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Dossier. Ecologia dell'informazione. Intervista a Giovanni De Mauro, il direttore del settimanale che in questi giorni compie vent'anni. L'informazione in Italia, il rapporto con la politica, i festival e le anomalie

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iovanni De Mauro non ha ancora cinquant'anni, ma da venti siede alla direzione di uno prodotti più interessanti che l'editoria italiana abbia proposto da molto tempo in qua: il settimanale Internazionale. Se altre testate di qualità come Avvenimenti e Diario, non hanno resistito alle intemperie del mercato, Internazionale non solo ce l'ha fatta, ma ha visto consolidarsi sempre più il suo ruolo nel panorama informativo nazionale, raccogliendo attorno a sé una vera e propria comunità di persone amanti del buon giornalismo.

20131106-internazionale-01È curioso che uno dei giornali migliori che si possono leggere in Italia, sia scritto prevalentemente da non italiani ma in questo, giura De Mauro, non va vista nessuna spocchia di coloro che pensano così male del giornalismo italiano da doversi affidare alle penne straniere per dar vita ad un nuovo settimanale. No, nessun giudizio sui giornali nazionali. Piuttosto una grande curiosità per il mondo visto da altre angolazioni.
E da dieci anni, De Mauro ha abbandonato l'Unità, giornale in cui si era fatto le ossa, raccogliendo attorno a sé un manipolo di redattori e ha cominciato a leggere, selezionare e tradurre per i lettori italiani, il meglio della stampa estera. Certo l'idea non è del tutto originale, dal momento che l'operazione si è chiaramente ispirata a quanto faceva in Francia il Courier International già dal 1987. L'idea era buona, perché non riproporla anche in Italia? Talmente buona da raggiungere le 100.000 copie vendute. E poi l'idea del Festival, dal 2008 ogni anno a Ferrara, con centinaia di giornalisti da tutto il mondo e migliaia di presenze: dibattiti, proiezioni, frammenti di cultura e di informazione che si fanno comunità.

Abbiamo rivolto qualche domanda a Giovanni De Mauro, spinti dalla curiosità di capire meglio cosa c'è dietro un lavoro così impegnativo e costante come la realizzazione di un settimanale, che riesce a mantenere negli anni un alto livello qualitativo fornendo punti di vista, argomenti e riflessioni che spesso non trovano spazio negli altri giornali italiani, esplorando angoli di mondo che sono qualcosa di più che un semplice punto sulla mappa geografica.

Lo sguardo sull'altro, nei media italiani, pare ispirato non tanto ad un principio di pura conoscenza dell'altro, quanto piuttosto da un intento comparativo. Una prassi sempre più consolidata di alcune testate, consiste nell'andare a vedere cosa fanno in Germania, piuttosto che in Francia, in un determinato settore, solo al fine di dimostrare quanto poco o male facciamo in Italia nello stesso ambito. Non sarebbe più giusto raccontare realtà diverse dalla nostra e lasciare al lettore la libertà di fare raffronti e tirare conclusioni?
Facendo Internazionale, una delle cose che abbiamo imparato è che è sbagliato, e soprattutto inutile, generalizzare. E se è vero questo, lo è anche rispetto ai giornali italiani e ai mezzi di informazione in generale. Sono d'accordo sul fatto che, quando vengono usati a fini strumentali, questi confronti potrebbero essere evitati, ma è anche vero che, in linea di massima, confrontare la propria realtà con quello che succede altrove – dove altrove può essere il paese vicino ma anche il vicino di pianerottolo – può consentirci di capire meglio quello che stiamo facendo e anche di migliorarci, se questo ci aiuta a trovare degli elementi di pungolo e di motivazione. Quindi direi che sono d'accordo se questo è un modo per portare acqua al proprio mulino di argomentazioni (che possono essere addotte senza doversi appoggiare a quello che avviene fuori), ma in linea di massima i confronti sono spesso utili se fatti correttamente.

 

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Giovanni De Mauro in uno scatto di Giuseppe Di Piazza/Corriere della Sera

 

Nonostante il recupero di qualche posizione, l'Italia è ancora al 57° posto nella classifica mondiale della libertà di stampa redatta da Reporter Senza Frontiere. Cosa manca nel nostro paese per occupare le prime posizioni al pari di paesi come la Finlandia, l'Olanda o la Norvegia?

Uno dei limiti maggiori alla libertà di informazione nel nostro paese è costituito dalla grandissima presenza di persone che sono scarsamente alfabetizzate

Uno dei limiti maggiori alla libertà di informazione nel nostro paese è costituito dalla grandissima presenza di persone che sono scarsamente alfabetizzate, e questo è il risultato di un sistema scolastico che non funziona. Poi, si possono immaginare o mettere a punto sistemi che consentano una diversa distribuzione delle risorse, soprattutto per quel che riguarda la raccolta pubblicitaria, che nel nostro paese è squilibrata a favore della televisione. Onestamente non penso che in Italia ci sia un problema di libertà di stampa come possiamo immaginare che ci sia in paesi con sistema democratico assente, o con uno stato di polizia particolarmente repressivo. Tutto sommato in questo paese i mezzi di informazione sono sostanzialmente liberi di scrivere quello che vogliono; e se non lo sono è a causa di casi specifici particolari che, tutto sommato, sono comuni ad altri paesi. E' chiaro che un giornale di proprietà di una data azienda, ha difficoltà a criticare quella stessa azienda, ma questo non vale solo in Italia ma anche in Francia o negli Stati Uniti. Gli indicatori della classifica sono interessanti, sono degli indicatori di tendenza, ma sono costruiti anche con parametri estremamente soggettivi, abbastanza aleatori e comunque difficilmente misurabili.

