Dossier razzismo. Fra leggi e policy, sui social la moderazione scarseggia, in tutti i sensi.
Per gentile concessione dell'editore e dell'autrice, pubblichiamo il capitolo “Fuori controllo. Quando i social media scavalcano il “muro” del razzismo” da Cronache di ordinario razzismo, quarto libro bianco sul razzismo in Italia curato da Lunaria e disponibile integralmente qui.
S
iamo giunti a un punto di non ritorno. Oramai, il discorso stigmatizzante e razzista è capace di inquinare e contaminare anche “spazi” che tradizionalmente ne erano rimasti immuni. E quella sconcertante ordinarietà che, negli ultimi anni1, siamo andati a riscontrare nelle pratiche razziste più violente, ha letteralmente avvelenato anche il linguaggio comune. Il risultato è che, anche grazie alla rete, i discorsi che normalmente dovrebbero essere delegittimati, proprio in quanto razzisti, sono banalizzati e tendono a trasformarsi in senso comune.
Il numero molto esiguo di casi documentati nel nostro database non deve trarre in inganno. Il problema principale, tanto nostro, quanto degli organi di stampa e delle varie realtà che svolgono attività di monitoraggio, è proprio quello del monitoraggio sistematico e capillare e della contestuale segnalazione degli innumerevoli post messi online. Se da un lato, per quel che riguarda l’hate speech sulla stampa, vi sono numerosi casi di violazione dolosa della Carta di Roma, dall’altro, però, sta crescendo la consapevolezza di quanto sia dilagante e pervasivo il discorso razzista sul web e di quanto sia difficile contrastarlo.
Sino a oggi i gestori dei social network, non si sono mostrati particolarmente collaborativi
Certo sino a oggi i gestori dei social network, non si sono mostrati particolarmente collaborativi: anche quando ricevono segnalazioni di contenuti evidentemente xenofobi e razzisti, solo in alcuni casi ne attuano la rimozione e comunque non tempestivamente. D’altra parte, l’appello all’esigenza di bilanciare il diritto alla non discriminazione con quello alla libertà di espressione, spesso viene utilizzato come alibi per non attivare sistemi di alarm o di identificazione automatica di contenuti discriminatori. Sino a oggi i gestori dei grandi social network hanno elaborato algoritmi sofisticati per profilare l’identità, le preferenze, i gusti degli utenti (nel loro ruolo di consumatori), selezionando (e controllando) la tipologia di messaggi visibili sulle home dei profili personali. Non sembrano invece essere interessati né disponibili a compiere un analogo investimento utile a contrastare in modo efficace la diffusione della violenza online2.
Difatti, l’operazione di misconoscimento della natura razzista di post, foto e commenti in rete, avviene su un doppio binario che si autoalimenta: da una parte, vi è il lavoro dei media che, nella gran parte dei casi, raramente prendono una posizione netta e denunciano il razzismo celato dietro tali post; dall’altra, vi sono gli utenti comuni che in misura crescente tendono a essere coinvolti da quello che abbiamo definito un “contagio virale”3. Soltanto nel 2014, l’Unar, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali 4, aveva registrato 347 casi di espressioni razziste sui social, di cui 185 su Facebook e le altre su Twitter e Youtube. A questi si aggiungevano altri 326 casi nei link che li rilanciavano. In totale quasi 700 episodi di intolleranza. Un numero significativo ma sicuramente sottostimato.
Pubbliche espressioni di incitamento alla violenza e i discorsi razzisti vanno a combinarsi con la proliferazione di false notizie
L’aumento di pubbliche espressioni di incitamento alla violenza e i discorsi razzisti vanno a combinarsi con la proliferazione di false notizie alimentando la retorica “anti-migranti” e trasformando problemi complessi in slogan intolleranti che polarizzano il dibattito online: “noi contro di loro”5. Questa netta contrapposizione ispira spesso anche concreti comportamenti razzisti, come si evince ad esempio dall’aumento di attacchi fisici da parte di singoli o di “gruppi di vigilanti” contro rifugiati, richiedenti asilo e/o migranti. Smontare la macchina infernale che produce e riproduce discorsi aggressivi fuori da ogni controllo e attuare efficaci strumenti di rimozione e di “decostruzione”, attraverso narrazioni alternative e indipendenti, è divenuta dunque una priorità.
