20170202 fine vita

Un dibattito voluto dalla Cisl al Carlo Porta di Monza con Beppino Englaro, Don Stefano Cecchetti e Annamaria Colombo

Nei giorni scorsi si è tenuto un incontro presso l'Istituto Carlo Porta di Monza dal titolo:  "QUESTIONI ULTIME. Del vivere, del morire. Con dignità, fino alla fine". Molte le anomalie positive che hanno caratterizzato l’iniziativa. L'essere stato proposto da un sindacato (la Cisl Monza-Lecco) che si professa laico e che non si occupa solo di diritti del mondo del lavoro ma anche dei “diritti di cittadinanza” e che ritiene la questione morale una dimensione pubblica. L'essersi tenuto in una scuola con la presenza di molti studenti interessati e poco “distratti” dalla quotidianità  Iphone. Infine il tema scelto: quello del “fine vita”  ormai quasi dimenticato dai media e dall’opinione pubblica dopo la conclusione della vicenda di Eluana Englaro.

Sono passati infatti venticinque anni (1992) da quando Beppino Englaro (il padre) intraprese una lunghissima battaglia per  l’autodeterminazione delle scelte  e  per un processo di “morte naturale” per chi si fosse trovato in uno stato vegetativo da “tenuti in vita” con alimentazione e respirazione artificiale. 

Sono passati  quasi dieci anni da quando Eluana Englaro, dopo essere stata “tenuta forzatamente in vita” per 17 anni, fu accompagnata in maniera assistita alla sua morte: nel mancato silenzio della politica e con l’impegno che in 30 giorni ci sarebbe stata una legge, per evitare che questo avvenisse di nuovo.

Sono passati 3000 di giorni, ma la legge sul “testamento biologico” ancora non c’è e la proposta giacente in Parlamento, rischia di restare tale, se andrà a scadere l’attuale legislatura.

Un momento informativo e di dibattito, che a differenza di un passato caratterizzato da feroci contrapposizioni e strumentalizzazioni,  ha visto i relatori confrontarsi con pacatezza e volontà di dialogo. 

Un confronto che ha affrontato il tema dai diversi punti di vista: quello dall’esperienza dei diretti interessati con l’intervento di  Beppino Englaro, Presidente dell’Associazione “Per Eluana” – di Don Stefano Cecchetti, che ha approfondito gli aspetti morali delle persone coinvolte  e di Annamaria Colombo, consulente di cure palliative presso il Policlinico di Monza che ha chiarito il ruolo che dovrebbe avere la medicina in questi casi.

Beppino Englaro, attraverso il sofferto e doloroso racconto della vicenda che ha coinvolto sua figlia, ha voluto mettere in rilevo alcuni aspetti importanti:

- “il diritto dei genitori” ad essere informati, prima che i medici prendano la decisione di una “rianimazione ad oltranza e senza ritorno” del paziente. I medici di Lecco nel '92 (data dell’incidente stradale) decisero di procedere, senza informare la famiglia e senza definire una scelta condivisa anche da loro. 

Su questo diritto, Beppino trovò il deserto intorno a se: “È così perché è così… l’unico diritto che hai è quello di non aver nessun diritto”.

- la libertà di scegliere rispetto al “fine vita” da parte delle persone interessate e delle famiglie. Eluana pochi mesi prima del suo incidente aveva  già espresso il suo convincimento contrario al mantenimento artificiale, come accaduto pochi mesi prima ad un  suo caro amico. 

- la “moralità” di tali scelte; Englaro ha voluto ricordare la differenza tra “morte naturale” ed eutanasia, con  la necessità del rispettare la dignità della persona “priva di morte e orfana di vita”.

“Lascia che la morte accada… è amore per la vita” – “Libertà di vivere… non condanna al vivere”.

Del racconto e delle idee di Englaro, ha colpito la “passione civile” e la “composta determinazione”. Dopo vent’anni con la sua Associazione “per Eluana,” ha contribuito a cambiare il clima e l’opinione nel paese. 

Dal deserto attraversato da Beppino oggi più del 70% degli italiani sono d’accordo per una legge che contempli  il “testamento biologico” e la stessa medicina e la politica si stanno ponendo in maniera diversa rispetto a quando Englaro inizià la sua battaglia.

Un compito arduo quello di Don Stefano Cecchini (teologo), chiamato ad esprimere il pensiero della Chiesa cattolica; quella stessa Chiesa che per anni si oppose con feroce determinazione in nome del “diritto alla vita”. Il suo contributo ha evidenziato che anche  nella Chiesa il pensiero si è evoluto, ponendosi  con molta più attenzione e rispetto delle altrui opinioni.

Don Stefano  ha inquadrato la sua riflessione su due perni:

- come Englaro, sottolineando la differenza tra autodeterminazione e eutanasia come differenza tra “il diritto di vivere la mia morte” con quella di affermare “il diritto a morire”.

- riprendendo un documento scritto dalla Chiesa nel lontano 1980, ha ricordato che, la scelta non riguarda solo la persona interessata ma l’insieme dei soggetti coinvolti: il malato o la persona delegata (il tutore), i medici e la famiglia. Una scelta come risultato di una condizione data e di un dialogo e di una relazione stretta  tra i soggetti coinvolti, affinchè una scelta così difficile e complessa, non sia lasciata all’isolamento e alla solitudine del malato. 

-  l’importanza del rispetto della dignità delle persone e la ricerca di una relazione tra “libertà e coscienza” nel determinare quali scelte fare. 

Infine la Dottoressa Annamaria Colombo, ha cercato di attualizzare i cambiamenti che anche nel mondo della medicina si sono affermati nel tempo.

Il “diritto all’informazione” e alla costruzione di un consenso con gli interessati e le loro famiglie… “Oggi non potrebbe più accadere l’episodio dell’ospedale di Lecco del caso Eluana rispetto alla mancata informazione e relazione con la famiglia”.

La differenza tra “curare la malattia” con “l’avere cura del malato che non può più guarire”,  affinchè sia accompagnato con dignità alla fine della sua vita. L’esperienza delle “cure palliative” e la rete delle Hospice che da anni “praticano” questo “accompagnamento” che ha, in genere, tempi brevi. 

Una Medicina “non specialistica” ma con competenze trasversali alle patologie: oncologi, neurologi, psicologi eccetera che hanno il compito, come equipe, di supportare percorsi che rendano meno doloroso il fine vita. Patologie che ormai coinvolgono sempre più, non solo quelle più frequenti e note: tumori e blocchi neuorologici, ma anche la Sla e perfino soggetti anziani o bambini.

Il protocollo: “Il Giardino dei  gentili” va nella direzione di un consenso informato e di un “supporto al lutto” per le persone coinvolte – di una “non medicalizzazione della morte” ridando “naturalità” alla stessa.

In questi giorni, a fatica, i riflettori parlamentari sembrano riaccendersi per andare a decidere finalmente una legge sul “fine vita”, sperando che 2000 emendamenti non la blocchino di nuovo e che questo possa avvenire prima del “fine legislatura”.

I contenuti e la qualità espressa nell’incontro, evidenziano quanto ancora resta da fare per informare e formare la cittadinanza, affinchè si abbia coscienza e strumenti sul che fare quando queste situazioni si verifichino a noi e ai nostri cari.

 

Spot della campagna "Io non costringo, curo",  Appello dei medici e degli operatori sanitari per la libertà di scelta sul testamento biologico e contro l'accanimento terapeutico. Interpretato da Maria Antonia Fama