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Dal 3 al 5 marzo, al Palazzo del Ghiaccio di Milano, si è svolta la quarta edizione del Salone internazionale del vino artigianale

Marzo è iniziato all’insegna del vino al Palazzo del Ghiaccio di Milano, che ha ospitato una nuova edizione di Live Wine. 150 le cantine presenti, provenienti da tutta Italia e dall’estero, con l’obiettivo di far conoscere ad un pubblico di privati ed operatori produzioni vitivinicole artigianali di qualità. Oltre ai produttori di vini, hanno partecipato diversi distributori di vini, produttori alimentari, artigiani di oggettistica e uno stand importante è stato dedicato all’editoria. Ad arricchire il programma dell’iniziativa, degustazioni tematiche guidate e  momenti di approfondimento, che si sono svolti nella sede del Palazzo del Ghiaccio e in diverse enoteche e ristoranti. L’iniziativa è stata organizzata da Christine Cogez-Marzani - di Vini di vignaioli di Fornovo di Taro (PR) - e Lorenzo de’ Grassi, con il contributo di AIS Lombardia.

 

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Domenica 4 marzo. Milano, zona Porta Vittoria, Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi. Mi affaccio nella sala d’ingresso del Palazzo, ritiro il mio accredito stampa e mi immergo nel bianco, luminoso salone di questo edificio in stile liberty. Il sito web di riferimento mi racconta che questo Palazzo del Ghiaccio fu voluto dal campione nazionale di pattinaggio, il Conte Alberto Bonacossa. Inaugurato nel 1923, con i suoi 1800 metri quadrati di pista, il palazzo era all’epoca la principale pista di ghiaccio coperta d’Europa, una delle più grandi del mondo. Rimasto attivo fino al 2002, in quasi cent’anni di vita, questo suggestivo luogo ha ospitato eventi agonistici, spettacoli, concerti. Noi ci siamo stati per il Live Wine, Salone internazionale del Vino artigianale.

A questo punto la domanda sorge spontanea: che cos’è un vino artigianale? La risposta, al Live Wine, arriva altrettanto spontaneamente: il vino artigianale è un vino prodotto nel rispetto dell’ambiente naturale e umano, prodotto e imbottigliato da chi lo segue personalmente in vigna ed in cantina; è un vino che proviene da un vigneto non trattato con prodotti chimici di sintesi, un prodotto che non contiene additivi non indicati in etichetta. Insomma, un vino non industriale (tra le altre caratteristiche, l’uva viene vendemmiata esclusivamente a mano), non artefatto da un lungo elenco di additivi e lieviti industriali selezionati che spesso conferiscono a tanti prodotti le stesse proprietà organolettiche. Si tratta di vini che contengono pochissimi solfiti o non ne contengono affatto: proprio loro, i famigerati solfiti, utilizzati per stabilizzare e conservare il vino grazie alle loro proprietà antiossidanti, antisettiche e antibiotiche.

Con queste informazioni che mi ronzano in testa, mi aggiro per gli stand disposti ordinatamente come le piante di un filare ben curato, stringendo nella mano destra il mio bel bicchiere da degustazione, incuriosita da questo mondo vitivinicolo artigianale. Penso tra me e me: saranno buoni questi vini artigianali? Hanno capacità d’invecchiamento o bisogna berli subito? Come si comportano questi produttori in vigna e in cantina? La mia curiosità è accentuata dalla presenza di produttori in possesso della certificazione biologica e biodinamica.

Il biologico e il biodinamico meritano un momento di riflessione, per spiegare le dovute differenze tra i due metodi di viticoltura. Il cosiddetto “vino biologico” è ottenuto da uve coltivate biologicamente, senza l’impiego di prodotti di sintesi chimica per la concimazione e la difesa dagli infestanti e parassiti. La viticoltura biologica prevede l’uso del sovescio (pratica d’interramento di apposite colture per mantenere o aumentare la fertilità del terreno), concimi organici, l’impiego di rame, zolfo e insetticidi naturali per la difesa dai parassiti. In cantina, sono autorizzati determinati additivi nei limiti fissati dalla legge. La viticoltura biodinamica condivide con il biologico il rifiuto di utilizzo di prodotti di sintesi chimica e si concentra sulla cura del terreno, gestito seguendo i cicli cosmici e lunari e nutrito mediante l’utilizzo di determinati preparati per la concimazione della terra; un metodo che si ispira ai principi descritti nel 1924 da Rudolf Steiner. Il marchio che a livello mondiale certifica i prodotti ottenuti da agricoltura biodinamica è quello dell’associazione internazionale Demeter.

