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Alfredo Somoza presenta il suo ultimo libro sulla crisi delle forze progressiste nell'America Latina. A Vimercate parla del ruolo che l'America del Sud ha avuto negli ultimi anni a livello globale, di Papa Francesco che è “popolare, ma non di sinistra”, di Pepe Mujica che usa la lingua dei gaucho per far luce sul senso della vita e dell'impegno in politica.

Domenica all'apertura della seconda giornata di Freadomland, festival dedicato alla cultura e all’editoria della Brianza, organizzato a Vimercate dalla casa editrice Sagoma, Alfredo Somoza, giornalista, esperto di politica internazionale e presidente dell'Istituto Cooperazione Economica Internazionale di Milano, ha presentato il suo ultimo lavoro: “Sinistra desaparecida. Sud America: la crisi delle forze progressiste”. Il libro racconta in modo sintetico la crisi del laboratorio politico sudamericano in corso negli ultimi anni, anni in cui i movimenti progressisti, che fino all'altro ieri avevano vissuto una stagione di fermento, hanno accusato i primi passi falsi. Un tema, quello della crisi delle sinistre, che riguarda da vicino anche l'Europa.


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Il Sud America e il mondo stanno vivendo un cambio di segno conservatore, è il pendolo della Storia che oscilla in un senso e nell'altro. Io credo che la componente progressista della storia non trionfi mai da nessuna parte, ma neanche quella conservatrice. L'umanità sale sulla scala del progresso facendo due, tre gradini alla volta, per poi ripartire con un nuovo ciclo, magari tornando indietro di un gradino. Il ritorno delle destre oggi riguarda il mondo intero, e soprattutto l'Europa e gli Stati Uniti, prima ancora che l'America Latina”. Sono parole di José "Pepe" Mujica, tra le tante raccolte da Somoza durante una intervista esclusiva con l'ex presidente uruguayano; parole che servono da spunto per discutere lungo le pagine del libro di questione morale, linguaggio della politica, gestione della crisi, populismi e nuove destre.

A Vimercate, Somoza ha avviato il suo intervento partendo dal Brasile, importante per il suo peso demografico e per il suo ruolo internazionale e buon esempio della parabola delle forze progressiste: «Se oggi il Brasile ha un ruolo sul piano internazionale il merito è in particolare della stagione socialdemocratica guidata dal presidente Lula. In un decennio di amministrazione, tra il 2003 e il 2011, Lula ha saputo tenere in ordine i conti e mettere in cantiere piani importanti, ad esempio quello per combattere la povertà estrema, uno dei problemi maggiori del paese. I dati parlano di 40 milioni di brasiliani che in un decennio sono usciti dall'indigenza. Per un paese di 200 milioni di abitanti non è poca cosa. A livello internazionale Lula si è saputo muovere ed è stato uno dei registi della nascita dei BRICS, che sono diventati un punto di riferimento globale a partire dal 2003, affiancandosi di fatto al G7».

I dati parlano di 40 milioni di brasiliani che in un decennio sono usciti dall'indigenza. Per un paese di 200 milioni di abitanti non è poca cosa.

«Il G7 del resto dovrebbe essere la riunione delle sette grandi potenze mondiali, ma oggi è prevalentemente una messa in scena. I BRICS non hanno bussato e si sono attivati nel primo decennio del duemila promuovendo la formazione del G20, un contesto oggi più opportuno e bilanciato in cui dibattere di questioni internazionali e rappresentare i diversi interessi in gioco. Sempre i BRICS in quegli anni hanno condotto una battaglia all'interno del WTO per bloccare alcune normative internazionali che  avrebbero permesso a UE e USA di mantenere i loro sistemi protezionistici in agricoltura, mentre gli altri paesi avrebbero dovuto rimanere sul mercato senza protezioni e senza dire niente. Nel Novecento questo poteva accadere, ma da quando il mondo è diventato multipolare non funziona più così».

 

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Per diversi anni l'America Latina ha rappresentato un laboratorio per le politiche di sinistra fino a che il meccanismo si è inceppato e in molti paesi sudamericani hanno prevalso spinte autoritarie e rinascita delle forze di destra. Secondo Somoza ci sono diversi limiti delle esperienze progressiste che hanno aperto la strada alla rinascita dei conservatori: «Un vizio mai superato della politica sudamericana è quello di essere tentati di cambiare le regole del gioco una volta arrivati al potere. Questo ha riguardato anche la sinistra. Ci provò Chavez qualche tempo fa e fu bloccato; l'unica volta in cui perse le elezioni, credo. Ci ha provato Evo Morales in Bolivia lo scorso anno e ha perso. Anche presidenti molto popolari, toccando quel tasto - nel tentativo di trasformarsi in sovrani ed eliminare i vincoli all'esercizio del loro potere - sono stati puniti dall'opinione pubblica e dalle urne».

