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Rachel Moran a Vimercate invita all'azione politica per contrastare ogni forma di prostituzione, anche quelle legali. Perché un consenso pagato non è mai vero consenso e la prostituzione è sempre un atto violento.

Statale dei Giovi, una sera in settimana, il buio è già sceso e le auto sfilano incessanti in ambo le direzioni. Ai lati della carreggiata, in ogni angolo dove ci sia uno spazio, ci sono giovani ragazze in attesa dei loro clienti. Non mi capita spesso di passare di qui e sono quasi, stupidamente, sorpreso.

Persi nel fiume delle nostre vite, dei loro fatti, delle loro cento notifiche/ora, finché le cose non ci si parano davanti agli occhi, tendiamo a rimuovere, a non pensarci. Siamo sempre nel flusso, di quel che abbiamo da fare ora, di quel che dovremo fare dopo. Nel frattempo, ogni giorno, ogni sera, lontano dai nostri pensieri e spesso dai nostri sguardi, qui sulla Statale dei Giovi, come in altri milioni di luoghi sulla Terra, ci sono persone che si prostituiscono e clienti che si fermano.

Da amministratore comunale che non ha mai affrontato il problema e forse, proprio per questo, pecca di ingenuità, mi chiedo come possano le istituzioni di questo territorio non intervenire. Il problema è nei loro comuni, tra le case dei loro concittadini. 

Il giorno dopo, mentre come ogni mattina entro a scuola, vengo a sapere di un incontro sul tema della prostituzione, giovedì 24 maggio, presso l'auditorium della Biblioteca di Vimercate: l'Associazione Minerva e Lista Civica Italiana hanno invitato in Brianza Rachel Moran, ex prostituta, ora attivista e autrice del libro “Stupro a pagamento” (Round Robin, 2017).

L'iniziativa non è estemporanea: si colloca dentro un lungo lavoro di approfondimento intitolato “Il costo del sesso”, giunto al suo secondo anno di vita, con cui gli organizzatori hanno deciso di affrontare il tema della prostituzione tramite studi e raccolta di testimonianze. Mi sembra un evento importante, doveroso dopo i pensieri della sera precedente.

Quella di Rachel Moran è una testimonianza particolarmente significativa poiché restituisce l'esperienza drammatica di una persona che, dopo essere stata sulle strade per dieci anni, ha avuto la forza di uscire dal giro e dare inizio ad un movimento politico contro la prostituzione, anche quella considerata legale.

La sala è piuttosto popolata e la serata inizia con un'osservazione sorpresa da parte di Moran: «di solito alle mie presentazioni ci sono cinquanta donne e tre uomini. Stasera vedere un pubblico per metà maschile mi sorprende positivamente».

 

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Marco Stucchi, dell'Associazione Minerva, e Rachel Moran

 

L'incontro è guidato da Marco Stucchi dell'associazione Minerva, che inizia chiedendo a Moran di raccontare come sia finita nel giro della prostituzione: «Mi sono trovata in quel mondo per via della mia situazione familiare fragilissima: vengo da una famiglia con problemi psichiatrici ed economici. A 16 anni il disagio mi ha spinta a scappare di casa e a iniziare un vagabondaggio nella mia terra, l'Irlanda, per poi andare oltre e attraversare altri paesi. Era il 1990 quando sono scappata. Ho girato tanto e in diverse condizioni: a volte ero ospitata da case offerte dal servizio di assistenza sociale del luogo, altre volte ho passato periodi in alloggi di fortuna, ho dormito persino in qualche sottoscala».

Alla fine è il denaro lo strumento che unisce il consenso e la violenza.

«Una persona così giovane in queste condizioni – prosegue Moran - è facile preda dello sfruttatore di turno: gli uomini che incontravo non avevano nessuna remora a propormi di fare sesso o, se mi opponevo, anche a violentarmi. Ho passato tre anni in strada e cinque prostituendomi al chiuso; intorno a me c'erano molte altre ragazzine con alle spalle situazioni disperate, spesso avevano subito abusi già da piccole dentro i loro contesti familiari. Il tema che va collegato alla prostituzione è quindi quello del denaro. Alla fine è il denaro lo strumento che unisce il consenso e la violenza. A prescindere dal luogo in cui avviene, la natura della prostituzione è sempre la stessa, quindi non è corretto parlare di consenso. Il vero consenso non prevede forzature o pagamenti. Se vi chiedo di compiere una certa azione voi siete liberi di scegliere se farla oppure no. Ma se io vi pago il vostro consenso per quanto possa essere espresso non è vero consenso. Se ci fosse consenso non servirebbe il denaro».

Poi specifica: «Il denaro serve e serve sempre di più, come in un circolo vizioso. Per sopportare la repulsione che il tuo corpo ti comunica in quelle situazioni spesso molte donne incappano anche nelle dipendenze da sostanze stupefacenti. Io stesso sono finita a consumare grandi quantità di droga: l'unico modo per non sentire, per essere da un'altra parte».

...è falsa la narrazione della prostituzione vissuta come libera scelta.

