Nella ricorrenza del 25 novembre, l’incontro con la criminologa Cinzia Mammoliti nell’ambito delle iniziative promosse dal Comune di Seregno: un’analisi dello stato nascente della violenza in ambito domestico e lavorativo, un’occasione per una più generale riflessione su una società che tollera l’abuso sulle persone nelle più diverse forme.
Da vent’anni ormai si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne, nel giorno, il 25 novembre, in cui le donne latino-americane organizzarono nel 1981 un Incontro Internazionale Femminista, in ricordo di tre sorelle dominicane vittime di inaudita violenza da parte degli sgherri del dittatore Trujillo. Erano allora gli anni Sessanta, ma di donne uccise, stuprate, abusate, annullate fino all’induzione al suicidio, in ogni parte del mondo, è piena anche oggi la cronaca quotidiana: dall’America Latina all’India, dal Medio Oriente fino alla democratica e civile Europa. Diverse circostanze politiche, sociali e culturali, identico male endemico. Anche in Italia, la tradizionale distanza tra le regioni italiane scompare in relazione ai dati che vedono in pratica affiancate Lombardia e Campania, con una leggera precedenza della prima, quando si guarda ai dati relativi alla violenza sulle donne ( Rapporto EURES ).
L’impressione è che in questo campo ci sia una sorta di recrudescenza, anche se in buona parte essa è dovuta alla maggiore circolazione dell’informazione e alle maggiori possibilità che hanno le donne stesse di opporre una qualche difesa, incoraggiate e sostenute da una mobilitazione crescente delle associazioni femminili e delle istituzioni, dai progressi nella legislazione, dalla presenza sul territorio di presìdi come il CA.DO.M, il Centro aiuto alle donne maltrattate operante a Monza, e i tanti Centri Antiviolenza sparsi un po’ in tutta Italia.
“Molto è stato fatto, ma molto rimane ancora da fare”, sintetizza Lorella Beretta, giornalista free lance appassionata al tema, nell’introdurre il primo degli incontri organizzati dal Comune di Seregno, per iniziativa delle assessore Laura Capelli, Federica Perelli e Ivana Mariani. Già dallo scorso anno, l’Amministrazione seregnese ha optato per un approccio multidisciplinare, che fornisse molteplici stimoli di riflessione con strumenti diversi: incontri con operatori ed esperti, immagini, spettacoli, laboratori. Oltre all’installazione di panchine rosse in quattro punti della città, “segno tangibile nel tessuto urbano, segno che funga da monito e da permanente occasione di riflessione”, quest’anno si sono susseguiti negli spazi pubblici eventi davvero significativi, a cominciare dall’incontro “Non mi freghi più”, con la criminologa Cinzia Mammoliti, per proseguire con lo spettacolo teatrale “Di sabbia e di vento”, e con il workshop condotto dalla sociologa Carmen Leccardi attorno ai vissuti genitoriali, mentre le vetrine del centro esponevano i disegni di Stefania Spanò, in arte Anarkikka, vignettista e attivista femminista, autrice della mostra diffusa “Non chiamatelo raptus”.
In tutta la provincia di Monza e Brianza gli eventi programmati sono stati molti e vari, una lodevole gara fra comuni, enti e associazioni a fornire un doveroso contributo alla lotta l’eliminazione della violenza sulle donne attraverso l’informazione utile ed appropriata e la riflessione collettiva. Non sono mancati, in verità, alcuni interventi discutibili, come quello che nel capoluogo ha mobilitato uomini noti e autorevoli della città per “metterci la faccia”, dichiarando, da manifesti che esibiscono i loro profondi sguardi o i loro condiscendenti sorrisi, il proprio personale rispetto nei confronti delle donne: col risultato di mettere in risalto un protagonismo maschile e individuale, al quale, al di là delle buone intenzioni, sarebbe stato il caso di non fornire un palcoscenico in questa occasione, e proprio grazie ad essa. Una campagna analoga è stata scelta da RAI Uno, suscitando identica perplessità.
Ben altro è il modo in cui gli uomini possono dimostrare la loro solidarietà e vicinanza: attivandosi per provvedimenti legislativi sempre più utili o per il finanziamento dei Centri antiviolenza e dei fondi per i figli delle vittime di uxoricidio, ad esempio. Senz’altro quei rispettabili e rispettosi personaggi conducono nel sociale azioni positive, ma è appunto di queste che bisogna parlare, attivando conoscenze ed energie collettive; bisogna cercare strumenti di comprensione e di analisi delle relazioni umane, di cui tutti abbiamo bisogno, piuttosto che proporsi come esempi.