Quando mettere degli argini non basta. Il faticoso percorso di “rimozione”
Tra il 2015 e il 2017 alcune iniziative sono state intraprese per tentare di arginare la diffusione del razzismo online. Nel marzo 2015, il Consiglio dei Ministri, su proposta dell’allora Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha approvato un Disegno di Legge per ratificare e dare esecuzione al Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica6. Il testo, adottato a Strasburgo nel lontano 28 gennaio 2003, prevede la possibilità di sanzionare penalmente gli atti di razzismo e xenofobia commessi tramite i sistemi informatici. Firmato il 9 novembre 2011 dall’Italia, non è stato mai ratificato. Il Disegno di Legge approvato a Palazzo Chigi e poi dalla Camera7, è fermo al Senato che non ne ha ancora iniziato l’esame8.
Il 2015 si è caratterizzato anche per le prime prese di posizione da parte di alcuni quotidiani (dotati di pagine social) circa la corretta gestione dell’attivismo online da parte degli utenti.
“un momento di lutto è stato trasformato da qualche spirito ignobile in insensata espressione di odio”
Così, ad aprile 2015, il quotidiano L’Unione Sarda comunica ai propri lettori sulla pagina Facebook l’impossibilità di fornire aggiornamenti riguardo alla devastante strage9 accaduta al largo della Sicilia, in quanto “un momento di lutto è stato trasformato da qualche spirito ignobile in insensata espressione di odio”10. L’indomani anche il sito Giornalettismo banna molti commenti e le redazioni de Il Tirreno e de La Nuova Sardegna bloccano i commenti online. E ancora, il 9 agosto 2015, il social media team de La Stampa interviene sulla pagina Facebook della testata per mettere un freno ai commenti razzisti generati da una notizia11 che parla della piccola Nicole, cittadina Rom, il cui quoziente intellettivo risulta superiore a quello di Einstein.
In Europa, nel frattempo, il Governo tedesco annuncia che Facebook, Google e Twitter hanno accettato di rimuovere i discorsi razzisti dalle rispettive piattaforme in 24 ore (dicembre 2015). Zuckerberg inserisce i migranti tra le categorie da difendere dall’hate speech (marzo 2016). L’Ethical Journalism Network diffonde un appello sui “Valori etici essenziali per contrastare autocensura e odio”12 (aprile 2016).
Nel maggio 2016 la Commissione Europea concorda un codice di condotta con Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft, con l’obiettivo di rendere più efficace il contrasto dei discorsi d’odio online13. I tempi di verifica delle segnalazioni, infatti, non sempre sono adeguati: i messaggi di odio restano online a lungo, nonostante confliggano con le policy sottoscritte dagli stessi social network. A rendere critica la situazione, però, sono anche gli esiti delle segnalazioni che non sempre comportano la rimozione dei contenuti offensivi monitorati. Con la firma del codice di condotta le aziende informatiche, dunque, si impegnano pubblicamente ad arginare la diffusione dei messaggi di incitamento all’odio e alla violenza sui social network. L’adozione di procedure chiare ed efficaci di esame delle segnalazioni, la costituzione di team specializzati e l’individuazione di punti di contatto nazionali, l’esame entro 24 ore dei contenuti segnalati e la loro sollecita rimozione, la promozione di iniziative di educazione e sensibilizzazione degli utenti, la realizzazione di attività di formazione del proprio personale e rivolte alla società civile sono alcuni dei principali impegni sottoscritti14.
