Intervista ad Alessandro Colombo, assistente sociale a contatto con il disagio psichico «Ho imparato che il disagio estremo non è mai estremo, l'essere umano ha una serie di infinite risorse che neanche si riesce ad immaginare»
Conosco Alessandro da quasi 25 anni, ho pensato di fare a lui che lavora da anni nella salute mentale alcune domande per raccontare come sia ancora possibile oggi lavorare con passione e innovazione nel campo del disagio e della sofferenza. Mi piace pensare che da Monza partano pensieri “lunghi” e “forti” e che si possa ancora pensare alla parte sana e buona di ciascuno come inalienabile.
Ci racconti chi sei, che formazione hai? che lavoro fai?
Mi chiamo Alessandro Colombo, ho quarant'anni, sono nato e vivo a Monza, città che amo. Mi sono formato professionalmente come assistente sociale e da sempre lavoro nella cooperazione sociale. Mi sono sempre occupato di salute mentale dapprima con la Cooperativa Farsi Prossimo e dal 2004 con la Filo di Arianna SCS Onlus sempre del Consorzio Farsi Prossimo e sempre promosse da Caritas Ambrosiana. Sono convinto però che la mia formazione non possa prescindere anche da un lungo cammino fatto in Oratorio come educatore. La mia "carriera" inizia nel 1999 al Paolo Pini di Milano, giovane e grosso, sono stato scelto come coordinatore di quella che doveva essere una comunità residenziale con gli ultimi 12 ospiti (scusate ma non riuscirò mai a chiamarli pazienti o utenti) dell' ex manicomio milanese. Il progetto vedeva la realizzazione di un condominio solidale nel quartiere Bruzzano, adiacente a quello di Affori dove risiedevano. Il condominio solidale è una splendida realtà di buon vicinato tra famiglie che scelgono di vivere accanto a situazioni di bisogno in uno stile sobrio ma soprattutto di accoglienza e di condivisione. Da quattro anni sono il responsabile dell'Area Salute Mentale di tutta la Cooperativa quindi anche di altre due comunità residenziali e sei appartamenti per la residenzialità leggera.
Perchè hai scelto di lavorare nel campo della salute mentale?
Non ho scelto di andare, ho scelto di rimanere.
Cosa hai imparato lavorando con persone che vivono una condizione di disagio estremo?
Ho imparato che il disagio estremo non è mai estremo, l'essere umano ha una serie di infinite risorse che neanche si riesce ad immaginare. Credo che noi operatori sociali siamo chiamati a dare speranza a volte prima ancora di dare risposte concrete. Ho imparato che la salute mentale riguarda ognuno di noi come il cibo, il dormire e andare in bagno. Se lasci trascorrere troppo tempo senza occupartene soffri parecchio. I poveri mi hanno sempre dato tanto, sono loro che mi hanno fatto capire la speranza prima ancora che io mi stupissi ad immaginarla, sono loro che mi fanno accorgere di quanto sia incredibile e bella la vita, sono loro che mi parlano della vera bellezza e mi danno un senso profondo, sono loro che mi fanno accorgere dei miei limiti, sono loro che mi parlano di Dio.
Cosa vuol dire per te terapeutico?
Percorso verso un benessere il più stabile ed elevato possibile. Benessere inteso come qualità della vita.
Cosa significa per te la parola cura?
Accompagnamento a questo percorso.
Ci racconti uno o più progetti che hanno cambiato o stanno cambiano la qualità della vita delle persone con cui lavori?
Il condominio solidale che ho spiegato prima credo sia una risposta concreta a dilla crisi che ci sta attraversano, non solo in senso economico ma soprattutto morale, valoriale e a relazionale, le nuove povertà credo abbiano in comune la solitudine e l'assenza di relazioni. Ho incontrato tanta indifferenza ma anche molta meravigliosa accoglienza, dal panettiere e il bar di Bruzzano ai nostri dirimpettai, da chi crede nei nostri progetti a chi ci sostiene anche con piccole donazioni. I volontari che fanno esperienze con noi danno il valore aggiunto della nostra qualità di servizio. Mai avrei pensato di andare al mare in un albergo vero senza che questo fosse evacuato ogni sera....Avrei tante storie più semplici da raccontare ma non so quanti chilometri di carta ho a disposizione
Quali pregiudizi ci sono ancora sulla malattia psichica?
