Da Trump all'Isis, dalla Russia all'Iraq. Un anno pieno di segnali contrastanti. Il terrorismo fa meno paura, in Oriente si consolida l’economia, in buona parte dell’Occidente si riparte dopo la crisi. Ma restano sul tavolo i grandi problemi di questa fase storica
Il 2017 che si chiude è stato un anno ricco di eventi internazionali, di svolte e di sorprese. Il conflitto mediorientale ha prodotto ancora morti e distruzione: ma, se fino al 2015 il protagonista era stato l’ISIS, dal 2016 sono tornate in campo le potenze mondiali, Stati Uniti e soprattutto Russia. L’alleanza operativa tra Russia, Turchia e Iran, che ha coinvolto anche gli Hezbollah libanesi e i curdi, è infatti riuscita a riconquistare le principali città cadute nelle mani dello Stato Islamico. Riemergono ora i problemi mai risolti sul piano politico: il ruolo del presidente siriano al-Assad e quello dell’opposizione, la ricerca di risorse per la ricostruzione, il ritorno dei profughi, il mutato equilibrio tra sciiti e sunniti. La svolta bellica è avvenuta anche nel vicino Iraq e il “corridoio sciita”, prima interrotto dall’ISIS, è tornato agibile. L’unica potenza regionale uscita vincitrice da questo conflitto è stata l’Iran, mentre la Russia ha segnato altri punti per la sua riqualificazione a potenza mondiale.
Uno scenario, quello mediorientale, nel quale la democrazia e il rispetto dei diritti umani, storici paraventi per le scorribande neocoloniali, sono ormai sfumati.
Uno scenario, quello mediorientale, nel quale la democrazia e il rispetto dei diritti umani, storici paraventi per le scorribande neocoloniali, sono ormai sfumati. Si rinforzano gli Assad e gli al-Sisi, i Talebani diventano interlocutori sempre meno nascosti in Afghanistan, l’autoritario Erdogan riesce con una capriola a passare dalla parte dei vincitori mentre l’Arabia Saudita, ridimensionata nella Mezzaluna fertile, si impantana nello Yemen.
In Europa la costruzione comunitaria traballa e si riaccendono paure di ritorni a un passato che si pensava sepolto. La Brexit, la crescita dei partiti estremisti, la fine annunciata dell’ideale europeista mettono a nudo l’inconcludenza di una politica che si è accontentata di gestire l’esistente, dimenticandosi delle sofferenze, delle paure, dei bisogni dei cittadini. Cittadini sempre più esclusi dal dibattito relativo all’economia e alla globalizzazione, ma che detengono ancora l’arma più efficace per punire o premiare: il voto. Proprio il voto, nei principali Paesi, ha premiato la continuità: in Francia e Germania non ci sono state le tanto temute avanzate delle destre, se non in misura ridotta. Ma la situazione rimane in bilico, sarà l’andamento dell’economia a farla pendere da una parte o dall’altra.
Donald Trump è riuscito nell’impresa di rafforzare il sistema dopo essersi presentato come candidato antisistema.
L’evento che ha creato più rumore mediatico in assoluto è stato il rodaggio del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che è riuscito nell’impresa di rafforzare il sistema dopo essersi presentato come candidato antisistema. Lo ha fatto abbassando le tasse alle corporation e ai ricchi, investendo cifre multimiliardarie nell’industria bellica, allentando le briglie della finanza. Con Donald Trump torna il protezionismo, dicono in molti. Ma finora alle minacce non sono seguiti i fatti, se non per lo stop al TTP, l’accordo commerciale del Pacifico negoziato da Barack Obama. Le grandi sfide sono ancora irrisolte: la rivisitazione del Nafta con Canada e Messico langue sui tavoli negoziali, mentre il bilanciamento dei rapporti commerciali con la Cina è stato rimandato a dopo la soluzione della crisi con la Corea del Nord.
La crisi coreana ha messo a nudo l’impotenza degli Stati Uniti quando di fronte a sé trovano un Paese che possiede la bomba atomica, e che è difficile credere stia procedendo in totale autonomia, ovvero senza consigli da parte di Pechino. In Cina, dopo il congresso del Partito Comunista, la leadership del presidente Xi Jinping è ormai fuori discussione: sarà lui a traghettare il gigante asiatico alla guida del mondo della rivoluzione tecnologica annunciata, insieme agli Stati Uniti.
Il 2017, insomma, è stato un anno pieno di segnali contrastanti. Il terrorismo fa meno paura, in Oriente si consolida l’economia, in buona parte dell’Occidente si riparte dopo la crisi. Ma restano sul tavolo i grandi problemi di questa fase storica: la mancanza drammatica di una governance mondiale, l’emergenza ambientale mai affrontata seriamente, la questione della democrazia sempre più a rischio. L’auspicio è che si torni a “pensare lungo”, uscendo dalla logica dell’emergenza per tornare a fare politica globale. Da un mondo apparentemente caotico sta uscendo un ordine non proprio esaltante, quello della prevalenza di chi è più forte militarmente. L’economia da sola si è rivelata insufficiente nel ridisegnare il futuro, ora ci vuole il ritorno della politica e, attraverso di essa, dei cittadini che agiscono sul locale guardando al globale.
Illustrazione di David Plunkert dal New Yorker