Il 10 maggio 2016, la Presidenza della Camera ha istituito la Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio15, con il compito di condurre attività di studio e ricerca su questi temi, anche attraverso lo svolgimento di audizioni.16 La Commissione, presieduta dalla Presidente della Camera, ha lavorato in una composizione “mista”, includendo un deputato per ogni gruppo parlamentare, rappresentanti di organizzazioni sopranazionali, di istituti di ricerca, di associazioni17 e la presenza di esperti. La Commissione è nata a seguito dell’iniziativa promossa dal Consiglio d’Europa che ha riunito in un’“Alleanza contro l’odio” i Parlamentari di 47 Paesi, attribuendo all’On. Santerini (Democrazia solidale-Centro democratico) il mandato di Relatore generale sul razzismo e l’intolleranza, con il compito di coordinare il lavoro del network di Parlamentari. Il 20 luglio 2017 la Commissione Cox ha presentato alla stampa la sua Relazione finale18 che, oltre a un’analisi di dettaglio del sessismo, dell’omofobia, del razzismo e dell’antigitanismo veicolati attraverso la rete, propone, articolandola in 56 raccomandazioni, una vera e propria agenda di contrasto della violenza online. Oltre ad auspicare l’adozione di una definizione giuridica dei cosiddetti “discorsi di odio”, la Commissione raccomanda un miglioramento e un maggiore coordinamento dei sistemi di dati ufficiali disponibili sulle violenze verbali e i reati razzisti, il riconoscimento del sessismo come movente discriminatorio, la celere approvazione della riforma sulla cittadinanza, l’introduzione di sanzioni penali contro i discorsi aggressivi discriminatori, una più stringente regolazione del funzionamento delle piattaforme online e dei social network che consenta di monitorare e rimuovere rapidamente i contenuti discriminatori. Sul piano politico-istituzionale è riconosciuta l’importanza di inaugurare politiche strutturali di inserimento sociale dei migranti e dei richiedenti asilo anche supportando le attività di tutela delle organizzazioni della società civile. Viene sottolineato il ruolo di prevenzione e di condanna che gli attori istituzionali e politici dovrebbero svolgere contro tutte le forme di razzismo. Sono inoltre auspicate iniziative di sensibilizzazione contro il bullismo, il cyberbullismo e il razzismo nel mondo della scuola nonché campagne di informazione sui diritti civili, contro le discriminazioni e sulle diverse tradizioni religiose. Gli attori dei media tradizionali e online sono chiamati a rispettare la deontologia professionale evitando stereotipi e stigmatizzazioni; l’Ordine professionale e il sindacato dei giornalisti sono invitati a investire nella formazione e nella corretta contrattualizzazione degli operatori dei media.
Sempre nel 2016, sono state presentate anche alcune proposte di legge. La proposta presentata alla Camera da Beni e altri19 prevede l’ampliamento delle fattispecie di hate speech sanzionabili: oltre a fare esplicito riferimento ai casi in cui i contenuti discriminatori sono veicolati attraverso la rete internet, la proposta riconosce come discriminatori anche i reati motivati dall’orientamento sessuale, dal genere o dalla disabilità delle vittime. Come si legge nella Relazione introduttiva al testo, l’obiettivo è il contrasto delle “condotte moralmente censurabili e lesive della dignità delle persone, oltre che pericolose per la sicurezza e la convivenza civile, senza però limitare in alcun modo il diritto alla libera manifestazione del pensiero sancita dall’articolo 21 della Costituzione, nonché la libertà di espressione nel web. Al tempo stesso, la legge prevede misure finalizzate alla prevenzione dell’hate speech, attraverso la formazione e l’educazione al rispetto delle differenze, alla responsabilità sociale e all’uso consapevole dei nuovi strumenti telematici di comunicazione”20.
Il Disegno di Legge presentato al Senato dai Senatori Battista, Orellana e Panizza,21 si propone invece di rendere trasparente il sistema delle piattaforme sociali e di fornire una garanzia per l’accesso alle informazioni grazie a un uso responsabile del confronto virtuale e a una adeguata regolamentazione che permetta la tracciabilità dell’attività dell’utente-autore.
