana e la cementificazione a livelli insostenibili, ma come parlamentari avrete a che fare anche con altre realtà, come la Tav…
C – Sulla Tav io sono critico, anche se non del tutto perché l'alta velocità ormai è indispensabile. A titolo personale, però, dico che in particolare in Val di Susa non capisco a cosa possa servire, sia per questioni ambientali sia in termini economici: per me, ad esempio, si sarebbero spesi meglio quei soldi sul collegamento con la Svizzera, che fra l'altro passa per il nostro territorio. Una direttrice, quella Nord-Sud, che secondo me è molto più importante di quella Est-Ovest su cui ci si sta concentrando ora. E poi, la Tav è pensata per far circolare più velocemente soprattutto le merci, ma non mi risulta che in Italia sia aumentato il trasporto di merci...
R – Il progresso, se è progresso, non può che essere amico dell'ambiente. È lì che alberga il futuro. Per cui tutte le opere vanno laicamente analizzate con pari valore sul piano della reale necessità e della sostenibilità, valutando anche le alternative. E se servono vanno fatte bene, in maniera compatibile con il territorio. Perciò bisogna responsabilizzare le comunità dando loro voce e un ruolo decisivo.
Lombardia e criminalità: anche alla luce degli ultimi eventi, come il recente arresto dell’ex assessore Antonicelli, come ci si difende dalle mafie? Con quali strumenti?
C – Lo strumento deve essere la trasparenza. Strumento e premessa di ogni attività politica. Il problema è stato a lungo sottovalutato: mi ricordo quando in tempi non sospetti io già me ne preoccupavo, scontrandomi però con muri fatti di orgoglio e amor proprio mal riposti. E bisogna anche essere sempre vigili sulle questioni ambientali, perché spesso l'attività mafiosa riguarda suolo e cemento.
Rampi: il progresso, se è progresso, non può che essere amico dell'ambiente. È lì che alberga il futuro.
R – Intanto bisogna smetterla di pensare che si tratti di un fenomeno etnico o folkloristico. Le mafie sono strutture di potere e di interesse economico che crescono sulle debolezze dello Stato, sulla burocrazia e sull'inefficienza. Si combattono con il progresso e con la certezza del diritto. Con l'efficienza. Deve essere chiaro a tutti che la legalità è giusta e necessaria ed è anche conveniente sul piano economico e degli investimenti. E poi ci vogliono norme chiare anche a tutela degli amministratori pubblici che devono poter capire cosa hanno davanti.
Brianza e cultura: perché in Brianza si stenta a “fare rete” fra le tante iniziative che pure ci sono? Da parte vostra, ci sono stati tentativi di dare impulso alla cultura brianzola?
C – Secondo me un problema è la mancanza di un equilibrio con Milano, che alimenta il luogo comune per il quale la Brianza non sarebbe terra di cultura. Per quanto riguarda il "fare rete", anche alla luce di quello che avete scritto voi di Vorrei, quello che posso dirvi è: se posso me ne occupo volentieri.
R – La Brianza non esiste ancora come comunità, non ha un'agorà né un baricentro. Ci sono state iniziative che hanno funzionato. Su tutte Abitatori del tempo e Ville aperte in particolare. E penso proprio su queste di aver svolto un ruolo per favorire lo sviluppo di rete, ampliando le relazioni reciproche. La Provincia di Milano con Gigi Ponti aveva svolto un ruolo straordinario, mentre oggi è decisamente venuta meno per molte ragioni. Credo però che da quelle esperienze si debba ripartire e che Monza debba necessariamente mettersi alla testa di questo processo.
Rampi a Montecitorio
Per Roberto Rampi. In merito all’amministrazione del territorio, ha sempre senso parlare di destra e sinistra? O sono due concetti superati anche a livello nazionale, dati i risultati delle ultime elezioni?
In generale ha senso. Anche in ognuno di noi c'è una propensione al cambiamento e una alla conservazione. E su questo asse si declina anche la visione della società, la scelta delle priorità, il modo di vedere lo sviluppo della propria comunità, con una chiave più cooperativa e comunitaria e una più individualista e competitiva. Poi certo, l'ho detto, le persone fanno la differenza e i confini a livello locale tendono a superarsi. Ma se li costruiamo in modo dinamico la differenza tiene ancora.
Per Pippo Civati. Lo strapotere di CL è un problema solo lombardo o nazionale?
CL in sé e per sé è soprattutto un problema lombardo. I poteri nascosti, le lobby (anche le mafie) costituiscono però a prescindere un male nazionale. Come detto prima, lo strumento per difendersi è la trasparenza, fare tutto alla luce del sole, per fermare chi fa male al paese. Un esempio? L'Aquila, dove non c'è ombra di CL eppure una lobby ha fatto profitto sulla pelle delle persone colpite dal disastro. Sul non detto va fatta chiarezza e sotto quest'aspetto sono d'accordo con il movimento 5 Stelle. I fatti di Montepaschi dovevano essere raccontati. Certo, innanzitutto non dovevano essere commessi, ma se certe cose accadono soltanto la trasparenza può mantenerti in piedi.