Storie della quarta età. Tra i peccati che ogni sabato dovevo confessare c’era sempre: “Ho letto un libro per adulti”. Come penitenza, mi veniva richiesto di smettere di leggere o di cercare agiografie di Sante giovinette: non riuscivo ad obbedire!
Mia madre, pur avendo frequentato solo quattro classi elementari, leggeva molto bene: sia utilizzando un’impostazione di voce adatta a testi diversi, sia trovando il tempo ogni giorno per nutrire questa sua passione sfogliando un quotidiano o appassionandosi alle vicende narrate in un romanzo preso in prestito dalla biblioteca parrocchiale.
A quei tempi, ancora non c’era Carosello, ma prima di dormire la mamma veniva in camera, si sedeva sul bordo del letto matrimoniale e a noi quattro bambine, assiepate in quello di una piazza e mezza, quasi come preghiera serale leggeva qualche pagina di un libro di racconti: poteva essere un episodio della Storia Sacra o pagine scelte dei Promessi Sposi…
Ci trasmise il piacere della lettura che io coltivo pure oggi; leggo di notte, chiedendo scusa a mio padre che non me lo permetteva dichiarando insensati chi “vendeva il sole per comprare il petrolio!”. Erano scarsi i libri per bambini ottanta anni fa: la maestra ne conservava alcuni in un armadio a vetri in classe, ne potevamo avere in prestito due al mese e dovevamo restituirli in ordine. In casa non se ne acquistavano, perché lo stipendio del papà bastava solo per una dignitosa sopravvivenza.
Ho sempre letto disordinatamente, attingendo a scarse fonti, fino a quando finalmente ho potuto frequentare persone che si nutrivano di libri come del pane. Ero in prima media quando, non so come, trovai di Emile Zola “Teresa Raquin” e ne ebbi una impressione forte e indimenticabile.
Tra i peccati che ogni sabato dovevo confessare c’era sempre: “Ho letto un libro per adulti”. Come penitenza, mi veniva richiesto di smettere di leggere o di cercare agiografie di Sante giovinette: non riuscivo ad obbedire!
Avevo iniziato le Medie e l’antologia mi aprì orizzonti nuovi e poi la signora che mi aveva sostenuto con pezzi di cioccolato, mi introdusse nella ricca e qualificata biblioteca di casa; classici e novità facevano bella mostra in scaffali sulle tre pareti del suo studio.
“Lunga lettera a Bianca” di Antonio Greppi lo considero ancora un inno all’amore coniugale. I romanzi di Cronin erano avvincenti, rilessi più volte “La cittadella”. Mi innamorai de “La prima moglie” di cui vidi anche il film, identificandomi con la protagonista, non Rebecca, ma la timida e poco appariscente Joan Fontaine.
Le favole mi interessavano poco ma devo a Pinkola Estes la scoperta del significato delle più note nel testo “Donne che corrono coi lupi”: mi servì anche come insegnante per capire le diverse interpretazioni delle scolarette, sempre pronte a sceneggiare una fiaba e addirittura a propormi di cambiare il finale, se lo ritenevano non di loro gradimento! Rinnovai questa esperienza anche come mamma e nonna.
Non potei esimermi dal leggere a voce alta in classe i racconti mensili de libro “Cuore”, o “La capanna dello zio Tom”: piansi con le scolare su “Mani nere e cuor d’oro!”, ma soprattutto su “L’incompreso” forse facendo del male a loro e a me stessa.
Ogni volta che ripartivo dalla prima elementare, rileggevo Pinocchio e mai uditorio fu così interessato alle vicende di un burattino. Un anno uno scolaretto cadde dal quarto piano di casa: per fortuna si salvò, ma i genitori mi riferirono che, mentre era sedato e incosciente mormorava: “Maestra, maestra, Pinocchio per quanto tempo resterà appeso all’albero?”
“La buona terra” di Pearl Buck mi sconcertò e desiderai approfondire la conoscenza della Cina. Da piccola avevo letto “Gli occhiali della nonna”; ricercai quel romanzo per ragazzi e me ne trovò una copia mio figlio non so in quale fondo di magazzino: volevo sperimentare l’effetto che poteva farmi sentire, a distanza di decenni, la storia di una nonna che misteriosamente poteva mantenere un nipote, togliendo dalle stanghette dei suoi occhiali, un piccolo diamante ogni volta che era necessario.
Mio figlio, quando viene a trovarmi, mi porta un “gratta e vinci” — lo acquista da un tabaccaio non sotto casa sua, perché si vergogna — ma gode del mio stupore, osservando con quanta frenesia cerco di scoprire se ho vinto qualcosa. Leggo che lo Stato condanna i giochi d’azzardo, ma non possedendo degli occhiali magici per eventualmente contribuire alle spese per viaggi all’estero dei nipoti sarei così contenta di aiutare i giovani a conoscere il mondo non solo sui libri ma calpestando terre lontane, incontrando la Storia là dove si è svolta, facendo propri paesaggi ed ideali.
Personalmente, senza muovermi da casa, continuerò a leggere: da sdraiata, di notte, piangendo, ridendo. Vegliando, a volte, fino all’alba. Sentendomi parente stretta di donne e uomini che raccontano o si raccontano anche per me.