Da qualche tempo l'unico modo che gli istituti scolastici hanno per ampliare la loro offerta formativa è partecipare ai bandi previsti dal Programma Operativo Nazionale (PON) per la scuola. Un canale di finanziamento che corre il concreto rischio di creare e legittimare disparità tra le scuole.
Se tra maggio e giugno foste entrati in un qualsiasi istituto scolastico italiano avreste visto con i vostri occhi nervosi e febbrili lavori in corso: insegnanti che si rincorrono, docenti rinchiusi a studiare regolamenti chilometrici, professori intenti a far quadrare budget finanziari, altri in panico davanti a una piattaforma digitale perennemente impallata, altri ancora alle prese con estemporanei brainstorming per tirare fuori l'idea progettuale vincente.
Vi sareste, probabilmente, fatti due domande: che c'entrano regolamenti, piattaforme digitali e budget con il lavoro dei docenti e come mai tanta agitazione? E voi che eravate lì per parlare di vostro figlio...
Cosa sono i progetti PON
L'agitazione, i regolamenti e i conti previsionali hanno matrice comune: l'emissione da parte del Ministero dell'Istruzione dei bandi di selezione per i progetti relativi al Programma Operativo Nazionale (PON). Il programma, intitolato “Per la Scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento”, è un nuovo strumento, istituito dal Ministero, che dovrebbe servire a mettere in cantiere un insieme di interventi utili per creare un sistema d'istruzione e formazione di elevata qualità. Gli interventi vengono finanziati, attingendo a Fondi Strutturali Europei, tramite la partecipazione a bandi che selezionano e premiano i progetti migliori.
Sopravvivendo al mostruoso linguaggio che in ogni dove mischia burocrazia e retorica dell'innovazione, tramite la partecipazione a questi bandi oggi le scuole possono (qualora i progetti vincano) finanziare un po' di tutto, dai corsi di lingua per studenti e prof, a percorsi didattici di qualsiasi genere.
Aprendo il sito ministeriale dedicato e cliccando, per esempio, sulla pagina relativa all'asse n° 1, chiamato “Istruzione”, si trovano titoli e bandi dal contenuto vago, parlano di “Cittadinanza digitale”, “Cittadinanza Europea”, “Alternanza Scuola – Lavoro”, “Educazione alla imprenditorialità”, “Lotta al disagio e alla dispersione scolastica”.
Da febbraio ad oggi sono stati emessi dieci bandi per selezionare progetti in merito ai diversi filoni tematici; il bottino in palio sono 830 milioni di €, non bruscolini.
Da febbraio ad oggi sono stati emessi dieci bandi; il bottino in palio sono 830 milioni di €.
Detta così potrebbe anche sembrare una bella cosa: si ha grande libertà di progettazione e c'è una significativa disponibilità finanziaria per poter realizzare le proprie idee. In verità, gli effetti di questo nuovo modo di procedere fanno emergere, nel breve e lungo termine, limiti oggettivi e alcune considerazioni di merito su cui vale la pena soffermarsi.
Qualche domanda
L'istruzione è una funzione primaria dello Stato e come tale dovrebbe essere sostenuta economicamente dai Ministeri al fine di garantire ad ogni studente, ovunque si trovi, eguali possibilità formative e medesima qualità del servizio. Pensare che le risorse vengano distribuite attraverso una selezione, che per quanto attenta dovrà premiare pochi ed escludere molti (ed in molti casi egualmente meritevoli), fa nascere diverse domande.
Eccone tre di fondamentale importanza:
- Per gestire al meglio una funzione fondamentale come quella dell'istruzione, non sarebbe corretto che le scuole potessero prevedere con certezza le risorse a disposizione realizzando un'attenta pianificazione delle spese, individuando priorità di intervento, modulando nel tempo i propri interventi?
- É corretto affidare l'ampliamento dell'offerta formativa solo ad un sistema per bandi? Cosa accadrà: solo le scuole in cui ci sono docenti interessati, motivati o con competenze in tema di progettazione europea, beneficeranno di maggiori entrate? E le altre? Sarà colpa dello studente se i suoi docenti saranno più o meno motivati/preparati? E un dirigente scolastico cosa potrà fare per “scegliersi una squadra” capace di partecipare ai bandi e vincerli?