Un vizio mai superato della politica sudamericana è quello di essere tentati di cambiare le regole del gioco una volta arrivati al potere.

«Un secondo fattore che ha giocato negativamente sui governi progressisti è stata una costante sottovalutazione della violenza. La violenza in America Latina è aumentata tantissimo negli ultimi 20 anni: un aumento figlio della crescita delle diseguaglianze sociali. E' un collegamento evidente, matematico: tanto più sono stati abbandonati i poveri, tagliata l'educazione e l'assistenza sociale, tanto più la violenza si è diffusa. Oggi tra le fasce deboli dell'America meridionale è un tutti contro tutti figlio non di contrapposizioni ideologiche, ma di povertà estrema e guerra tra emarginati. Questa escalation violenta è stata molto sottovalutata all'interno del dibattito politico».

Il narcotraffico ha due fasce di clienti: quelli ricchi, che ricevono le partite di cocaina, e quelli poveri che si spartiscono gli scarti di lavorazione.

«Il terzo fattore è legato al dilagare del narcotraffico. Da alcuni casi, come quello colombiano, oggi i narcotrafficanti si sono inseriti ovunque nell'America meridionale e il consumo di droga tra le fasce deboli si è espanso creando danni profondi al tessuto sociale. Il narcotraffico ha due fasce di clienti: quelli ricchi, che ricevono le partite di cocaina, e quelli poveri che si spartiscono gli scarti di lavorazione dell'industria della coca. Per produrre cocaina è necessaria tutta una serie di lavorazioni chimiche. I prodotti di scarto di quelle lavorazioni sono oggi consumati dai giovani nelle periferie degradate della maggior parte delle metropoli sudamericane. Lo scarto pieno di sostanze chimiche, che andrebbe buttato via, viene venduto a bassissimo costo. Sostanze che dopo sei mesi d'uso friggono il cervello. Il fenomeno si allarga e sta diventando un problema sociale serissimo».

 

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Povertà, criminalità e droga nel Centro e Sud America (via: wikipedia.com)

 

Mentre i movimenti progressisti in America Latina retrocedono, sulla scena internazionale si sentono parole “di sinistra” provenire da Papa Francesco, il primo pontefice sudamericano della storia. Somoza però corregge la visione che spesso viene costruita dai media europei: «troppo spesso Bergoglio non viene contestualizzato. Lui è sempre stato un peronista. Nel libro spiego come fossero presenti diversi tipi di peronismo e diverse sensibilità nel partito peronista. Si trattava di un movimento, non di un partito: una corrente di persone che si muovevano dietro ad un leader le cui parole e azioni erano spesso interpretate differentemente dalle varie fazioni sostenitrici. I leader di questi movimenti sono furbi, non sono mai netti nelle loro esternazioni di modo che tutti possano ritrovarsi nel loro messaggio. Quando Peron fu rieletto, nel 1973, il suo partito raccoglieva in sé dalla destra fascista fino ai gruppi armati rivoluzionari filo cubani. Tutti convinti che Peron fosse “dalla loro parte” e il presidente riusciva a convincerli che ciascuno aveva ragione. Bergoglio era adolescente quando si instaurò il primo governo di Peron e faceva parte delle organizzazioni giovanili del peronismo storico; anche in seguito ha sempre aderito alla corrente conservatrice del movimento, l'ala destra, per così dire».

 

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L'ex presidente bolivano Evo Morales  omaggia Papa Francesco con un crocifisso a forma di falce e martello (via: corriere.it)

 

Se c'è qualcosa di lontano dal comunismo è proprio il mondo da cui proviene Bergoglio.

