Che cos’è il “debate”? Un confronto a squadre, una metodologia di apprendimento consistente in gare di dibattito su temi di attualità, che permette agli studenti di approfondire argomenti in modo autonomo.
Da diversi anni nelle scuole italiane si sta progressivamente affermando l’uso di una pratica didattica importata dal mondo anglosassone: il Debate. Il Ministero dell’Istruzione lo ha inserito tra le attività “ad alto valore formativo” da sostenere e diffondere. Reti di scuole, Università, associazioni onlus organizzano Olimpiadi, campionati regionali e nazionali di Debate. Le scuole lo inseriscono nelle proprie offerte formative, ne adoperano la forza attrattiva per accaparrarsi iscrizioni di studenti durante le fiere degli open days.
Che cos’è? Un confronto a squadre, una metodologia di apprendimento consistente in gare di dibattito su temi di attualità, che permette agli studenti di approfondire argomenti in modo autonomo.
Il regolamento da rispettare nelle varie fasi del confronto dialettico è molto rigido e dettagliato, onde evitare gli infantili – e avvilenti – spettacoli dei dibattiti tra adulti. Ogni squadra ha in genere tre oratori che sostengono pubblicamente una tesi - e cercano di convincere una giuria - e tre uditori che, nei time-out tra un intervento e l’altro, suggeriscono agli oratori come controbattere efficacemente alle tesi degli avversari. Il cronometro scandisce inflessibilmente i tempi di ogni intervento per scongiurare logorree e la contesa dura meno di un’ora, compresa una fase di una decina di minuti di dibattito libero tra gli oratori (col divieto di sovrapporre le voci) e comprese le pause perché ogni squadra riorganizzi i propri argomenti in base all’andamento del confronto.
Durante il dibattito l’uso di pc e smartphone è in genere proibito: la preparazione degli argomenti, la ricerca di fonti attendibili di informazione su dati, statistiche, normative va fatta a monte. Essere a conoscenza delle principali tipologie di fallacie logiche aiuta a smascherare eventuali svarioni degli avversari, anche se quella alle nostre latitudini più diffusa di tutte, quella “ad hominem”, la più banale, sembra sconosciuta alla quasi totalità dei giornalisti impegnati in un’intervista.
Ius soli, diritti degli animali, recupero di sovranità degli Stati, guerra giusta, acqua pubblica, eugenetica: i temi proposti possono essere i più vari, l’importante è che siano posti in modo preciso e divisivo, così che due tesi si possano scontrare senza soluzioni mediane e sfumature.
I fautori del Debate insistono sui vantaggi educativi di questa pratica: studio di questioni non previste dai programmi, ricerca di informazioni fondate, sviluppo di logiche argomentative ordinate e coerenti, capacità di collaborare in un gruppo e di migliorare le abilità comunicative verbali e non. Ma anche obiettivi come problematizzare le conoscenze, individuare alternative e sapersi mettere nei panni degli altri, anticipandone e rispettandone i punti di vista.
Altri invece sottolineano insidie e punti deboli: questa metodologia premierebbe la retorica e i suoi trucchi per ottenere ragione invece che i contenuti, ecciterebbe gli studenti alla competizione e non alla collaborazione, costringerebbe i membri di una squadra a difendere una opinione che non condividono (chi è pro e chi è contro viene stabilito da un sorteggio) promuovendo così l’interesse sofistico al prevalere nelle discussioni piuttosto che l’attenzione alla verità.
Ad oggi non è dato sapere se il pischello di Torre Maura che con argomenti semplici e chiari ha ribattuto colpo su colpo ai megafoni di Casa Pound, a quell’alternarsi di paternalismo e minacce che è il tratto caratteristico dell’eterno fascismo italiano, abbia o meno alle spalle esperienze scolastiche di Debate.