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Dossier. Le donne, ad esempio.  L'ultimo libro del sociologo e scrittore è una raccolta di microstorie le cui protagoniste sono donne italiane, misconosciute ai più, che con il loro impegno quotidiano per la collettività rendono più bella l'Italia «Bisognerebbe creare dei meccanismi di consenso, magari anche di emulazione, nei confronti delle persone che fanno bene.»

Nando dalla Chiesa ci ha accolto nel suo appartamento cittadino in un'uggiosa giornata primaverile: è un uomo gentile, dallo sguardo aperto e sorridente. Nella sala dove siamo seduti campeggiano tanti libri e, in un angolo, una grande foto del generale dalla Chiesa che ci riporta alla mente un'altra Italia e tante battaglie.

Bisognerebbe creare dei meccanismi di consenso, magari anche di emulazione, nei confronti delle persone che fanno bene.

Nando dalla Chiesa è sociologo, politico, scrittore. Insegna Sociologia della criminalità organizzata all’Università degli Studi di Milano, è commissario antimafia per il Comune di Milano e Presidente onorario di Libera. Per la Melampo, casa editrice che ha fondato con due ex allievi, ha recentemente pubblicato “I fiori dell'Oleandro”: una raccolta di microstorie, nata sulla scia della rubrica “Storie d'Italia” pubblicata sul Fatto Quotidiano, le cui protagoniste sono donne italiane, misconosciute ai più che, con il loro impegno quotidiano per la collettività, rendono più bella l'Italia.

 

Come nasce l'idea di questo libro?
L'idea di scrivere sul “Fatto quotidiano” queste storie nasce dal desiderio di raccontare le persone che incontro nei miei vaggi. Giro molto per l’Italia e, normalmente, sono invitato da persone belle, sono tante e danno un senso diverso alla visione del paese. Queste persone fanno cose belle per la collettività e ho voluto raccontarle, perchè raccontare il bello incoraggia e motiva. La nostra non è una società generosa.

Che cosa intende?
Se quello che si fa di buono non è mai una notizia per nessuno e sembra che la notizia la faccia soltanto il male, è chiaro che, a un certo punto, sembra che chi fa le cose buone resti anonimo per tutti. Bisognerebbe proprio rovesciare, creare dei meccanismi di consenso, magari anche di emulazione, nei confronti delle persone che fanno bene.

Perchè le protagoniste sono le donne?
Perchè sono le più trascurate, sono le più abituate ad essere trascurate, nonostante i progressi che ci sono stati.
Nel libro racconto di donne che fanno cose grandiose per la società ma non hanno la considerazione che meriterebbero, scompaiono: perchè? Se fossero uomini non succederebbe così. Io ho vissuto l'esperienza dei girotondi, nel 2002/2003, ed è stata una storia femminile: io continuavo a incontrare donne, a roma, milano, napoli, donne! Però quando poi si parla della storia dei girotondi è tutta al maschile: Nanni Moretti, Flores D'Arcais, Pancho Pardi... Io però incontravo le donne!

Nel libro racconto di donne che fanno cose grandiose per la società ma non hanno la considerazione che meriterebbero, scompaiono

Perchè avviene questo?
Perchè la scrivono gli uomini la storia, la donna è meno invasiva e invadente, vuole mettere meno il segno della sua presenza, si mette da parte, specialmente quando ci sono attriti.

Anche in politica?
In politica la donna va avanti solo se è legata a un uomo, affettivamente o per corrente, da sola non ce la fa. Ovviamente ho riscontrato ciò a livello nazionale, il livello locale è meno legato a certe logiche di potere.

In politica la donna va avanti solo se è legata a un uomo, affettivamente o per corrente

Nell'introduzione del libro definisce le donne protagoniste delle storie narrate come “le belle minoranze”: chi sono, invece, le donne che appartengono alla maggioranza?
Sono come la maggioranza del paese: non è una bella maggioranza quella del paese, altrimenti non saremmo ridotti in questo stato. E' inutile dare la colpa alla politica. Io però penso che i paesi cambino grazie alle minoranze. Un conto è dire che le maggioranze hanno il diritto di governare, un conto è dire che le maggioranze hanno sempre ragione.

A Berkeley negli anni '60 soltanto il 2% degli studenti ha partecipato al movimento studentesco. Eppure, da lì, è venuto fuori il più grande movimento di contestazione del '900

Infatti, nell'introduzione del libro, ha scritto che le “minoranze fanno la storia”.
Si, c'è una cosa che mi ha colpito molto studiando il movimento di Berkeley degli anni '60: soltanto il 2% degli studenti ha partecipato al movimento studentesco. Eppure, da lì, è venuto fuori il più grande movimento di contestazione del '900. Quindi, dipende sempre se è una minoranza che si incista in se stessa o è una minoranza che pensa per gli altri, per il mondo e sa lanciare delle idee, creare degli esempi. In questo caso, non si tratta di donne che si chiudono in se stesse ma di donne che danno. C'è una trama visibile nella società che, alla fine, compone l'oleandro.