Uxoricidio, dicevo: perché, come è emerso nel dialogo tra Lorella Beretta e Cinzia Mammoliti, sia dal punto di vista della giornalista che, a maggior ragione, da quello della criminologa, la terminologia è importante; se ho voluto usare inizialmente il termine più corrente, invalso ormai nella comunicazione di massa per indicare l’uccisione di donne da parte dei “loro” uomini, scelgo invece per proseguire di adottare il termine più appropriato e corretto proposto dalla criminologa: uxoricidio, perché è nelle famiglie e nelle relazioni di coppia malate che cresce la violenza di cui sono vittime le donne (si vedano ancora i dati EURES). E’ questo il campo in cui Cinzia Mammoliti è riconosciuta come una delle maggiori esperte in Italia, autrice di numerosi testi sulla violenza psicologica e domestica, attiva nel fornire perizie legali, consulenze private, formazione di operatori (i suoi numerosi incarichi e i contatti si possono trovare sul suo sito www.cinziamammoliti.it ).
è nelle famiglie e nelle relazioni di coppia malate che cresce la violenza di cui sono vittime le donne
L’abuso psicologico, stato nascente, potremmo dire, della violenza, deriva da relazioni distorte, in cui a dominare sono le personalità narcisistiche nelle loro varie gradazioni, personalità che non sempre e necessariamente appartengono agli uomini: l’analisi della violenza psicologica proposta dalla Mammoliti non ha nulla a che vedere con sterili contrapposizioni di genere. Se in queste relazioni diciamo che c’è una vittima, dobbiamo però anche tener conto del fatto che c’è un certo grado di corresponsabilità, di complicità della stessa nel perdurare di una situazione perversa: è importante perciò che le persone non si identifichino con lo status di vittima, perché, dice Cinzia Mammoliti, “le parole le indossiamo come un abito, diventano noi”. Continueremo ad usare questo termine per “uniformità di linguaggio”, mentre per definire i diversi gradi di abuso disponiamo di termini differenti, come manipolazione e maltrattamento. La violenza psicologica non è però facilmente riconoscibile, tanto che non ha ancora in Italia un riconoscimento legale, manca una normativa, mancano gli strumenti per provarla in giudizio: è una materia che richiede un complesso approccio interdisciplinare. La sua definizione come “attentato al sistema identitario e all’autostima di una persona” è abbastanza sfuggente, anche se possiamo riconoscerla in azioni come l’umiliazione, la denigrazione, lo svilimento, il silenzio, ovvero la negazione della comunicazione, che è una delle armi più potenti della violenza psicologica. Non è solo all’interno della relazione uomo-donna che essa si manifesta, ma anche nei legami di sangue, ed è questo l’ambito, vastissimo e in buona parte sommerso, dove è più difficile riconoscerla, data la sacralità attribuita nella nostra cultura e nella nostra legislazione alla famiglia. E’ la stessa società a manipolarci quando spinge a restare in situazioni disfunzionali per rispettare la sacralità della famiglia! Si nascondono il più delle volte sotto lo stesso nostro tetto,“i serial killer dell’anima” dei quali parla il primo libro, uno dei primi in Italia, che Cinzia Mammoliti ha dedicato nel 2012 al tema, e al quale si ispira il suo corso on line all’indirizzo https://www.youtube.com/channel/UCgM6rlPiLpUsAWPQjFbX-GQ, in cui insegna a riconoscerli. Sono molto diffusi e spesso nascosti dietro maschere affascinanti, ma i peggiori, al limite del sadismo e della psicopatia, sono caratterizzati da senso grandioso del sè, percezione che tutto sia loro dovuto, mancanza di empatia, anaffettività. Il numero di psicopatici fra noi è elevatissimo, ma è un continente sommerso: lo psicopatico non è il matto, ma è spesso una persona brillante, che riscuote simpatia e successo, che occupa ruoli sociali di altissimo livello, un insospettabile che ha però disturbi nella sfera affettiva e comportamentale, ha una tendenza predatoria che agisce nel campo delle relazioni. Lo psicopatico va a caccia di persone le cui caratteristiche le predispongano a subire un depauperamento energetico: non si sporca le mani come l’uxoricida, ma porta le sue vittime a un lento suicidio.
