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Lo stato di salute delle aziende nella provincia più "internazionale" d'Italia?
Discreto. Alta specializzazione e grande apertura all'estero per ora tengono in piedi MB

La provincia più "internazionale" d’Italia. Un indice di apertura all’estero del 138%: a Milano è dell’89%, in Lombardia del 77% mentre in Italia la media è del 52%. Le cifre, provenienti da un rapporto relativo al 2008 stilato da Università Cattolica del Sacro Cuore per conto della Camera di Commercio di Monza, tracciano il quadro della situazione per come è percepita ora. Ma otto artigiani su dieci risentono della crisi (fonte: Confartigianato).

L’apertura all’estero è stata il volano che ha impedito alle due grandi multinazionali del territorio di arretrare. La Candy di Brugherio ha chiuso l’anno passato col bilancio in attivo, soprattutto grazie alle esportazioni in Cina e nei paese del Golfo. Anche la Sol, multinazionale dell’ossigeno e dei gas tecnici con sede in via Borgazzi, è riuscita a chiudere i conti in attivo grazie a una politica di apertura al mercato straniero intrapresa già da diversi anni.

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Immagine di adbusters.org

L’Europa risulta essere ancora il mercato di riferimento principale per il settore manifatturiero, particolarmente forte in MB, sia per le esportazioni che per le importazioni - per tutta la Regione (la quasi totalità dei valori si attesta intorno al 70%). Tuttavia, rispetto alla Lombardia e all’Italia, la provincia di Monza e Brianza registra un’incidenza inferiore di esportazioni europee – pur rilevanti in valore assoluto – a causa della maggiore rilevanza di America ed Asia; molto significativo è inoltre l’interscambio con la Cina sul totale dell’Asia: 17% per la Brianza contro il 14% per la Lombardia e, addirittura, 4% per l’Italia.

Sul fronte delle importazioni la provincia di Milano pesa poco meno di metà del totale regionale (e contribuisce al totale nazionale per il 18%), mentre la provincia di Monza e Brianza pesa per circa il 18% del totale regionale (e contribuisce al totale nazionale per il 6,58%).

«La crisi incide sulle esportazioni, in tutti i settori e su tutti i territori – osserva Fabio Caliandro, responsabile di Promos Monza, agenzia speciale della Camera di Commercio che si occupa dell’attività internazionale delle piccole e medie imprese della provincia – ma la nostra è la sesta provincia italiana per volume di export. Si tratta in questo caso di esportazioni fisiche, materiali, non di servizi. Probabilmente le caratteristiche dell’economia locale potranno essere la base per una successiva più rapida ripresa. Settori di eccellenza che godono di affermazione all’estero come quello del legno, dell’arredo e della meccanica (macchinari utensili e componentistica di precisione) sono presenti qui più che altrove».

Le ragioni di un tasso così alto di scambi sono da ricercare nella specializzazione, che costringe a cercare mercati esteri per le merci che quello interno non riesce ad assorbire. Per molte aziende iperspecializzate, il commercio con l’estero è una necessità prima che una velleità.

«Molte aziende si sono fortemente concentrate su un determinato segmento, focalizzandosi su prodotti specifici e riuscendo a ritagliarsi una quota di mercato da leader in molti settori. In mercati di nicchia si sono ritagliati una posizione di leadership addirittura mondiale. È in atto uno sforzo di aggregazione, che come agenzia stiamo compiendo in collaborazione con le associazioni di categoria. Nel corso della nostra attività abbiamo verificato che una buona strategia per vendere all’estero è quella di aggregare l’offerta delle aziende nei vari settori, per presentare un’offerta più ampia di prodotti. Ad esempio, presentare a uno studio di architettura che ha molti palazzi da arredare una gamma completa di produttori che soddisfino le esigenza di arredo dal mobile per il soggiorno al lampadario di pregio rende molto di più».