Sulle cosiddette bufale online22 si concentra invece il Disegno di Legge presentato dal Senatore Gambaro e altri il 7 febbraio 201723. Le norme proposte intendono garantire la trasparenza dell’informazione, prevedono ammende per chi pubblica notizie false e la reclusione per chi promuove campagne d’odio o volte a minare il processo democratico.
Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano l’appello #BastaBufale24, promosso dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, per portare all’attenzione dell’opinione pubblica l’inquinamento dell’informazione prodotto dalle false notizie (fake news) e la pubblicazione da parte di Facebook (aprile 2017) di una guida sulle false notizie in 13 Paesi, tra i quali l’Italia. Un vero e proprio decalogo, scritto in collaborazione con la Fondazione Mondo Digitale, fornisce alcuni consigli utili per riconoscere le false notizie (non fidarsi dei titoli, guardare bene l’url, fare ricerche sulla fonte per accertarsi sulla sua attendibilità, ecc.).
Profili e argomentazioni dei nuovi social media haters
Le iniziative sopra accennate non sono però evidentemente sufficienti: l’odio e la violenza in rete continuano ad aprire nuovi spazi, assumono nuove forme e coinvolgono, di conseguenza, un numero crescente di utenti. Oltre ai numerosissimi privati cittadini, giovani e non solo, abituali frequentatori dei social network, sono le figure istituzionali e politiche25 a diffondere, per lo più senza subire alcuna sanzione, messaggi intolleranti, stigmatizzanti, razzisti e xenofobi utilizzando i social network come canale primario di diffusione. Il passaggio, quasi sempre automatico, dai social network ai mass media tradizionali, offre un ulteriore canale di propagazione alle stigmatizzazioni e ne favorisce la legittimazione. L’esigenza di tutelare la libertà di espressione è spesso evocata dagli editori e dai giornalisti dei media tradizionali per giustificare la visibilità mediatica assicurata ai discorsi politici discriminatori.
L’esigenza di tutelare la libertà di espressione è spesso evocata dagli editori e dai giornalisti dei media tradizionali per giustificare la visibilità mediatica assicurata ai discorsi politici discriminatori.
Da un’analisi condotta da Arci26 sull’uso dei social media da parte dei movimenti, dei partiti e dei gruppi politici maggiormente “attivi” su questo fronte, si rileva che Facebook e Twitter sono i canali maggiormente utilizzati. E se la Lega Nord e CasaPound Italia preferiscono utilizzare Twitter, tutti gli altri sono più attivi su Facebook. L’analisi dei contenuti e delle parole più ricorrenti consentono di individuare i temi su cui ogni singolo gruppo ha costruito la propria retorica: l’attenzione ai temi sociali e ai valori tradizionali degli “italiani” (CasaPound e Forza Nuova); l’insistenza xenofoba sull’“invasione dei migranti e dei rom” (Lega Nord e Resistenza Nazionale); la criminalizzazione e la stigmatizzazione dell’Islam. L’incitamento all’odio sembra privilegiare le tradizionali parole chiave della retorica populista e delle nuove destre (“popolo”, “sovranità”, “italiani”, “immigrati”), anziché un lessico marcatamente aggressivo (la parola più radicale in tal senso è quella formata dall’hashtag #stopinvasione). Le strategie retoriche e discorsive utilizzate dai social haters non ricorrono all’uso di parole apertamente violente e razziste (se non in rari casi). Al contrario, per evitare di incorrere in sanzioni penali, utilizzano un lessico ordinario, nei perimetri del dibattito pubblico populista, tentando di dissimulare in questo modo il razzismo che le sottende.