«Quello che insomma vorrei farvi sapere rispetto al tema della prostituzione è che quella che sentite in giro è spesso propaganda: è falsa la narrazione della prostituzione vissuta a volte come libera scelta. Di 150 donne incontrate lungo la mia strada vi assicuro nessuna avrebbe mai voluto essere lì dove si trovava. Quello che non si capisce dall'esterno sono il danno e il dolore che le donne subiscono anche nei contesti più sicuri, igienici e regolamentati».

Per quanto riguarda la fine del suo periodo buio Moran racconta che: «L'abbandono di quel mondo da parte mia non è stato certo un momento da film, un momento felice. Il mio livello di tossicodipendenza verso i vent'anni era giunto a limiti pericolosi, spesso avevo delle gravi crisi che non mi permettevano di muovermi. L'arrivo di un figlio mi ha messa davanti a un bivio e mi ha dato la motivazione per raccogliere le forze, uscirne e cambiare. Dovevo costruire una vita migliore almeno per la responsabilità che da quel momento avevo nei confronti di un bambino. Non è stato facile: l'ho vissuto come un salto nel vuoto. Chi inizia così giovane spesso non ha gli strumenti per uscirne. Ma io a 22 anni sentivo di avere ancora delle prospettive. Sono tornata a scuola, mi sono laureata. E ora eccomi qui: ho scritto un libro per portare una speranza, per illuminare una possibile via di uscita».

Stucchi le chiede come secondo lei una prostituta oggi leggerebbe quelle pagine: «Vent'anni fa non sarei stata d'accordo con il contenuto di questo libro. Quando si è sfruttate, si è impegnate a sopportare ogni giorno una vita fatta di violazioni, di dita, di peni, di protettori aggressivi. Non si ha tempo per libri o per altro. Mi sarei arrabbiata in quel periodo avessi letto un libro di questo genere. Non mi sorprenderebbe incontrare l'irritazione di chi ora si sta prostituendo».

 

 

«In generale – prosegue - uscire con un libro simile vuol dire mettere i tuoi affetti più cari davanti alla tua storia di orribile sofferenza. Non è stato semplice, ma la spinta a un'azione politica per far luce sul tema alla fine ha prevalso».

Nella seconda parte della serata, sollecitata dalle domande del pubblico, Moran è passata ad analizzare quelle che a suo parere sono le più efficaci modalità per lavorare contro il mondo dei protettori e dello sfruttamento.

La prima cosa da fare è dare un luogo sicuro alle vittime di sfruttamento e un pacchetto di servizi che le aiuti a uscire dal mercato del sesso.

«Il modello migliore per contrastare la prostituzione è quello che prevede la criminalizzazione del cliente e la decriminalizzazione delle donne, delle vittime, che vengono sfruttate. Come avviene nei paesi del nord Europa. Questo perché, come ho detto, l'idea che qualche donna scelga liberamente di prostituirsi è falsa. Se si vuole contrastare davvero il fenomeno – continua Moran - la persona che viene sfruttata ha bisogno di protezione e assistenza. La prima cosa da fare è dare un luogo alle persone vittime di sfruttamento, un luogo dove possano stare, un porto, un punto di partenza sicuro, e poi un pacchetto di servizi che le aiuti a uscire dal mercato del sesso».

L'educazione può avere un ruolo? Chiede Marco Stucchi.

Credo che l'attuale abuso di pornografia rappresenti una crisi a livello della salute pubblica che vada prima individuata e poi affrontata.

«Il messaggio oggi va calibrato su misura, parlare ai ragazzini di oggi, per esempio, è diverso dal parlare ai ragazzini di vent'anni fa. Lo smartphone oggi mette in mano a tutti e senza controllo prodotti pornografici e questi agiscono potentemente perché costruiscono un immaginario collettivo in cui la donna è un oggetto pronto all'uso. Noi non riusciamo a capire quale influsso può avere questo bombardamento sulle future generazione. Credo che l'attuale abuso di pornografia rappresenti una crisi a livello della salute pubblica che vada prima individuata e poi affrontata. Bisogna partire da qui, dal contrastare questi continui messaggi che fanno della donna un oggetto, del suo corpo una merce.

Oggi una donna per non subire abusi deve girare vestita col burqa. Quando finiremo di sentirci liberi di importunare le donne mettendo loro occhi e mani addosso?».

E allora cosa fare?

«Il contributo che possiamo dare singolarmente è prendere parte, organizzarci politicamente e combattere per leggi giuste a contrasto della prostituzione. Il mio paese è stato uno dei primi stati a inserire il divieto di fumo nei locali pubblici; anni fa sembrava impensabile, ma oggi la cosa è entrata nella testa delle persone e nessuno si sognerebbe di tornare indietro. Noi irlandesi avevamo un problema con gli incidenti per guida in stato di ebrezza e una legge ha sensibilmente modificato la situazione. Organizzarsi a livello politico serve. Alcuni paesi, come la Svezia, hanno provato a dare delle risposte».

 

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

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