 «I gesuiti nel continente americano – spiega Somoza - sono sempre stati vicini alla sinistra: in Centro America sono di sinistra, negli USA sono di estrema sinistra, in Argentina invece erano e sono peronisti. Cosa vuol dire per loro essere peronisti? Significa essere conservatori dal punto di vista dottrinale e morale, molto sensibili sul piano sociale ed economico. Quando Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires, al governo c'erano i Kirchner, i quali sostenevano che fosse proprio Bergoglio la loro vera opposizione. Bergoglio ha fatto da regia al movimento contro l'approvazione del matrimonio gay in Argentina, ma allo stesso tempo ha organizzato proteste contro le politiche sociali - ritenute troppo deboli - del governo dei Kirchner. Le sue riflessioni e azioni di oggi sono perfettamente inscrivibili nel solco del peronismo argentino. Lui continua ad essere coerente con sé stesso: a qualche collega - ad esempio quelli de Il Foglio - ogni tanto scappa che il Papa è “comunista” e io mi immagino che risate si farà il pontefice davanti a simili affermazioni. Se c'è qualcosa di lontano dal comunismo è proprio il mondo da cui proviene Bergoglio».

L'essere “popolari” in Sud America non vuol dire essere di sinistra così come la intendiamo noi.

«Bisogna rileggere le azioni di Papa Francesco evitando di utilizzare etichette europee – ribadisce Somoza. L'essere “popolari” in Sud America non vuol dire essere di sinistra così come la intendiamo noi. Lui è molto popolare e molto francescano: quello che fa oggi a Roma, lo faceva in Argentina nel passato.  Non ha mai dormito nel palazzo arcivescovile, ad esempio. A Buenos Aires viveva in due locali con un altro gesuita più anziano. Chiunque sapeva dove trovarlo: alle 8 di mattino era in metropolitana, pronto per andare al lavoro alla cattedrale di Plaza de Mayo. Viveva come il popolo e con il popolo. La persona più vicina a questo Papa tra i politici del Latino America è stato un uomo che con la storia e la cultura di Bergoglio non c'entra niente: José Pepe Mujica, l'ex presidente uruguayano, che nella sua critica alla politica ha detto e dice cose che potrebbe dire Papa Francesco».

Di Mujica mi ha colpito prima di tutto la lingua. Parlare con lui è come parlare con un gaucho.

«Di Mujica – ha proseguito Somoza - mi ha colpito prima di tutto la lingua. Parlare con lui è come parlare con un gaucho, e questo dal presidente di un paese non te lo aspetti. Se lo senti parlare e chiudi gli occhi potresti scambiarlo per uno di quei personaggi di libri ottocenteschi pieni di retorica delle semplici cose. Il gaucho come tutti i mandriani – ce lo hanno insegnato bene i film western - è persona che parla poco, ma quando parla incide sentenze. Il Papa è molto cittadino, ha un linguaggio urbano, mentre Mujica parla come un uomo di campagna, con il linguaggio delle cose, molto diretto, che non lascia niente all'immaginazione. Una lingua che ha l'eleganza della pragmaticità. Come politico, del resto, Mujica è stato un grande pragmatico: un uomo che ha subito 12 anni di carcere avrebbe potuto uscire dalla galera carico di voglia di vendicarsi e invece si è messo al servizio del suo paese. Ha saputo costruire insieme a tanti altri una coalizione a cui è sempre rimasto fedele, anche accettando diverse decisioni che personalmente non avrebbe preso. Lo ha fatto con grandi risultati: un presidente più popolare quando se ne è andato di quando è stato eletto. Un caso storico».

Un presidente più popolare quando se ne è andato di quando è stato eletto. Un caso storico.

«Perché ha fatto la differenza? - si chiede Somoza - E' arrivato a fare il presidente a 76 anni, senza cambiare di un centimetro il suo modo di vivere. Ha continuato ad abitare in campagna, in una casetta fuori città, con un po' di terra da coltivare, ha proseguito a girare con un maggiolino degli anni '70 e ad accudire il suo cane vecchio e zoppo. Un quadretto che visto da lontano sarebbe potuto sembrare un po' triste, ma che invece non lo era affatto: a lui serviva poco, quando è diventato presidente ha deciso di trattenere solo 200 euro dalla sua indennità, il resto lo ha sempre distribuito ad una serie di ONG. La moglie, come lui, è stata in galera a lungo e ha condiviso col marito tante battaglie, siccome non hanno figli hanno deciso di  adottare 10 ragazzi poveri  cosicché in futuro erediteranno la pensione dell'ex presidente».

L'Uruguay ancora oggi è l'unico stato al mondo ad aver legalizzato la marijuana.

