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Per La Monza che Vorrei, intervista a Renato Mattioni, segretario generale della Camera di Commercio di Monza. "Non ha senso pensare a riprodurre - in piccolo - quello che c'è già a Milano"

 

Come vede lei il futuro della città di Monza, quali le minacce, le opportunità, i punti di forza e di debolezza?

Bisogna guardare a Monza come parte dell’area metropolitana milanese, in una prospettiva di riordino delle istituzioni locali, e in una realtà in cui l’aggregazione identitaria non avviene più per territorio, in modo statico, ma in modo dinamico, per flussi, di persone o di merci. Quindi, parlare di una città come Monza, senza tener conto di Milano, rischia di diventare parziale.
Certo, Monza è la capitale storica della Brianza, con una identità consolidata anche dal punto di vista simbolico, ma tuttavia ha una autonomia limitata. Deve tener conto e “scegliere” di far parte di Milano, intesa come uno dei “nodi” rilevanti in un contesto di globalizzazione, in cui perderanno peso gli stati nazionali, purtroppo anche sovranazionali, e si affermeranno nodi come New York, Istambul, Mumbay, eccetera. Chi vive in questi ambiti avrà un ruolo di protagonista, chi ne è lontano sarà uno spettatore o, come nei film, una comparsa.
In un contesto in cui la dimensione regionale è troppo ampia e labile, e la provincia è una realtà recente e perigliosa, Monza deve puntare alla sprovincializzazione, all’apertura, al non fare da sola, sviluppando professionalità creative e manifatturiere.
Nella ricerca di un percorso identitario cittadino, occorre quindi verificare quanto convenga cercare di essere una sorta di micro-Milano (università di Monza, fiera di Monza, eccetera), multifunzionale, o piuttosto, anche dal punto di vista simbolico, puntare su un sistema di collegamenti allargati.

Monza deve puntare alla sprovincializzazione, all’apertura, al non fare da sola, sviluppando professionalità creative e manifatturiere.

 

Ma, pur all’interno di questo sistema, non ritiene che città delle dimensioni di Monza, che definirei “ciclabile”, in una prospettiva che vede la popolazione del mondo inurbata superare quella che risiede nelle campagne, possa svolgere funzioni molto importanti per fronteggiare problemi globali, come ad esempio quelli ambientali, energetici, eccetera?

Si, ma dobbiamo vedere questo in maniera moderna, non nostalgica. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che non ha senso una Monza multifunzionale. Monza ha una sola funzione: quella manifatturiera. Poi magari questa cambierà, ma oggi, nel contesto di Milano che è l’ottava global city del mondo, con i servizi, il design, la creatività, questa è la sua funzione: di retroterra manifatturiero. Se mai, deve recuperare questa sua funzione simbolica, di leadership manifatturiera tra le prime del mondo. Riassumere il ruolo di riferimento dell’high-tech vimercatese, della meccanica fine che arriva fino a Lecco, del mobile di Seregno, Giussano, direi fino a Cantù (le “reti lunghe”): cioè il riferimento della Brianza allargata, anche di quella che non è monzese. Questa dovrebbe essere la sua ambizione.

 

Quello che lei dice mi fa pensare che l’istituzione della Provincia, sia pure con delimitazioni che non corrispondono alla Brianza allargata, può contribuire ad esaltare questo ruolo di Monza.

Ma in effetti io sono favorevole alla provincia, non credo a semplificazioni apparenti. La riduzione del “costo della politica” deve seguire ben altre strade. Il vero discorso è quello delle autonomie, del federalismo. Si tratta della dislocazione del potere. Se si desse più potere alla periferia, le cose andrebbero meglio.

 

Io credo che dobbiamo abbandonare il qualche misura una visione illuministica, per recuperarne una rinascimentale, fondata sulla cultura, sulla bellezza.

È il discorso della sussidiarietà, quella vera. Ma Lei può immaginare possibili “storie del futuro” per Monza, positive e negative?

