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ostanza ha 31 anni, una laurea a pieni voti in lingue straniere, una esperienza di lavoro triennale e qualificata all’estero ma non riesce a trovare impiego nell’area più densamente industrializzata d’Europa.
Da tre mesi si muove di qui e di là, tra la metropoli e le sue propaggini inseguendo segnalazioni e annunci. Incomincia a essere stanca. Anche la ricerca di un lavoro è un lavoro, se fatto a tempo pieno e con metodo: «Mi alzo ogni mattina alle 8, faccio colazione, mi preparo, do un’occhiata alle ultime offerte su internet ed esco di casa. Di solito rientro alle 18». La caccia, però, è stata finora infruttuosa. Le agenzie interinali sembrano un disco rotto: «Mi dicono che il momento economico è difficile e che hanno poche richieste di lavoro. Nessuna adatta al mio profilo. Profilo, sia chiaro, che definiscono loro con le loro classificazioni, non io. Va bene, mi piacerebbe poter continuare a insegnare come facevo all’estero o occuparmi di traduzioni o lavorare in ambiti che curino le relazioni con uffici stranieri ma non è una fissa, anzi».
Interessante l’aspetto del profilo che “definiscono loro con le loro classificazioni”: se sei laureato, per di più con pregresse esperienze di lavoro, l’intermediario interinale automaticamente esclude il candidato da tutta una gamma di possibilità lavorative: «”Signorina no, non possiamo proporla come cassiera o commessa, lei è troppo qualificata e il nostro sistema non ci permette di inserirla in certe offerte, inoltre anche il nostro cliente non accetterebbe un profilo così up”. Questo è, parola più, parola meno, quello che mi rispondono. Non va meglio in scuole linguistiche e agenzie di traduzione: il curriculum interessa ma gli organici sono al completo. I miei amici all’estero, che mi incoraggiavano dicendomi che, con il mio background, non avrei avuto difficoltà ad inserirmi, ora sono basiti. Io, le difficoltà le avevo invece preventivate ma non il dover fare i conti con il passato che ti marchia. Molti selezionatori mi hanno detto chiaramente “ma perché è tornata in Italia?”».
Una soluzione, però, potrebbe esserci: una specie di piano B suggerito da un’amica che si è trovata nella stessa situazione. Un piano B per certi versi surreale, che se ne frega delle leggi dell’economia ma che forse interpreta meglio le esigenze del mercato con la forza del paradosso: dequalificare il proprio curriculum. Uno ha studiato anni per arrivare a certi livelli e offrirsi al meglio delle proprie possibilità lavorative? E ora bluffa, inganna, scrive il falso: «Mi hanno aperto gli occhi: “se punti a certi impieghi, presenti il tuo curriculum vero. Altrimenti te ne costruisci un altro fittizio per lavori di ripiego”. È triste ma mi sa che lo farò anche io. Ma non so come coprire un buco di tre anni di lavoro in Francia. Che ci scrivo sul curriculum? Che ci sono rimasta a fare lì per un periodo così lungo? Mi serve una scusa che sia credibile e non mi viene».
Una nemesi dei tempi moderni: dall’orgoglio del “chi sono” alla maschera del “chi potrei essere”.