Il pregiudizio sulla malattia psichica c'è ancora e come tutti i pregiudizi è un'erbaccia che cresce grazie all'ignoranza e alla paura. Si possono combattere entrambe con la cultura che credo sia una vera rivoluzione tra le più difficili e lunghe nella storia dell'uomo. Si ha paura di aver paura e spesso si vuole fuggire dal fatto che la paura riguarda tutti, proprio come la salute mentale; ci accompagna e ci attraversa in tutte le fasi della vita. Il dramma è quando si vuole sconfiggere la paura con la violenza, generando altra violenza e quindi altra paura in un tragico circolo vizioso. Si ha paura soprattutto delle cose che non si conoscono, ed è per questo che dobbiamo impegnarci il più possibile a far conoscere quanto si riesca a fare di bello anche con la malattia psichica. Anche io ho avuto paura tante volte, ricordo il primo giorno che sono entrato nel reparto del Paolo Pini... mi hanno salvato le parole di una mia amica che c'era già stata e mi ha raccontato com'era...
Quanto conta il territorio e la cittadinanza nella lotta allo stigma?
Conta tantissimo, credo molto nel motto "la cittadinanza è terapeutica" proprio perché è una comunità. Sono altresì convinto che la cittadinanza faccia bene ai matti e i matti facciano bene alla cittadinanza. le cose però non nascono da sole, bisogna sensibilizzare, comunicare, partecipare e vivere.
Ci parli di qualche paziente che ti ha insegnato qualcosa che non scorderai mai più?
Una delle prime frasi che Giulio Cesare Ottaviano Augustolo mi ha detto è stata: "C'è la luna di giorno!". Io prima ho pensato che stesse male, poi ho guardato dalla finestra, ed era vero. La prima notte di Natale che ho passato insieme ai miei fratelli nevicava e lui preoccupato mi diceva che stava cadendo il cielo. Ci siamo sdraiati insieme sotto il letto dell'ospedale così il materasso ci avrebbe coperti, è stata una veglia bellissima. Francesco un giorno, passeggiando da soli nel parco del Paolo Pini, mi ha chiesto se in Paradiso saremo tutti uguali. Era la prima frase di senso compiuto che gli sentivo dire. Non ho risposto, ci siamo abbracciati. Il Papa Angelo Wojtyla mi ha fatto diacono permanete dopo che avevo aperto le porte del reparto e gli avevo permesso di uscire da solo, quando dopo otto anni che ci conoscevamo gli ho detto che stava per morire per un tumore si è messo a ridere e ci siamo bevuti insieme un crodino. Renato Hitler Mussolini dallo sguardo aguzzino mi diceva sempre buon giorno come se mi dovesse mandare a quel tal paese. Quando ci fu il processo per l'interdizione al giudice disse che non aveva bisogno di nulla perché c'ero io a pensare a tutto. Carlo non mi ha mai detto nulla, ma dieci anni fa ha disegnato un volto di donna meraviglioso che ancora conservo. Aldo era alto poco più di un metro ed è l'unica persona al mondo ad essere riuscita a buttarmi a terra, mi ha insegnato un nuovo concetto di libertà. E' morto volando. Coltivo da almeno dieci anni il desiderio di scrivere un libro di storie di vite che ho incontrato. Potrei continuare per ore, ma grazie di avermi fatto iniziare...
La parte più brutta del tuo lavoro?
Il senso di impotenza, il fallimento, le fatiche del lavorare in gruppo. L'incomprensione, la precarietà. La debolezza.
La parte più bella del tuo lavoro?
La creatività, la progettualità, la relazionalità, l'accoglienza, ma soprattutto la follia.
Nella foto un dettaglio del ritratto di Mechtilde Lichnowsky dipinto da Oskar Kokoschka nel 1916