A mesi di distanza dal voto nessuna vera riflessione, ma il vulnus democratico è evidente. Solo la metà degli elettori è andato a votare. Perché?
Ci fu un tempo, non poi tanto lontano, nel quale la politica dava sfogo ad appassionate discussioni. Nelle sedi di Partito, nei consigli comunali, nei comitati di quartiere, nei circoli culturali di vario orientamento, nei palazzi romani della politica dove imponenti organismi (comitati centrali, consigli nazionali, Direzioni) dedicavano ore ed ore ad estenuanti dibattiti. Spesso noiosi ma anche dotti, illuminanti, ricchi a volte di suggestive intuizioni, vere lezioni di cultura politica. Quando poi c’era da esaminare i risultati di una scadenza elettorale il confronto si faceva ancor più gustoso. Lungo, aspro, chiarificatore.
Ora è del tutto diverso. Alle chiacchiere, che oggi come allora rappresentano il grado di salute del sistema democratico, segue troppo silenzio, un diffuso disinteresse. E questo non è un bene.
Esempio. Il voto monzese del giugno scorso per me, che sono vecchio e quindi ne ho viste tante, resta una sorta di mistero. E nel mistero ci metto tutti: destra, sinistra, centrosinistra, centro, Lega, cinque stelle. Deluso perché chi ti interessava non ha vinto? No, certamente non mi sono piaciute né la sconfitta di Roberto Scanagatti, nè la contemporanea vittoria di Dario Allevi. Le ho naturalmente accettate. Fanno parte del gioco. Quel che non mi spiego è per l’appunto il silenzio. Che a questo storico mutamento politico (un “fascista”, non poi tanto ex, occupa lo scranno più alto del Palazzo comunale) non sia seguito un dibattito pubblico, delle riflessioni, delle considerazioni, mi sembra straordinariamente grave. Inaccettabile. Sia dal punto di vista storico che culturale, politico e ideale.
Era il 16 novembre del 1997 quando Monza andò alle urne per scegliere direttamente (era la prima volta che lo faceva) il suo sindaco, che prima della legge 25/3/1993 n.81 veniva scelto in maniera diversa. Un tempo si votavano i candidati dei Partiti a consiglieri comunali, poi l’assemblea degli eletti cioè il consiglio comunale eleggeva il sindaco. Ebbene quella prima volta dalle urne uscì il nome di Roberto Colombo che sopravanzò di circa 8 mila voti il suo antagonista Ambrogio Moccia. 34 mila 526 voti al primo, contro i 26 mila 660 del secondo. Il primo rappresentava uno schieramento composto da Forza Italia e Cdu insieme, da An, dal centro cristiano democratico. In quell’anno, per il sindaco Roberto Colombo, i monzesi che andarono a votare furono 77.857, vale a dire il 77% dei 101114 aventi diritto al voto.
Nel 2002, fu Michele Faglia a risultare vincente in una consultazione che vide impegnati 71573 monzesi, pari 70,37 % dei 101mila714 iscritti alle liste elettorali.
Nel 2007, toccò a Marco Mariani che venne addirittura eletto al primo turno avendo superato, subito il quorum del 50 %. Quella volta i votanti furono il 73,65 per cento di un totale di 97347 aventi diritto.
Nel 2012, sindaco viene eletto Roberto Scanagatti: gli elettori scendono a 94591 ma scende anche la percentuale dei votanti a quota 56505 pari al 59,74 per cento.
E arriviamo ai giorni nostri: vince Dario Allevi, gli elettori sono 95596 ma alle urne vanno solo in 49598 pari al 51,88 per cento.
Il vulnus democratico è evidente. Solo la metà degli elettori è andato a votare. Perché?
A voi, cari lettori, l’ardua risposta.