Quali sono le minoranze femminili che hanno dato un contributo alla storia europea?
Le sindacaliste, le intellettuali, le donne dei diritti civili per quanto riguarda la costruzione europea.

L'immagine attuale è legata al fisico, c'è stato un rigurgito maschilista che non avremmo mai pensato, alla fine degli anni '70

Le donne di cui scrive hanno età diverse: che differenze generazionali ha riscontrato in termini di opportunità sociali?
Oggi la donna ha accesso a settori cruciali un tempo preclusi: medicina, avvocatura, magistratura, il management aziendale, la stessa politica. Il problema è che la sua immagine è refluita. L'immagine attuale è legata al fisico, c'è stato un rigurgito maschilista che non avremmo mai pensato, alla fine degli anni '70, che potesse essere così potente. Mi ricordo che, negli anni ’80, per Società Civile facemmo una copertina per denunciare il rigurgito maschilista: c'eranno donne nude sulle copertine di Panorama e l’Espresso, donne nude dappertutto. Poi è andata sempre peggio, c'è stata la tv di Berlusconi e è passato un messaggio pazzesco. La donna si attrezza di più, conosce di più, ottiene dei risultati migliori e, contemporaneamente, ritorna indietro come immagine. Questo si porta dietro, di fatto, l’annullamento di certi diritti, come quello della protezione della maternità: se diventi mamma sei un impaccio per l'azienda.

Le storie narrate attraversano l'Italia: ritiene che regioni diverse modellino differenti modi di essere donna?
Le differenze si sono attenuate. Lo vedo soprattutto tra le mie studentesse. Purtroppo, però, rimane il fatto che il disoccupato per eccellenza in Italia è la donna giovane del Sud. Quindi spesso capita che, essendoci meno lavoro, la donna tende a ricollocarsi nel tessuto sociale a cui appartiene, rimanendo ancorata all'idea di fare la casalinga o l'insegnante. E' più colta, ha più relazioni sociali di un tempo ma, di fatto, è un pò meno libera che al Nord, proprio per la questione del lavoro.

Le donne che si impegnano nell'antimafia hanno trasformato in fatto collettivo il lavoro di cura.

Nel libro “le ribelli” le protagoniste sono le donne che hanno combattuto contro la mafia; anche in questo libro ricorre il tema della lotta alla criminalità organizzata: per lei l'antimafia è donna?
Si, assolutamente. C'è una vocazione femminile più forte a livello di massa, pensi al lavoro che fanno le insegnanti sull’antimafia nelle scuole. Le donne che si impegnano nell'antimafia hanno trasformato in fatto collettivo il lavoro di cura. Si prendono cura della società e dell'evoluzione civile del paese. Poi, essendo più lontane dalle logiche del potere, rifiutano la forma più feroce e cinica di esercizio del potere che è quella mafiosa.

In che modo le istituzioni possono sostenere l'antimafia?
Riconoscendola. Io spero sempre che il Presidente della Repubblica, la notte di capodanno, ringrazi gli insegnanti, ma non succede mai.

In commissione antimafia, di cui lei fa parte a Milano, di cosa vi state occupando?
Pisapia ci ha chiesto di occuparci anche di antimafia sociale ma, al momento, siamo su Expo e commercio.

Nel libro c'è un capitolo dedicato alle donne “politicamente belle”: C'è un modo femminile di declinare il potere oggi in Italia?
Spesso le donne al potere si adattano al modello maschile per logiche di sopravvivenza oppure, se arrivano al potere, è proprio perchè hanno introiettato una certa cultura maschile.

Cosa pensa dell quote rosa?
Non condivido l'idea ma è una cura necessaria. Spesso è ingiusto perchè ci sono donne che arrivano in Parlamento perchè sono donne, senza avere meriti, ma è necessario: le donne al potere sanciscono un principio.

Dal libro “le ribelli” è stato tratto uno spettacolo teatrale: crede che anche queste storie troveranno un palco e degli interpreti?
So che a Genova faranno dei reading dei “fiori dell'oleandro”: leggerà Raffaella Azim.

Quali sono i suoi progetti futuri?
Sono molto legato a Scienze Politiche, abbiamo anche fondato un osservatorio sulla criminalità organizzata ed è appena nata la specializzazione in problemi della criminalità organizzata. L'università è la cosa più importante. Credo nella conoscenza, un avversario che non si conosce non si combatte e noi non lo conosciamo.

Link Utili: www.nandodallachiesa.it

 

Per gentile concessione dell'editore Melampo, presentiamo uno dei apitoli del libro di Nando Dalla Chiesta “I fiori dell'oleandro”.