«Questa sua semplicità gli ha permesso, anche al potere, di continuare a dire le cose che aveva sempre detto  nella sua vita quotidiana, portando nel dibattito pubblico temi molto antichi, eppure di grandissima attualità: il senso della repubblica, la morale della politica, la critica al consumismo. Si è inoltre fatto promotore di un grande avanzamento sul piano dei diritti civili.  Durante il suo mandato sono stati approvati: la liberalizzazione della cannabis, la depenalizzazione dell'aborto e una legge sulle unioni gay. Il suo governo in cinque anni ha fatto tantissimo da questo punto di vista, anche affrontando forti polemiche: l'Uruguay ancora oggi è l'unico stato al mondo ad aver legalizzato la marijuana. Lui ha dichiarato nell'occasione di quella decisione: “non ho mai fumato, non è roba della mia generazione e non mi interessa, però voglio che i narcotrafficanti perdano un pezzo importante del loro business”. Insomma, quello che in Italia dicono da tempo tanti antiproibizionisti di buon senso, come Don Ciotti».

«Oggi in Uruguay – ha specificato il giornalista - è possibile coltivare in proprio fino a 7 piante per persona, associandosi in particolari club o, in alternativa, è possibile acquistare marijuana in farmacia a un dollaro al grammo, nella quantità di 5 grammi per persona al mese. Questo prezzo estremamente competitivo è stato reso possibile grazie all'avvio di produzioni statali per cui il cittadino uruguayano oggi paga la cannabis al costo di produzione».

Quando compriamo stupidaggini  non stiamo spendendo solo soldi, ma anche il tempo della nostra vita, perché quei soldi li abbiamo guadagnati con ore di lavoro.

«Infine, Mujica ha guadagnato consensi anche fuori dal suo paese perché portatore di una sorta di filosofia della sobrietà, di cui forse oggi in giro si sente un gran bisogno. Nei discorsi pubblici lo abbiamo sentito spesso parlare di felicità. La felicità per lui è intesa come la possibilità di vivere senza caricarsi di cose che non servono, perché le cose che non servono le compriamo sottraendoci del tempo. Quando compriamo stupidaggini  non stiamo spendendo solo soldi, ma anche il tempo della nostra vita, perché quei soldi li abbiamo guadagnati con ore di lavoro. Vi leggo qualche sua dichiarazione:  La mia idea di vita è la sobrietà. Concetto ben diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L'alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti tolgono il tempo per vivere Un vero richiamo all'essenzialità e al valore del tempo vitale, insomma,  il tempo come bene non rinnovabile. Si tratta di un pensiero antico. O ancora: “Radiamo al suolo le foreste, le foreste vere, e impiantiamo anonime selve di cemento. Affrontiamo la sedentarietà con i tapis roulant, l’insonnia con le pasticche e la solitudine con i dispositivi elettronici. Ma siamo davvero felici isolati dal contesto umano? Dobbiamo porci questa domanda”. Si tratta di brevi flash, ma penso parlino a tutti, dicano qualcosa di molto semplice, ma che ci prende nel profondo. Oggi da molti Mujica è considerato un guru, anche se lui dice cose che, secondo il suo stesso parere, sono ovvie, scontate».

 

Intervista al Pepe Mujica contenuta nel film Human di Yann Arthus-Bertrand del 2015

 

«Un ultimo passo sul tema del rapporto tra morale e politica: “La politica deve riflettere lo standard di vita della maggioranza dei cittadini. Il politico dovrebbe vivere come la maggioranza delle persone della società alla quale appartiene. Preoccuparsi delle condizioni di vita della gente dovrebbe essere un punto focale dell'azione dei partiti e dei movimenti sociali. A un politico che non viaggi sui mezzi pubblici, che non fa la spesa, che non entra in un bar, dovrebbe essere impedito di proseguire la carriera. Condividere il modo di vivere di un popolo ci racconta nell'intimità chi sono i suoi componenti e a cosa aspirano molto meglio delle ricerche sociologiche. La politica deve ricordarsi che la gente osserva queste cose, giudica lo stile di vita dei suoi dirigenti, non dimentica l'arroganza di chi diventa casta”.  Parole di un politico che ama la politica come impegno verso la comunità di cui fai parte, di chi, dopo 12 anni di galera, è uscito e dopo due giorni è tornato a militare per le stesse idee».

Dopo 12 anni di galera è uscito e dopo due giorni è tornato a militare per le stesse idee.

«Se esci dalla comunità e cominci a vivere in quel mondo parallelo, che spesso percepiamo quando ci avviciniamo alla politica, ecco, allora per Mujica dovresti smettere di occuparti della cosa pubblica. Centra un problema comune non solo in America Latina: il progressivo scollamento della politica dalla gente è un tema che oggi sentiamo fortemente anche in Europa».

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.