Internazionale sembra aver lanciato una nuova tendenza organizzando, ormai sette anni fa, la prima edizione del Festival che da allora ogni anno si svolge a Ferrara. Da “La Repubblica delle idee” a “Materadio” (la festa che Radio Tre organizza da tre anni a Matera), altri mezzi di informazione hanno proposto occasioni di incontro con il proprio pubblico. Quali sono le ragioni di questa tendenza? Bisogno di rafforzare la propria identità attraverso il contatto con il pubblico o, più semplicemente, una modalità diversa per continuare a fare il mestiere di giornalista?
Non credo che abbiamo scoperto nulla. In questo paese c'è una lunghissima tradizione di Feste dell'Unità, che sono state per decenni momenti di aggregazione politica e sociale che nascevano intorno al quotidiano comunista. Chi è venuto dopo forse si è ispirato a noi, forse si è ispirato ad altri, ma poco importa. Il bello della circolazione delle idee è anche questo, che si perdono le tracce di chi ha cominciato per primo. Per noi è diventato un momento importante e insostituibile di costruzione del rapporto con i nostri lettori e di definizione della nostra identità. Ho l'impressione che per ognuno significhi cose diverse, quindi questa domanda andrebbe fatta in modo incrociato anche agli altri, ma in generale credo che occasioni come i festival soddisfino il bisogno di aggregazione, incontro, dibattito e approfondimento, bisogno di cui i giornali si fanno interpreti.

 

Alcune delle 1000 copertine di Internazionale

 

Quanto crede che l'anomalia della politica italiana abbia influito sul vizio della nostra informazione di adeguarsi al “teatrino” seguendone pruriginosamente tutte le vicende, anche le meno rilevanti politicamente? O si deve parlare piuttosto di anomalia del sistema informativo a prescindere dal sistema politico? Cioè, se un giorno l'Italia dovesse diventare un paese “normale”, diventerà normale anche per i media italiani parlare della Polonia non solo quando precipita un aereo con a bordo il presidente?

Se c'è un'anomalia italiana, questa è nella continuità e contiguità – spesso complicità – tra il mondo giornalistico e il mondo politico.

Se c'è un'anomalia italiana, questa è nella continuità e contiguità – spesso complicità – tra il mondo giornalistico e il mondo politico. Questo è un fatto che non ha eguali nei paesi nordamericani ed europei, che sono quelli con cui ha più senso confrontarsi. Per quello che riguarda il fatto che ci si possa occupare di paesi a noi vicini, come ad esempio la Polonia, anche quando non succedono fatti di grande attualità, non si può parlare di una specificità italiana. L'Italia in questi ultimi anni è spesso finita sulla stampa straniera per ragioni ragioni legate a fattori apparentemente secondari ma non irrilevanti; questo è un paese in cui c'è una grandissima quantità di corrispondenti stranieri, ma non perché sono interessati all'Italia, ma per il semplice motivo che il corrispondente che si occupa dell'Italia si occupa anche del Vaticano, che è la prima ragione per cui vengono qui. Questo produce una certa attenzione per i fatti italiani che, forse, se non ci fosse il Vaticano, non ci sarebbe. C'è poi da dire che abbiamo avuto dei fenomeni particolari che sono stati osservati, come la presenza dell'ex presidente Berlusconi, ma al di là di questo, possono passare anche mesi prima di trovare qualche riga su quello che succede in Italia se non ci sono novità su Berlusconi. Non sarei così sicuro che la stampa statunitense, ad esempio, sia più aperta di quella italiana; al contrario, gli esteri sono abbastanza relegati in secondo piano, nonostante la presenza di grandi inviati. In definitiva direi che la sensibilità e l'attenzione varia molto da paese a paese e da giornale a giornale.

20131106-internazionale-1000Sono passati quasi dieci anni dallo scoppio della “rivoluzione” del web 2.0. Crede che le promesse di maggiore democraticità del mondo dell'informazione siano state mantenute? Penso, ad esempio, a quanto poco successo hanno avuto le tv di quartiere.
Quello delle tv di quartiere è uno degli esempi di flop a cui abbiamo assistito, ma accanto a questo ce ne sono molti altri. Io sono comunque estremamente positivo rispetto alle potenzialità e agli sviluppi dell'innovazione tecnologica, come anche rispetto all'allargamento della circolazione delle informazioni e della possibilità di partecipare, ma anche semplicemente di raggiungere aree del pianeta che prima erano completamente all'oscuro sul piano informativo. Il saldo è largamente positivo, e poi si tratta di un processo ancora in evoluzione: tante cose sono ancora da capire e da fare. Anche considerando tutti i lati negativi, che sicuramente non mancano e che vanno considerati con attenzione, secondo me il bilancio è decisamente positivo.

Mi sembra di capire che una delle chiavi di successo di Internazionale sia la qualità: un'informazione più analitica e meno superficiale. Ma nell'epoca in cui ci si accontenta del “di tutto un po'”, difronte ad un incombente rischio di overload informativo, qual è la giusta misura? Come declinerebbe il concetto di “ecologia dell'informazione”?
Ecologia dell'informazione mi fa venire in mente il tentativo di selezionare, dentro il fiume di notizie da cui siamo sommersi tutti i giorni, quelle realmente importanti, quelle che possono fare la differenza, o cambiare – possibilmente in meglio – le nostre vite, e dargli spazio, farle crescere.