La mia ipotesi più terribile è che ci sia un centro più o meno vitale, Milano, e tutto il resto diventi una enorme periferia. Che Monza e Brianza diventino un grande dormitorio, senza identità, come certe città dell’est. Che i nuovi arrivati si insedino fuori del centro non per una scelta valoriale, ma solo perché le case costano meno. Che si verifichi una globalizzazione che dica che la nostra manifattura non ha più senso, che perdiamo il ruolo tradizionale di paese trasformatore, con i giovani legati tra loro solo via social network e utenti di voli low cost per andare a vedere una partita di calcio a Berlino, flussi marginali rispetto a una realtà che vive altrove. La fine dell’homo faber e l’avvento dell’homo oeconomicus, consumatore.
Io credo che dobbiamo abbandonare il qualche misura una visione illuministica, per recuperarne una rinascimentale, fondata sulla cultura, sulla bellezza. Credo anche che i nostri punti di forza siano diventati le tre F: Food (abbiamo più formaggi dei francesi); Fashion (l’organizzazione Milano Fashion attrae 15 mila buyer, 2500 giornalisti, è seconda solo a eventi come il Carnevale di Rio o il Premio Nobel); e Furniture, cioé la casa.
Questo trio ha sostituito, per fortuna, quello precedente “pizza, mandolino e mafia”, con connotati solo turistici, di paese per vacanze americane. Ormai il prodotto italiano lo ritrovi dappertutto nel mondo, nei film come elemento simbolico di distinzione. Il valore intrinseco del prodotto è quasi un prerequisito.

 

20110928-renato-mattioni-libroE la visione ottimistica del futuro di Monza?

Che i monzesi sviluppino le valenze che hanno come milanesi-brianzoli, “neoglocali” (imprenditori, giovani che vanno ovunque nel mondo), residenti consapevoli di una Monza trattata alla pari con Milano, senza doverlo piatire, essendo considerati non come una periferia, ma come una ricchezza. La stazione di Monza ha già più presenze di Linate. Questo è il posizionamento positivo della Monza del futuro.

 

Ma, come lei sa, non è facile. Milano non è capace di vedere al di là della Madonnina.

Lo so, lo so. Ma il cambiamento, secondo me, non verrà da una supposta nuova borghesia nilanese, quella che ha portato al successo un borghese-antiborghese come Pisapia, ma da nuove leve di imprenditori.
Quando dico che Monza deve diventare leader di una funzione, quella manifatturiera, non intendo una funzione statica, ma che sta già cambiando. Anche la piccola impresa brianzola di oggi non è più quella del passato, non assume apprendisti tradizionali, ma giovani che sanno lavorare con il computer. Oggi non c’è più una impresa brianzola qualificata, anche artigiana, che non abbia un brevetto, una proposta originale, un prodotto che “non è un prodotto cinese”. Io immagino una Brianza divenuta un mega laboratorio di prototipi, in cui la creatività, il design svolge un ruolo pervasivo, che va dal prodotto al disegno della città. Le produzioni tradizionali potranno anche essere delocalizzate.
Potrei dire che responsabilità di Monza e Brianza rispetto a Milano e al mondo è “di far dimenticare la morte”, dove la morte sono le grandi multinazionali della distribuzione, i McDonald ovunque.

 

I non luoghi di Marc Augè?

Sì. Muori se ti senti un numero. L’acquisto di un particolare oggetto di design, o di abbigliamento contribuisce alla propria identità, diversità.

 

Che ruolo possono giocare, in questa sua visione, i simboli di Monza: il Duomo, la Corona Ferrea, la Villa e il Parco storico?

 Le istituzioni, le associazioni, le imprese dovrebbero averne cura, restaurarle non tanto come investimenti culturali fini a sé stessi, con un mecenatismo magari nascosto, e non solo per la qualità della vita, ma come fattori di competitività. Si diventa più competitivi se si restaura la Villa Reale, se si sistema il Parco, se si investe sul brand Teodolinda, che se si fa a Monza una università. Occorre puntare sull’infungibilità simbolica che superi l’ambito locale: “Chi possiede la Villa Reale, o il dolce di S. Agostino? Solo noi”. Lo stesso fatto che qualcuno abbia pensato, strumentalmente, di mettere i ministeri a Monza, testimonia che il luogo ha una scala globale sotovalutata. Occorre rafforzare il complesso degli elementi che ci caratterizzano, evitando di duplicare cose che stanno bene altrove.

 

Cosa pensa del distretto culturale?

