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Dossier. Brianza che vieni, Brianza che vai. Leonard ha 19 anni e presto partirà per il Sudafrica. Che razza di terra madre è quella che fa di tutto per mettere nelle condizione un suo figlio a prendere il sacco in spalla, inducendolo a partire.

 

L

eonard, mio figlio diciannovenne, il prossimo febbraio 2014 partirà per studiare e lavorare part-time nella Repubblica del Sud Africa. Non so davvero quando tornerà, e soprattutto se tornerà. Forse se ne starà via, per sempre. Lo vedo in procinto di partire davvero tanto motivato, convinto che lasciare l’Italia sia una scelta senz’altro dolorosa, ma necessaria per il suo futuro. Perché il suo futuro, mi ha detto qualche mese fa, ormai non abita più qui da noi.

È mio figlio, è quindi è difficile per me giudicare le sue attitudini con la giusta obiettività. Sicuramente non è un genio, ma è un ragazzo sveglio, ha buon cervello e devo dire che unisce una testa in equilibrio sulle spalle a una buona dose di sana incoscienza, giusto per trovare la forza di buttarsi in questa avventura africana tanto stimolante, ma dall’esito per nulla certo. Un po’ come i Conquistadores del XVI secolo, che lasciavano una esistenza senza chances nel vecchio Continente per andare a cercarsi oltreoceano il proprio Eldorado.

Mio figlio l’altro giorno mi ha domandato una cosa: mi ha chiesto se quello che stava pianificando (lasciare l’Italia per lavorare e studiare molto all’estero, per un periodo che non sarà certo breve) forse non fosse troppo azzardato per la sua età. Che dirgli? Gli ho risposto semplicemente che, se avesse rinunciato a porre in atto questo suo sogno, avrebbe rischiato per tutti i restanti anni della sua vita di vivere il rimpianto di non essere partito. Quindi vai pure, vola via lontano, verso l’Africa australe.

Avrei voluto dirgli anche di ben peggio, così come si ascolta nel film di Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso”: «Non ti far fottere dalla nostalgia», intima a un certo punto Alfredo-Noiret al piccolo Totò, raccomandandogli di non voltarsi indietro, di dimenticare la Sicilia «terra maligna».

Provo un misto di gioia per lui e di dolore per sapere che quel figlio mio lo potrò abbracciare a malapena una volta all’anno.

Non gli ho detto questo, perché forse l’Italia (e soprattutto, la Lombardia dove vivo) ancora “terra maligna” non è. Però mi chiedo che razza di terra madre è quella che fa di tutto per mettere nelle condizione un suo figlio di buone qualità, che magari avrebbe contribuito col suo lavoro e il suo impegno a costruire una Italia migliore, a prendere il sacco in spalla e la valigia legata con lo spago, inducendolo a partire.

Ogni tanto guardo mio figlio di nascosto, e non vedo per nulla sul suo sguardo l’apprensione di chi parte non sapendo bene dove va a finire. Si nota che è davvero contento di andar via. Quello che provo è allora davvero un misto di gioia per lui (per un mio ragazzo che pare davvero realizzare la sua avventura, giocandosi fino in fondo le carte che il destino e la vita gli hanno dato) e di dolore per sapere che – se tutto andrà come egli spera – quel figlio mio da qui in avanti nella mia vita lo potrò abbracciare a malapena solo una volta all’anno.

Cosa sarà del nostro Paese, se i tanti, troppi come lui che hanno lo spirito giusto per guardare al proprio futuro come sfida da vivere e da vincere, se ne vanno.

Sono i segni dei tempi, forse è giusto così. Epperò, mi chiedo cosa sarà del nostro Paese, se i tanti, troppi come lui che hanno lo spirito giusto per guardare al proprio futuro come sfida da vivere e da vincere, se ne vanno. E’ un vero fiume di carne, un patrimonio di risorse umane fresche e vive che portano tutta la loro freschezza altrove. Mai come con questi ragazzi e ragazze di buone speranze che partono, forse con un po’ di emozione e timore dentro ma con un sogno negli occhi e il vento nei capelli, credo che l’Italia rispecchi in essi uno dei suoi più pesanti elementi di fallimento.

Nel XXIII Canto dell’Iliade, dove si narrano i giochi funebri indetti da Achille sulla spiaggia in onore di Patroclo, il maturo Menelao – arrivato terzo alla gara dei cocchi dietro il giovane Antiloco – redarguisce quest’ultimo perché a suo dire lo ha superato con una scorrettezza. E Antiloco, onestamente, riconosce il suo errore con una risposta che mi pare essere il vero affresco di questi giovani italiani, esuberanti e un po’ sfrontati che ci lasciano qui da soli a invecchiare. Ecco il passo:

Re Menelao, mi compatisci, accorto
Antiloco rispose: giovinetto
son io: tu d'anni e di virtù mi vinci,
e dell'etade giovanil ben sai
i difetti: cuor caldo e poco senno.

Dell’etade giovanil ben sai i difetti: cuor caldo e poco senno”. Sorrido e mi viene da dire che il giovane, simpatico e onesto Antiloco aveva forse una troppa severa percezione dei suoi presunti difetti di gioventù: mai come oggi per l’Italia, perdere per sempre questi tanti giovani dal “cuor caldo e poco senno” (magari davvero un po’ folli, ma senza follia erasmiana un Paese non va da nessuna parte) rappresenterà un danno strategico grave, e forse persino mortale.