- Infine, come verranno valutati e da chi i progetti? Che controllo abbiamo sul controllore? E, soprattutto, crediamo davvero possibile valutare sulla carta il diverso valore di migliaia di proposte didattiche?
Limiti dell'esperienza
Lasciamo un attimo in sospeso queste domande ed andiamo ad analizzare una serie di limiti oggettivi che chiunque abbia preso parte a queste esperienze di progettazione avrà sperimentato.
Ad oggi le scuole vedono in questi bandi l'unica strada per ottenere risorse aggiuntive destinate ad ampliare l'offerta formativa.
1- Le risorse
Ad oggi le scuole vedono in questi bandi l'unica strada per ottenere risorse aggiuntive destinate ad ampliare l'offerta formativa. Le risorse affidate ai progetti vincitori dei bandi però hanno un limite: non sono preventivabili, poiché dipendono dal superamento delle selezioni da parte dei progetti presentati. Ci si trova così a non poter pianificare il proprio lavoro, tanto a livello di istituto quanto a livello personale, poiché non si ha la benché minima idea delle risorse che si avranno a disposizione, né della loro destinazione finale.
Secondo l'Associazione “DirigentiScuola” se le stesse risorse messe a bando fossero distribuite direttamente alle scuole, a seconda della complessità e delle rispettive esigenze, gli 830 milioni complessivi previsti potrebbero essere quantificati in un finanziamento medio di circa 100.000 € per istituto. Non una piccola cifra, che anno dopo anno permetterebbe alle scuole di impostare un percorso razionale di miglioramento basato su una chiara definizione delle priorità.
Le risorse messe a bando, inoltre, stando ai testi dei bandi, sono spesso dirette a finanziare soggetti terzi - formatori, enti, imprese, associazioni, fornitori - e non direttamente le scuole. Con cifre crescenti, su queste collaborazioni e reti di partner, peraltro, non è chiaro chi e come possa vigilare. Se all'interno degli istituti c'è un ufficio che si occupa delle questioni finanziarie, segue le procedure di affidamento ordinarie e controlla le attività che si svolgono all'interno delle mura scolastiche o durante viaggi di istruzione, in cui i ruoli sono pochi e ben definiti, all'interno di progetti che coinvolgono una rete di partner e di cui spesso parte degli aspetti amministrativi viene sbrigata dai docenti, le occasioni di ambiguità e mancanza di controllo saranno più frequenti.
2- La pianificazione
Il Ministero ha emesso l'ultima tornata di bandi del PON senza tenere conto dei tempi di funzionamento degli istituti scolastici, con scadenze per la presentazione dei progetti che si sommavano alle fasi di chiusura dell'anno scolastico. Inoltre, osservando il passato, alla scadenza dei bandi sono spesso seguiti tempi di valutazione dei progetti molto lunghi, con la conseguenza per gli istituti di non poter far conto su risorse certe e di non poter sapere su quali dei numerosi assi progettuali agire. Una scuola che adegua la propria offerta formativa all'ultimo momento a seconda dei finanziamenti ricevuti:
- non produce una didattica di qualità, poiché non è l'attuazione di due o tre progetti puntuali che costruisce una comunità educante e un'offerta di alto profilo;
- non rispecchia principi di buona amministrazione, ma è il regno dell'approssimazione e dell'arte di arrangiarsi.
3 - Il personale
Al problema delle risorse economiche si affianca quello delle risorse umane: da anni non si fanno più concorsi per introdurre nuovo personale nelle segreterie, il numero di insegnanti attualmente copre ai minimi termini il servizio ordinario, con moltissime figure mancanti (ad esempio per i ruoli di sostegno alla disabilità, docenti madrelingua, ec) e, se tanto non bastasse, metà delle scuole italiane sta navigando a vista, senza la guida di un preside.
Metà delle scuole italiane sta navigando a vista, senza la guida di un preside.
Da febbraio ad ora sono stati emessi 10 bandi con tempistiche a breve termine e scadenze ravvicinate. E' evidente che, davanti al quadro delineato poc'anzi, affinché la progettazione possa essere sia rapida che di qualità, occorrerebbe un team di persone specializzate e che si dedicassero prevalentemente, quando non esclusivamente, a questa attività. Gli altri enti pubblici – anche loro succubi della dittatura dei bandi - già oggi lavorano così: affidano a consulenti esterni la partecipazione a bandi di selezione, proprio perché la mole di lavoro - tra progettazione e gestione di una burocrazia a tal punto complessa da paralizzare l'attività ordinaria di dirigenze e segreterie - non è conciliabile con la gestione delle attività ordinarie.