Come sottrarsi alle relazioni malate? Al di là della definizione dei diversi profili di personalità disturbate, alcune delle quali sfuggono sia ad un facile riconoscimento che a qualsiasi trattamento, quel che conta è che la vittima riesca a sottrarsi alla relazione che prosciuga le sue energie e che fa sviluppare in lei pesanti conseguenze psicofisiche: è la stessa OMS a riconoscere un legame di causa effetto tra violenza subita e cancro al seno o all’utero. C’è, nel subire una relazione perversa, una modificazione del funzionamento psicofisico: si sviluppano malattie autoimmuni, entrano in circolo altri ormoni, neurotrasmettitori e sinapsi si modellano sulla situazione disfunzionale, esattamente come nelle dipendenze da sostanze, così che risulta sempre più difficile uscirne.
C’è, nel subire una relazione perversa, una modificazione del funzionamento psicofisico come nelle dipendenze da sostanze
Ma non c’è violenza psicologica senza uno stadio iniziale di manipolazione relazionale, una sorta di lavaggio del cervello che irretisce la vittima e la predispone a subire. Quando lo stile relazionale dominante è la comunicazione menzognera, o ambigua e contraddittoria, aggressiva o aggressivo-passiva, possiamo dire che ci sono tutti i segnali del pericolo: ed è qui che scatta la responsabilità della vittima, che deve sottrarsi al gioco perverso se non vuole cadere nell’autodistruzione. Ci sono persone, soprattutto fra le donne, che più di altre tendono alla dipendenza affettiva: è di queste che parlava già molti anni fa Robin Norwood nel suo “Donne che amano troppo”, e sono queste che devono imparare a difendersi. Bisogna imparare a riconoscere i “vampiri energetici”, gente che ha un vuoto dentro e che per riempire questo vuoto deve sottrarre energia agli altri: come nella leggenda, però, il vampiro può agire solo se è la vittima ad aprirgli la porta. C’è sempre, perciò, un momento in cui può rifiutarsi di farlo ancora, accettando di pagare conseguenze che saranno di certo meno gravi e prolungate della propria autodistruzione. E’ a questo che serve l’aiuto di chi conosce bene il nemico e può suggerire strategie di autodifesa.
Una di queste è la contromanipolazione, a cui sarà dedicato il nuovo libro di Cinzia Mammoliti: quando è impossibile sottrarsi fisicamente alla relazione, dobbiamo sottrarci al senso di colpa e alla paura con cui il manipolatore tenta di controllarci, approntando trappole psicologiche. L’empatia che spesso caratterizza le potenziali vittime, può consentire loro di comprendere il disturbo dell’altro, e averne compassione, invece che sentirsene arrabbiate e offese, uscendo così da un piano di soggezione, e di conseguenza potendosi disporre ad opporre un sereno rifiuto al gioco della sottomissione alle altrui esigenze di dominio, senza ricorrere a spiegazioni autodifensive: è questo il lavoro che si può fare sul piano individuale.
ma il vampiro può agire solo se è la vittima ad aprirgli la porta.
La responsabilità collettiva è però enorme quanto la diffusione della violenza psicologica, che uccide anche più spesso della violenza fisica. Se la legislazione e la ricerca in merito avanzano così lentamente, se i presidi sono insufficienti, è perché la stessa società è controllata da manipolatori, nascosti dietro le loro maschere autorevoli o seduttive. E’ perché alle donne è stato insegnato che senza un uomo sono niente, che non valgono nulla se non rispondono agli stereotipi imposti dal desiderio maschile: sempre di più il narcisismo domina gli atteggiamenti diffusi a livello di massa, e l’informazione si adegua a schemi sempre più superficiali e nocivi, spettacolarizzando gli episodi di violenza e raccontandoli in modo decontestualizzato, puntando spesso solo alla creazione del mostro. Forse qualcosa sta cambiando, se le favole non raccontano più che dietro al mostro si nasconde un principe, ma che accade più spesso il contrario. Ci sono elementi di degrado culturale ed educativo che fanno pensare ad un tentativo di distruzione psicologica di un’intera generazione, come quello messo in atto con la diffusione delle droghe nella generazione precedente, e tuttavia resistono ancora elementi e strutture che possiamo e dobbiamo difendere e da cui possiamo essere difesi. C’è speranza, insomma, se le istituzioni ci offrono incontri come questo che ho provato a raccontare e se persone competenti e generose come Cinzia Mammoliti continuano a scrivere, ad insegnare, a lottare contro la violenza più subdola e deleteria che si annida nelle famiglie e nei luoghi di lavoro.