È un laboratorio. Una volta la Brianza era verde, e i nobili vi costruivano le cosiddette ville di delizia. Secondo me queste sono state all’origine dell’industria del mobile di qualità per committenti esigenti (le signore milanesi). Allora le manifatture erano al centro, la delizia fuori. Purtroppo, è avvenuto che la delizia si è trasferita al centro, e le manifatture in Brianza. La Brianza non è più verde come una volta, è una delle aree più antropizzate del pianeta. ll distretto culturale va inteso come uno sforzo di recupero della tradizione, di valori simbolici da rivalutare rispetto alle villette con il capannone accanto. Ma a questo scopo non si deve pensare a un recupero delle ville come immobili, come beni culturali del passato, in una logica urbana, ma come parte di un recupero ambientale. Le ville vanno restaurate per recuperare i loro giardini, con il loro contesto ambientale.

 

A che punto siamo di questo possibile disegno?

Sicuramente stiamo meglio di prima. Penso che si debbano focalizzare gli interventi, senza disperdere le risorse purtroppo molto scarse.

 

Cosa prevede per il distretto High-Tech del vimercatese?

Bisogna ricordare come è nato: calato dall’alto come un ufo, per la facile raggiungibilità, per il collegamento con gli headquarters della metropoli, in una zona agricola, senza generare un vero marchio territoriale. Ci sono importanti imprese insediate (STm, Alcatel, Cisco, ...), altre sono andate in crisi. Ma si è anche verificata una disseminazione, una cross fertilization con le capacità di fare impresa dei brianzoli, con molti spin off, come nel fotovoltaico. Occorre agevolare questo processo, in una logica di rete globale.

 

Cosa pensa della qualità della vita di Monza? Cosa le piace, e cosa no?

Io abito a Milano, essendo nato in provincia, nelle Marche, vicino a Recanati. Vengo dalla provincia, e non ho nessuna intenzione di tornarci. Per questo, non mi piace Monza quando ne colgo tratti provinciali. Recanati è la città di Leopardi, l’autore della poesia “L’infinito”. Quando ripenso alla siepe di cui parla la poesia, che separa il colle dall’infinito, immagino che se la siepe prevale sull’orizzonte occorre preoccuparsi.
Sono un utente di Monza, dove faccio acquisti. Soprattutto apprezzo la possibilità di passeggiare, cosa che a Milano faccio poco. Trovo che a Milano sia stata una buona iniziativa quella di introdurre il bike sharing. Sarebbe una buona idea anche per Monza.
Insomma, Monza ha tutti i fondamentali per mettere insieme lavoro e vita, alla stregua di città come Bergamo o Brescia. A questo scopo fondamentale è il rafforzamento del centro storico, con un percorso pedonale straordinario che va dalla stazione fino alla Villa.

 

Si potrebbe pensare Monza come una sorta di terzo Naviglio, capace di attrarre i giovani

C’è un aspetto negativo, però, del centro storico: che dopo le otto è deserto.

Bisogna tener presente che Monza è comunque di una città del nord, come del resto Milano, anch’essa deserta dopo una certa ora, salvo alcune zone dedicate come i Navigli. C’è poi il fatto della attrattività di Milano. Tuttavia si potrebbe pensare di invertire il flusso, facendo di Monza una sorta di terzo Naviglio, capace di attrarre i giovani. Mi dicono che a Vimercate c’è un locale molto frequentato da milanesi. Certo occorrerebbe investire, in mezzi di comunicazione, arredo urbano, iniziative interessanti. Ma non sarebbe impossibile.

 

20110928-renato-mattioniRenato Mattioni, Segretario generale della Camera di Commercio di Monza e Brianza, ha lavorato in Regione Marche, all'Unioncamere di Roma e alla Camera di Commercio di Milano. Ha conseguito dottorato di ricerca in Sociologia delle istituzioni giuridiche e politiche e ha svolto attività di ricerca presso l'Università Cattolica di Milano e le Università di Camerino e Macerata. Giornalista pubblicista, è autore di numerosi saggi e articoli in tema di sociologia urbana e rurale, economica e politica.Tra le pubblicazioni Lo fatica dei campi (il lavoro editoriale), L'avventura dell'industria (Mierma), I conti della serva:viaggio elettorale nella regione Marche (Mierma). Il suo ultimo libro è L'importanza di chiamarsi Brand. Quanto valgono la Scala e l'Autodromo di Monza, il design e la moda? (Editore Guerini e Associati)

 

La Monza che Vorrei

 

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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