4- La funzione docente
E veniamo all'ultimo punto. Non si tratta solo di un problema di tempo-lavoro, ma anche di compiti. Non è prevista tra le funzioni del docente quella di occuparsi di aspetti amministrativi, se non quelli strettamente afferenti all'attività didattica. Non a caso nell'ultimo concorso non veniva richiesta alcuna competenza in materia di predisposizione di bandi europei. Compilare budget o seguire la gestione amministrativa dei progetti certamente non sono funzioni del corpo docente.
Non si tratta solo di una mera – quanto giustificata – questione sindacale, si tratta di avere un'idea chiara e condivisa di quale sia oggi il compito della scuola e, al suo interno, il compito del docente. Proseguendo in questa logica di finanziamenti puntuali e non di sistema c'è il forte rischio che l'euforia progettuale entri in diretto conflitto con le normali attività di insegnamento. E quando parlo di “normale attività” non intendo polverose lezioni frontali in cui l'insegnante legge dal libro in classe. Oggi la quotidiana attività scolastica è fatta di percorsi che prevedono diverse modalità didattiche, contenuti scelti e ben approfonditi e uso di tecnologie che facilmente superano il gesso e la lavagna. Per fare bene questo lavoro sono necessari tempo e risorse: tempo per studiare, per preparare i materiali, per mettere a punto i percorsi; risorse per avere personale adeguato, strumenti funzionanti e spazi adatti. Tempo e risorse che nella rincorsa alle innumerevoli scadenze e adempimenti previsti dai bandi PON vengono ulteriormente ridotti.
Il PON rischia di creare dei “progettifici”
Legare l'offerta formativa a soli bandi di selezione porterà con facilità ad invertire fini e mezzi. Si tratta di un meccanismo, un gesto quasi involontario: si inizia a ragionare al contrario, a pensare al modo con cui “portare a casa” nuove risorse, a prescindere da ciò che realmente servirebbe per migliorare la qualità del proprio istituto e delle sue attività. Estremizzando (ma neanche tanto): una scuola potrebbe avere delle “aule digitali” finanziate dal PON, ma muri scalcinati, infissi colabrodo, caldaie che funzionano a mezzo servizio, insegnanti che non ci sono o vengono nominati a metà anno. Il sistema dei progetti PON può essere una via per premiare le scuole capaci di particolari progettualità, ma non può diventare l'unica via percorribile per integrare l'offerta formativa degli istituti o per soddisfare le esigenze di funzionamento di base della scuola.
Si inizia a ragionare al contrario, a pensare al modo con cui “portare a casa” nuove risorse, a prescindere da ciò che realmente servirebbe.
Molti saranno già pronti a commentare che queste righe sono frutto della solita resistenza al cambiamento del corpo docente italiano, ma non è davvero questo il caso. Il cambiamento nel modo di essere e fare scuola tra i docenti è in atto, qui si vuole solo proporre una riflessione su quali siano gli strumenti più opportuni di cui avvalersi lungo il percorso. Si tratta di abbandonare la retorica dell'innovazione - spesso chiamata a coprire le difficoltà dello Stato nel sostenere il sistema scolastico italiano - e tornare a fare politica nel senso primo del termine: confrontarsi sulle priorità della politica scolastica nazionale, su quale tipo di scuola vorremmo per il futuro.
Si può proseguire nella direzione disegnata dalla scuola dei progetti PON, della loro lotteria, che usa il merito come scudo per giustificare mancanza di investimenti e legittimare sperequazioni, oppure si può ripensare ad un sistema equo e certo di suddivisione delle risorse disponibili, che incida sui grandi problemi che gli istituti segnalano da tempo: la necessità di ridurre il numero di alunni per classe, la possibilità di ampliare l'offerta didattica (recuperando la possibilità di effettuare compresenze, rintroducendo le ore di potenziamento linguistico con insegnanti madrelingua anche negli istituti tecnici, ec), la possibilità di mettere in sicurezza o ammodernare gli edifici scolastici, la necessità di vedere riconosciuto (anche economicamente) il valore dei docenti.