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Dossier. Brianza che vieni, Brianza che vai. «Ora ho la speranza di vivere in pace e libertà , ma sono triste perché ho visto tanti miei fratelli, tanti uomini, tante donne, tanti bambini morire annegati. Anche loro volevano vivere in pace e in libertà ma sono morti nel mare di Lampedusa»

Vogliamo inaugurare il nuovo dossier di Vorrei “Brianza che vieni, Brianza che vai” con la testimonianza data da Albatour alla celebrazione per i 120 anni della Camera del lavoro di Monza. Gli articoli che raccoglieremo da oggi alla fine del 2013 racconteranno esperienze di persone che per motivi assai diversi hanno cambiato orizzonte. Persone che sono arrivate in Brianza scappando da guerre, fame, povertà ma non solo. Anche persone arrivate qui per scelta sentimentale o più semplicemente professionale. Così come le esperienze di quanti, invece, dalla Brianza sono partiti per cercare e trovare altrove — vicino o lontano — la “propria” terra. Vogliamo raccontare la ricchezza di umanità, storia, conoscenza e cultura che il via vai può comportare. Quando è una scelta e quando non lo è. (AC)

 

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Io

 mi chiamo Albatour e vengo dal Mali. Quando sono arrivata in Italia avevo 19 anni, adesso ho 21 anni.
La mia storia è questa: ero andata in Libia ma dopo un mese è arrivata la guerra civile.
Subito dopo tutti i confini sono stati chiusi. Nessuno poteva entrare e nessuno poteva uscire. La guerra della Libia è stata difficile. Mio marito Moktar era nel deserto e in quel tempo io ero da sola a Tripoli. Quando è tornato i soldati una notte hanno rotto la nostra porta, sono entrati nella casa, hanno picchiato mio marito sull'anca, gliel'hanno rotta e hanno preso tutti i soldi. Cadevano le bombe e la gente moriva come pesci. Poi alcuni soldati sparavano. Quando le bombe scoppiavano tutte le case vicine cadevano sulla gente.

Quella mattina siamo andati al mare, siamo saliti sulla barca e loro ci sparavano ancora. Abbiamo fatto sei giorni sul mare senza acqua, senza mangiare, senza niente. La gente beveva acqua dal mare e vomitava. La nostra barca era rotta e adesso la gente piangeva e continuava a vomitare. Poi sono arrivati gli italiani con l'elicottero sopra le navi grandi che hanno salvato la nostra vita. Non so come ringraziare tutti gli italiani che ci hanno dato questa grande speranza. Siamo arrivati a Lampedusa, poi a Manduria e infine a Monza. Quando siamo arrivati a Monza hanno fatto la festa per noi e è stata una esperienza incredibile. A Monza hanno organizzato per insegnare l'italiano, venivano in casa a fare italiano. Poi abbiamo dovuto andare all'asilo notturno in via Raiberti 4 e c'era una signora che si chiama Anna e lei ci ha detto: venite a fare italiano. C'era anche un ragazzo che si chiama Walter e abbiamo cominciato a fare italiano lì. Poi io e Moktar siamo venuti a questa scuola che si chiama Cgil Monza, hanno scritto i nostri nomi, hanno detto venite a fare scuola, ci hanno dato i libri, i quaderni, le matite, le penne e i primi maestri che sono entrati in questa aula si chiamano Bruno, Roberto, Francesca e Davide.

Quando sono andata alla scuola della Cgil non parlavo l'italiano poi loro con esperienza hanno insegnato italiano dall'inizio. Dopo un anno ho avuto una bambina che si chiama Rukaya Glis e questa è la mia storia. Ora ho la speranza di vivere in pace e libertà , ma sono triste perché ho visto tanti miei fratelli, tanti uomini, tante donne, tanti bambini morire annegati. Anche loro volevano vivere in pace e in libertà ma sono morti nel mare di Lampedusa.