Il caso. Dal linguaggio “bellico” alle “barricate” reali
L’accoglienza dei rifugiati e le numerose manifestazioni del suo rifiuto “organizzato” sono state argomenti molto dibattuti sui social network diventando spesso oggetto della propaganda razzista e dei discorsi esplicitamente intolleranti e violenti (fino ad arrivare all’istigazione alla violenza). Come abbiamo rilevato di recente27, mentre inizialmente, i gruppi di estrema destra e leghisti si sono mossi in sostanziale autonomia e a livello locale, effettuando singole azioni e manifestazioni con pochi partecipanti, successivamente la loro iniziativa si è strutturata in forma più organizzata e trasversale, collegandosi alle proteste spontanee sorte sul territorio, anche grazie all’uso dei social. In numerosi casi i gruppi politici si sono uniti ai nascenti comitati sul fronte del “no” all’accoglienza, e i blitz notturni, i presidi diurni o i cortei e le proteste di piazza, sono stati amplificati grazie all’uso sempre più frequente di “piazze virtuali”. In particolare l’ormai diffuso utilizzo di Facebook, che ha un bacino di utenza amplissimo, consente di raggiungere persone di qualunque età e appartenenza politica.
Tutto ciò è favorito da una scarsa (se non inesistente) moderazione, che rende questi spazi un canale ideale e fecondo per fare propaganda, anche razzista.
Tutto ciò è favorito da una scarsa (se non inesistente) moderazione, che rende questi spazi un canale ideale e fecondo per fare propaganda, anche razzista. Consciamente o meno, l’estrema destra trae beneficio da queste circostanze. Mentre sulla “piazza reale” i loro movimenti radunano un numero limitato di persone, diverso è quanto accade sui social network, dove riescono a ottenere un consenso più vasto, conquistando molti like e divulgazioni virali (soprattutto a livello locale, nei piccoli paesi, che, uno dietro l’altro, consentono di allargare il raggio di influenza territoriale). E questo, di fatto, costituisce per loro una strategia comunicativa di successo che supporta le campagne di propaganda xenofoba28.
L’arte di saper stare sui social network. La “contro-narrazione” si può fare
Il 30 aprile 2017, Unicef Italia posta il seguente tweet: “Rispetto per chi soccorre, rispetto per chi soffre, rispetto per chi muore, nessun rispetto per chi infanga”, accompagnato da una foto di due persone mentre soccorrono una bambina in mare. Il tweet è pubblicato nel pieno della campagna contro i cosiddetti “taxi per migranti”29, così sono state definite da qualcuno le organizzazioni non governative che svolgono operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Il tweet riceve molte risposte critiche, offensive e volgari. Il social media manager dell’account, allora, decide di rispondere a ciascun commento (e per tale ragione è stato definito dalla stampa un “eroe”), linkando a pagine con i bilanci dell’organizzazione a chi ne mette in dubbio la correttezza e la trasparenza, e spiegando come funziona il lavoro dei soccorritori.
La necessità di sviluppare con urgenza forme alternative di contro-narrazione positiva sui social network: il cosiddetto “counter speech”
Questo episodio ha offerto lo spunto per tornare a denunciare la necessità di sviluppare con urgenza forme alternative di contro-narrazione positiva sui social network: il cosiddetto “counter speech”30 che si propone di decostruire le false notizie, le stigmatizzazioni e i luoghi comuni.
Quello del contrasto all’hate speech online è un percorso ancora lungo, tortuoso e complesso sul quale, al momento, si procede per tentativi. Appare però sempre più evidente la necessità di una strategia capace di intervenire parallelamente su più piani: quello degli strumenti del diritto, finalizzati a regolamentare più rigidamente le attività dei gestori dei social network; quello dell’educazione tecnologica e della sensibilizzazione culturale e, dunque, della contro-narrazione.
1 P. Andrisani, “Il perverso intreccio tra odio virtuale e odio ‘virale’”, in Lunaria (a cura di), Cronache di ordinario razzismo. Terzo Libro bianco sul razzismo in Italia, 2014, pp. 115-122.