 

Giovani donne per Lea

È seduta per terra, Ilaria. Le gambe raccolte con le braccia intorno, le mani che tirano giù le maniche della felpa scura, quasi a trovarci un impossibile riparo. Sotto i capelli neri, lunghi e ricci i due occhi grandissimi continuano a bagnarsi. La bellezza giovanile e disadorna appare stupefatta dalla commozione. Tiene lo sguardo al palco su cui è deposta la bara, che lei stessa ha portato lì a spalle insieme ad Andrea, un giovane torinese, e ad altre quattro ragazze: Martina, Silvia, Jessica, Marta, dalla provincia di Pavia a quella di Bergamo. Cinque giovani donne per portare con la prima solennità della vita i resti leggerissimi di una donna che oggi non arriverebbe ai quaranta: Lea Garofalo, testimone di giustizia fatta uccidere e bruciare dal marito Carlo Cosco e dal suo clan. Ilaria guarda don Ciotti, tra rose, girasoli e margherite, un’infinità di margherite, mandate in regalo da un floricoltore di Vittoria. Ascolta le brevi parole in diretta di Denise, la giovanissima figlia di Lea che ha trovato il coraggio di accusare il padre, e piange; lo fanno in tanti, anche gli adulti, nella piazza intitolata a Cesare Beccaria, il giurista che mise al bando la pena di morte. Lavora a Coop-Lombardia, Ilaria, politiche sociali. Conquista le scolaresche quando parla dell’impegno del movimento cooperativo per fare arrivare sulle tavole i prodotti dei beni confiscati alle mafie. Ma l’incontro anche fisico con la storia di Lea sembra averla restituita per un giorno agli sgomenti dell’adolescenza.

20140512-dalla-chiesa-oleandro-coverUn po’ più in là c’è Martina, anche lei è arrivata presto per partecipare da vicino. Anche lei un po’ più che ventenne. Sta dall’altra parte delle transenne, appoggiata alle sbarre con i grandi occhiali che riescono appena a nascondere l’emozione che arriva a fiotti, tra le note di Battiato, Capossela, Vasco e De André, quelle preferite da Lea. Fotografa spesso, come a fissare immagini che resteranno nella sua vita di giovane schierata da qualche anno dalla parte dell’antimafia: una ricerca sul campo sulla ’ndrangheta in Germania destinata, dice con orgoglio, a uscire in questi giorni su “Narcomafie”.

Un po’ dietro c’è Sara, l’impegno civile fatto ragazza. Lei scatta foto in ogni direzione. I capelli ricci castani, la faccia splendida e impunita, è ormai una habitué dei campi confiscati, è stata in Calabria a studiare lo sfruttamento dei migranti di Rosarno. Poi a Wrexham, in Galles, in un centro di accoglienza per le ragazze nere vittime del traffico di umani. Sta partendo per un progetto di studio all’estero, prima Tarragona poi Beirut. Non si contiene, Sara, ci mette minuti ad asciugarsi le guance, quando Enza Rando, l’avvocato di Denise, legge il testo di una lettera straziante scritta da Lea Garofalo. Una lettera mai spedita, indirizzata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Dignitosa, consapevole. Sono una madre sola e disperata, dice, e so solo quale sarà la mia fine: sarò uccisa. Una richiesta di aiuto per sé e per le persone nella sua condizione. Asciutta, breve, terribile. Sara non resiste. Avvolta in una delle bandiere arancioni con il volto di Lea e la scritta “io vedo, io sento, io parlo”, si fa fuscello, come atterrita dal clima evocato da quelle parole, scritte in chissà quale cucina, tinello o sala d’aspetto.

Poi c’è un’altra Ilaria, che ai venti non arriva. Che sta conducendo al liceo Virgilio di Milano, avanguardia del movimento antimafia nelle scuole cittadine, un ciclo di lezioni proprio sulla mafia. I capelli biondi raccolti indietro, presenta programmi, tira fuori i suoi libri, spiega, distribuisce la parola agli ospiti, dà appuntamenti per il momento del “fare”. C’è anche la sua solarità nella folla, a organizzare la piazza. E con lei Marilena, che invece studia fisica ed è stata tra le decine di giovani che per due anni si sono dati la staffetta a Palazzo di giustizia per stare idealmente accanto a Denise, la coetanea mai vista, perché anche quando ha testimoniato era schermata da un paravento.

Davvero una giornata di emozioni e di dignità civile, guidata da questa “meraviglia di gioventù”, come ha detto dal palco don Ciotti. Con tanti ragazzi, naturalmente. Se qui si è parlato solo di ragazze, è perché la loro rivolta civile ha un senso particolare. Il potere più maschilista e totalitario ha pensato che uccidere e bruciare una donna fosse un fatto privato, giustificato dalle leggi dell’onore. Le ragazze invece dicono che è un grande fatto pubblico. Nelle loro speranze, la sconfitta della ’ndrangheta in Lombardia partirà dalle donne. Destinate a ubbidire e invece ribelli. Destinate a tacere e invece testimoni collettive. L’antimafia con gli occhi lucidi ha, ancora una volta, un orgoglio femminile.

20 ottobre 2013