Al Live Wine trovo tanti produttori i cui vini sono ottenuti da uve coltivate con metodo biodinamico: alcuni di loro hanno la certificazione Demeter, come l’interessante cantina spagnola Uva de Vida, dai vini rossi molto caldi e avvolgenti, altre ancora hanno l’attestazione di qualità di Viticoltura biodinamica, come la cantina Auriel che produce nel Monferrato. Altri ancora dichiarano di produrre con metodo biodinamico ma di non essere interessati alla certificazione. Quasi tutte le cantine che incontro nel mio percorso producono senza aggiunta di additivi, rivolgendo un’attenzione costante al vigneto e ai processi di trasformazione in cantina. Sono i colori dei vini spesso a parlare: vini a volte torbidi, dai colori inusuali, che raccontano l’assenza di processi di chiarificazione e filtrazione; in altri casi invece i vini sono puliti, limpidi, dai colori decisi. Al Live Wine è la varietà che regna indiscussa, e la ritroviamo nella vasta gamma di colori, odori e gusti presenti nei vini. Una varietà dovuta al vitigno, alla vinificazione, al suolo, all’eventuale filtratura e ad altre varianti, tra cui l’estro dell’uomo che cura la produzione. Fondamentale è anche l’annata: anche i vini artigianali invecchiano, variando  da annata ad annata in base alle condizioni climatiche che influenzano il prodotto finale.

Sono rimasta piacevolmente colpita dalle degustazioni fatte, perché ho provato vini molto diversi tra loro, capaci di raccontare i territori nelle loro specificità naturali, culturali, umane. Ad esempio, non mi era mai capitato di bere un Sangiovese del Molise, che ho degustato allo stand di Vinica, azienda agricola le cui vigne si trovano a circa 700 metri di altitudine a Ripalimosani, in provincia di Campobasso. Un’azienda che, come tante al Live Wine, coltiva nel rispetto della biodiversità del vigneto e dell’ecosistema circostante, con uve che fermentano con i propri lieviti indigeni seguendo i propri ritmi, senza forzature. Tra le numerose aziende che ho avuto il piacere di incontrare, voglio menzionare anche l’Azienda Agricola Fiorano, che segue i dettami della viticoltura biologica certificata, un piccolo gioiello marchigiano a conduzione familiare. Tra i vini prodotti dall’azienda, “Donna Orgilla”, DOCG Offida Pecorino, uno straordinario prodotto che varia molto di anno in anno, mantenendo tuttavia un’ottima freschezza e mineralità dovuta al vitigno. Scendendo più a sud, incontro la cantina di Giuseppe Calabrese che produce a Saracena, in provincia di Cosenza: presso lo stand ho potuto degustare una chicca locale, già nota alle corti papali del 1500, ovvero il Moscato di Saracena. Si tratta di un vino che racconta storie e tradizioni, come spesso capita con i vini. In alcuni casi sono le etichette che iniziano il racconto della storia di un territorio che poi prosegue nel bicchiere: c’è la cantina Gueli, ad esempio, il cui vino “U’carusu” è un omaggio ai bambini che lavoravano nelle solfatare in Sicilia; oppure la cantina Terre di Briganti, con il suo “Martummè” che ci riporta ai tempi dei briganti e dell’Unità d’Italia, quando ebbe luogo la strage di Casalduni perpetrata dal Regio Esercito Italiano (la cantina si trova proprio a Casalduni, nel beneventano).

Ho citato questi produttori ma al Live Wine ce n’erano moltissimi altri degni di nota, cantine italiane e internazionali che vi invito caldamente a scoprire sul sito dell’evento.

Arrivati a questo punto, qualcuno di voi starà ripescando quella bottiglia di vino certificato biologico ficcata in fondo allo sgabuzzino, regalata da non so chi a Natale, qualcun’altro magari starà correndo in enoteca assetato, qualcuno invece avrà semplicemente smesso di leggere e si starà facendo i fatti suoi. Noi attendiamo con ansia il prossimo Live Wine, per raccontarvi le differenze rispetto a quest’anno e qualche curiosità relativa ai produttori che hanno accolto quest’affascinante sfida del vino artigianale. Nel frattempo, buon calice a tutti!