2 Nel febbraio 2017, Laura Boldrini, Presidente della Camera, all’inaugurazione della due giorni sulle Parole O_stili, a Trieste, ha dichiarato: “Facebook, insieme agli altri colossi della Rete, ha firmato un codice di condotta contro ‘la diffusione dell’illecito incitamento all’odio in Europa’. La prima verifica semestrale dice che risulta cancellato appena il 28% dei contenuti segnalati come discriminatori o razzisti. Una media che si ricava dal 50% di Germania e Francia e dal misero 4% italiano. Forse tutto questo avviene anche perché Facebook, nonostante i suoi 28 milioni di utenti in Italia, non ha ancora aperto un ufficio operativo nel nostro Paese”.
3 P. Andrisani, “Dal contagio ‘virale’ al web-marketing dell’odio razzista”, in Idos (a cura di), Dossier Statistico Immigrazione 2015, pp. 250252.
4 Si veda “Immigrati, l’incitazione all’odio è online: 700 episodi di razzismo sui social nel 2014”, Redattore Sociale, 24 aprile 2015, disponibile qui
5 A tal proposito si veda anche Enar, Racism and discrimination in the context of migration in Europe: ENAR Shadow Report 2015-16, www.enar-eu.org
6 Il “Protocollo addizionale alla Convenzione sulla criminalità informatica, relativo all’incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici. STCE n. 189”, oltre a definire in cosa consiste il materiale razzista e xenofobo, individua le condotte suscettibili di incriminazione. Tra queste ci sono: “diffusione di materiale razzista e xenofobo per il tramite di sistemi informatici, minaccia con motivazione razzista e xenofoba, insulto con motivazione razzista e xenofoba, negazione, minimizzazione palese, approvazione o giustificazione del genocidio o dei crimini contro l’umanità, aiuto e complicità”.
7 Atto Camera n. 3084, XVII Legislatura, “Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003”, approvato il 6 luglio 2016.
8 Atto Senato n. 2471, XVII Legislatura, “Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003”, assegnato il 12 luglio 2016 alle Commissioni riunite Giustizia e Affari Esteri, ma non è ancora iniziato l’esame.
9 La violenza razzista in rete non si è fermata neanche dinnanzi a una delle più grandi stragi avvenute nel Mediterraneo causata dal naufragio di una imbarcazione eritrea usata per il trasporto di migranti avvenuto la notte del 18 aprile 2015 al largo delle coste della Libia. Il naufragio ha provocato 58 vittime accertate, 28 superstiti salvati e fra i 700 e i 900 dispersi presunti.
10 Si veda P. Andrisani, “Il perverso intreccio tra odio virtuale e odio ‘virale’”, cit.
11 Pochi giorni prima, l’emittente tedesca ARD, con un appello, si rivolgeva agli ascoltatori chiedendo loro di opporsi e di “svergognare” gli istigatori d’odio.
12 “Umanità, accuratezza e trasparenza”: sono questi per l’Ethical Journalism Network gli elementi chiave dell’etica giornalistica, che possono e devono rappresentare lo standard di una comunicazione pubblica responsabile, capace di contrastare l’hate speech e la propaganda. Il comunicato è disponibile qui
13 Si veda European Commission, Code of conduct to countering illegal hatespeech online, 2016
14 La stessa Commissione, a distanza di alcuni mesi, ha deciso di effettuare un monitoraggio per verificare l’effettiva applicazione del codice, affidando il compito a 12 organizzazioni in 9 Paesi europei; tra queste, per l’Italia, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Su 600 segnalazioni effettuate in 6 settimane, solo 169 sono state rimosse (pari al 28.2%). Bersaglio dei messaggi aggressivi oggetto del monitoraggio è stata nel 23.7% delle segnalazioni la comunità ebraica. Seguono i discorsi discriminatori sulla base della nazionalità (21%) e quelli contro le persone di fede musulmana (20.2%). Le segnalazioni riguardavano contenuti pubblicati prevalentemente su Facebook (45% dei casi, ossia 270 segnalazioni), seguiti da quelli su Twitter (27%, 163 contenuti), YouTube (21%, 123 contenuti) e altre piattaforme (7%). La classifica cambia se si guarda al numero di contenuti segnalati e rimossi: ad aver rimosso il maggior numero di contenuti è YouTube, nel 48.5% dei casi; seguono poi Facebook (la rimozione ha interessato il 28.3% dei casi) e infine Twitter (con il 19.1%). L’Italia registra il minor numero di contenuti rimossi: solo il 3.6% (su 110 segnalazioni). Solo nel 40% dei casi i contenuti segnalati sono stati analizzati e rimossi entro 24 ore. A far alzare i tempi medi occorsi, in questo caso, Twitter: se Facebook ha lavorato il 50% delle segnalazioni entro i tempi indicati dal codice e YouTube il 60.8%, Twitter si ferma al 23.5%. Dati Unar (www.unar.it) riportati da Carta di Roma.
