L’Italia di Berlusconi è molto amica della Russia di Putin, ma non perché, come qualcuno pensa, il presidente del Consiglio è molto amico e probabilmente socio in affari con lo Zar del Cremlino, o perché il petrolio e il gas russo ci servono e non possiamo permetterci di litigare con Mosca. Le ragioni sono altre e gli interessi molto più diffusi e tangibili di quel che appare.
Da due anni almeno la Federazione Russa ha preso il posto degli Stati Uniti come mercato di sbocco per molti dei distretti industriali che costituiscono l’ossatura della nostra economia diffusa. Il distretto brianzolo del mobile ad esempio, considera oggi la Russia come uno dei suoi più importanti partner commerciali, il terzo dopo Francia e Usa, dove i mobilieri vendono qualcosa come 127,3 milioni di euro, cifra che nel primo trimestre del 2008 è cresciuta ancora del 28%.
L’anno scorso le esportazioni made in Italy dirette verso questo mercato sono complessivamente salite a quota 2,8 miliardi di euro, premiando in particolare le imprese di abbigliamento, calzature, elettrodomestici e mobili. In questi comparti negli ultimi anni il peso del mercato russo si è innalzato notevolmente, avvicinando o, addirittura, superando quello degli Stati Uniti. Emblematici sono i casi del Calzaturiero di Fermo (il primo distretto italiano del settore) e delle Cucine di Pesaro, per i quali la Federazione Russa è divenuta il primo sbocco commerciale, assorbendo una quota delle vendite estere di questi distretti pari a circa il 15%. Ma il ruolo del mercato russo ha superato di slancio quello degli Stati Uniti anche in altri importanti distretti produttivi italiani, come, ad esempio, la calzetteria di Castel Goffredo (10,5% il peso della Russia vs. 1,5% degli Stati Uniti), il mobile del Livenza e Quartiere del Piave (9% vs. 6%), la calzatura del Brenta (7,8% vs. 6,6%), la Maglieria e l’abbigliamento di Carpi (5,8% vs. 4,3%).
Questo trend delle nostre esportazioni spiega molto bene perché il nostro governo si adoperi tanto per scongiurare l’avvento di “una nuova guerra fredda”. Non ci sogneremmo mai di morire per Tbilisi, non c’è pericolo. Perfino le nostre esportazioni di vino in Russia che fino a due anni fa non esistevano, stanno crescendo del 30% l’anno da quando Putin ha messo l’embargo sul vino georgiano.