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Immagine di adbusters.org

La crisi però rallenta tutti, anche le aziende e i settori che sul lungo periodo hanno un trend di crescita positivo. «Ad essere privilegiata è la flessibilità. Avere pochi grossi clienti è un rischio: perdendone uno il danno è rilevante. Averne molti invece permette di incassare il colpo, magari soffrendo, ma di ripartire e rimettersi in marcia da subito. Chi è più strutturato può essere addirittura avvantaggiato da un periodo di crisi: ad esempio può andare a investire a prezzi minori in territori dove prima stava già andando bene. Certo, per ragionare così è necessaria una forte disponibilità economica di base». Il rovescio della medaglia? Nei piani di investimento all’estero può essere compresa una delocalizzazione della produzione. «Quello della delocalizzazione può essere un’esigenza produttiva o una tragedia, dipende da che punto di vista la si guarda – dichiara in merito Caliandro - MB è molto evoluta per quanto riguarda la qualità di prodotto. La Brianza quindi resiste meglio di altri territori per questa qualità intrinseca e perché qui c’è un un know how difficile da avere altrove. Le attività manifatturiere ne sono un esempio».

Ma esiste un brand MB? Un marchio, cioè che sia riconosciuto e riconoscibile? La risposta è negativa. «La Brianza come marchio ha appeal solo in Italia. All’estero il brand si colloca sotto la scorta del Made in Italy, legandosi a qualcosa di cui i mercati hanno già la chiara percezione. In certi mercati, come ad esempio il Giappone, la Corea e il Sud Est asiatico, è molto forte il marchio Milano. Si tratta in un certo senso di una Milano allargata, territorio di cui la Brianza fa parte. Dire Milano, in quest’ottica, non è diverso da dire Brianza».

Dal punto di vista della capacità di attrarre investimenti dall’estero, la Brianza è la seconda provincia in Lombardia: circa il 2% delle imprese ha una partecipazione rilevante dall’estero; tale valore è preceduto da quello di Milano (3,37%) e seguito da quello di Lecco, che si posiziona terza. Si tratta perlopiù di società di capitali, con un fatturato di almeno 200.000 euro nell’ultimo anno e che hanno una sede in Italia. Questo potrebbe tradursi in maggiori investimenti futuri. «Ci sono le potenzialità perché molti gruppi vengano qui a breve, scegliendo ad esempio il distretto hi-tech del vimercatese come localizzazione idonea per le loro attività nel comparto dell’elettronica grazie alla disponibilità di strutture, alle università di livello che consentono una specializzazione elevata e al personale preparato che si trova. Lo stesso discorso potrebbe valere per il settore chimico e per quello della meccanica di precisione. Ci sono poi i gruppi commerciali esteri che aprono qui i loro punti vendita. Potrebbero decidere di qui a poco di aprire qui anche i loro centri direzionali grazie alla vicinanza con Milano».

A far da controcanto all’ottimismo della provincia più internazionale d’Italia c’è però la vicenda di Malpensa. Se l’aeroporto varesino perdesse lo status di “hub”, cioè punto di snodo del traffico intercontinentale, le cifre indicano una perdita a livello regionale che nel 2009 è stimata in 770 milioni di euro di indotto turistico e circa 350 milioni di euro in indotto trasporti, a cui andrebbero poi sommati circa 830 milioni di Euro in spese per i mancati collegamenti internazionali diretti. Una perdita complessiva di quasi due miliardi di Euro tra indotto turistico, spostamenti e settore trasporti, di cui 128 nella sola Brianza. Inoltre, da oggi al 2015 andrebbero persi circa 56.000 posti di lavoro, quattromila dei quali in Brianza (fonte: Camera di Commercio MB), senza contare le difficoltà per il traffico merci. A pagare il prezzo sarebbero soprattutto le imprese basate sull’export che, private di quello che finora è stato il punto di contatto con i mercati dell’estremo oriente, quelli asiatici e quello americano, si rivolgeranno ad altri aeroporti, come ad esempio Francoforte, per far volare merci e prodotti.

Le conseguenze a lungo termine, in questo caso, sono tutte da valutare. Le aspettative riposte nell’expo 2015, alte per tutti, che si tratti di Comune di Milano, della Provincia (anche di quella di Monza) o della Regione nel suo complesso, ne uscirebbero inevitabilmente ridimensionate. A quel punto potrebbe essere necessario inquadrare il territorio in un’ottica diversa da quella che si è perseguita finora, meno global e più “casereccia”.

Gli autori di Vorrei
Antonio Piemontese
Antonio Piemontese