15 Nella seduta del 4 luglio 2016, la Commissione ha deciso di inserire nella propria denominazione il riferimento a “Jo Cox”, deputata presso la Camera dei Comuni del Regno Unito e nota per il suo impegno per i diritti umani, uccisa il 16 giugno 2016, mentre si apprestava a partecipare a un incontro con gli elettori alla vigilia del referendum sul Brexit, al grido di “Britain first”.
16 Online è possibile leggere e scaricare i resoconti stenografici delle sedute: www.camera.it/leg17/1267
17 Lunaria è una delle organizzazioni della società civile che hanno fatto parte della Commissione insieme a Amnesty International, Arci, Carta di Roma, Cospe, Fidr, Human Wrights Watch e associazione 21luglio.
18 Si veda Camera dei Deputati, XII Legislatura, Commissione “Joe Cox” su fenomeni di odio, intolleranza, xenofobia e razzismo, Relazione finale, 20 luglio 2017, disponibile qui: www. camera.it/leg17/1313.
19 XVII Legislatura, Camera dei Deputati N. 4077, Proposta di Legge d’iniziativa dei Deputati: Beni, Roberta Agostini, Albini, Amato, Basso, Camani, Campana, Carloni, Carocci, Chaouki, Cominelli, Cuperlo, Dallai, Ghizzoni, Giacobbe, Gnecchi, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Incerti, Iori, La Marca, Laforgia, Lodolini, Patrizia Maestri, Miotto, Narduolo, Parrini, Patriarca, Piazzoni, Ragosta, Rampi, Rubinato, Zanin, Zoggia, “Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, al Decreto-Legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, e altre disposizioni in materia di contrasto dell’istigazione all’odio e alla discriminazione (hate speech)” www.camera.it
20 Dal testo della Relazione introduttiva alla proposta di legge.
21 XVII Legislatura, N. 2575, Disegno di Legge d’iniziativa dei Senatori Battista, Orellana e Panizza, Comunicato alla Presidenza il 21 ottobre 2016, “Delega al Governo per garantire il conseguimento della tracciabilità dell’identità degli autori di contenuti nelle piattaforme di reti sociali”, www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/994380/index.html#
22 Dietro il mercato delle false notizie, oltre a una fisiologica disinformazione, che è tra le armi più antiche al mondo, c’è soprattutto un vero e proprio mercato, un nuovo modello di business già ribattezzato “fakenews-onomics”, che ruota intorno a un minore rigore intellettuale da parte dei cittadini-lettori-elettori e al fatto che l’informazione è “un fenomeno di contagio”. Per studiare anticorpi e difese al mercato delle fake news, si stanno mettendo in atto una serie di misure che vanno dai bollini qualità sulle news (Google) ai post di debunking (che correggono) ai siti di fact checking, dai tag alla piattaforma CrossCheck.
23 XVII Legislatura, N. 2688, Disegno di Legge d’iniziativa dei Senatori Gambaro, Mazzoni, Divina, Giro, Corsini, Anitori, Liuzzi, Naccarato, Laniece, Fucksia, Bencini, Albertini, Amoruso, Barani, Bignami, Bonfrisco, Capacchione, Comaroli, Compagnone, Consiglio, Mario Mauro, Milo, Panizza, Puppato, Razzi, Scavone e Serafini, Comunicato alla Presidenza il 7 febbraio 2017, “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica”, www.senato.it/ japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/1006504/index.html
24 Online all’indirizzo bastabufale.it
25 Tanto per citare un caso che non sia relativo ai post di Matteo Salvini, leader leghista ben noto per il suo utilizzo di Facebook per messaggi d’odio, ricordiamo un post del 29 giugno 2015 pubblicato su Facebook da Giorgia Meloni, leader di Fdi, all’indomani degli attentati terroritsici che hanno colpito Tunisia, Francia, Somalia e Kuwait: “In tutto il mondo molti musulmani interpretano in modo violento la loro religione, e questa visione è condivisa anche da molti che vivono in occidente. Questa la cruda realtà dei fatti. Cosa possiamo fare?. Intanto evitiamo di importare in Italia un problema che oggi non abbiamo: basta immigrazione e soprattutto basta immigrazione da Paesi musulmani. La (piccola) quota di immigrati che reputiamo necessaria prendiamola da quei popoli che hanno dimostrato di non essere violenti. Non mi risulta ci siano casi di terrorismo collegato ai filippini, agli argentini, agli ucraini, ai peruviani. Bene, premiamo allora chi ha dimostrato di integrarsi con maggiore facilità. Per gli altri, porte chiuse finché non avranno risolto i problemi di integralismo e violenza interni alla loro cultura”.
26 Si veda Discorsi d’odio e Social Media. Criticità, strategie e pratiche d’intervento, 2016, volume curato da Carla Scaramella, che per l’Arci ha coordinato il progetto PRISM. Preventing, Inhibiting and Redressing Hate Speech in New Media, insieme a Cittalia, www.prismproject.eu/hatespeech-and-social-media-the-prism-research
27 Si veda Lunaria (a cura di), Accoglienza. La propaganda e le proteste del rifiuto, le scelte istituzionali sbagliate, marzo 2017, www.lunaria.org/wp-content/uploads/2017/03/0FOCUS1_ DEFINITIVO_13marzo.pdf
28 Importante e non di poco conto è anche l’apporto dato al fenomeno da alcune trasmissioni televisive (quali ad esempio Dalla vostra parte, condotta da Maurizio Belpietro, e Quinta colonna, condotta da Paolo Del Debbio, entrambe trasmesse da Rete 4, canale Mediaset) che hanno fatto della protesta contro l’accoglienza un proprio refrain quotidiano. La diretta tv non costituisce più un servizio di informazione, bensì diventa anch’essa una campagna di comunicazione mirata, un modo per fomentare moltissimo gli animi di piazza.
29 Si veda G. Naletto, “Ong: il buio in fondo al tunnel”, più avanti.
30 “Il counter-speech è una risposta frequente ai contenuti che incitano all’odio o all’estremismo, affidata agli utenti del web (ndt: crowd-sourced). I post (ndt: messaggi) eccessivi si scontrano spesso con il pubblico disaccordo, la derisione e campagne a loro detrimento. Questo metodo per combattere l’estremismo ha i suoi vantaggi: è più veloce, più flessibile ed efficiente, capace di affrontare l’estremismo in ogni lingua e ovunque ci si trovi, mantenendo saldo il principio dello spazio pubblico aperto e libero per il dibattito. Ciò nonostante, le forme che il counter-speech assume sono varie quanto l’estremismo che cerca di mettere in discussione. Inoltre, è anche probabile che non sia sempre efficace quanto ci si aspetterebbe, senza contare che certi tipi di counter-speech potrebbero addirittura essere potenzialmente controproducenti”. Si veda “Counter-speech un’indagine sui contenuti che contrastano l’estremismo online”, Demos, ottobre 2015, www.demos.co.uk.