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Intervista ad Eliana Schiadà della CGIL «Nelle fabbriche non gliene frega niente del primo maggio.
Non riusciamo più a spiegare il senso di queste cose»

 

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liana Schiadà, funzionario della CGIL, ci parla del suo lavoro e della crisi con la chiarezza e la semplicità di chi sa quello che fa e lo fa con passione. La prima cosa che ci dice è che il suo stipendio lo pagano i lavoratori e che lei questo cerca di ricordarselo sempre. Eliana è una persona pratica. Non vuole essere intervistata in quanto donna, ma in quanto sindacalista. A lei non interessa far parte di quella che definisce la quota panda, perché non ritiene che le donne siano animali in estinzione, cui dedicare ogni tot un segmento di attenzione. Sono d’accordo con lei.

 

Cosa fai esattamente?
Sindacalista della Filtea e Silcem, che si occupano di tessile, chimico-farmaceutico e gomma-plastica. Seguo la zona de vimercatese per il tessile e il caratese per il resto. Giro tutto il giorno per le fabbriche.

Ti occupi di lavoratori, lavoratrici o di entrambi?
Di entrambi, anche se più del settanta per cento della manodopera impiegata nel tessile è femminile.

Quante ore lavori?
Tutto il giorno anche di più. Da quando c’è la crisi paradossalmente noi sindacalisti abbiamo molto più lavoro.

Com’è la tua vita da sindacalista donna? In quante siete alla CGIL?
Uguale a quella dei sindacalisti uomini, sebbene il carico di famiglia nel loro caso sia gestito dalle mogli. Le donne impiegate nella CGIL Brianza sono circa il 40 per cento, anche se le fasce di dirigenza femminile sono ancora pochissime. Così come pochissime in Brianza sono le donne tra gli imprenditori e i manager.

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Come sei arrivata qui? Perché hai deciso di fare questo mestiere?
Lavoravo in fabbrica e riparavo telefonini. Sono diventata delegata sindacale perché il mio titolare mi ha pestato i calli. L’ho fatto per molti anni e nel 2004 la CGIL mi ha proposto di uscire. La CGIL negli scorsi anni ha investito molto sugli under 35. Premetto che non sono una persona coraggiosa, anche se mi arrabbio spessissimo, con gli operai, con gli imprenditori, con gli altri sindacalisti. Non sono coraggiosa, ma nel momento in cui mi pestano i calli divento un leone. Mi piace il mio lavoro perché mi sembra di fare la mia parte.

Si guadagna tanto?
Guadagno come un normale impiegato. Nessuno stipendio da manager.

Il tessile in Brianza ha problemi seri dal 2002.

Sono cambiate le cose ultimamente?
Va sempre peggio da giugno 2008 a questa parte. Il tessile in Brianza ha problemi seri dal 2002. La crisi finanziaria si è aggiunta. Il farmaceutico ha iniziato adesso ad andare male. Il problema è che per molti gli ammortizzatori, come cassa integrazione e contratto di solidarietà, sono già finiti. Qui o ci inventiamo qualcosa di diverso o molte fabbriche chiudono. Stiamo pensando alle casse integrazioni in deroga. Spero che la crisi finisca oppure il lavoro è finito.

Davvero?
Il peggioramento è fortissimo. In media firmo dalle due alle tre casse integrazioni al giorno. Prima erano due a settimana. In più è aumentato l’utilizzo. Prima era in media un giorno a settimana, ora sono tre. Non c’è fabbrica nel tessile che non l’abbia chiesta. C’erano fabbriche che non l’avevano mai chiesta. C’è una fabbrica a Oreno che fino a Natale aveva come problema il troppo lavoro e a marzo ha chiesto la cassa integrazione.

È solo la crisi?
La crisi è il problema principale, a cui si aggiunge l’endemica chiusura degli imprenditori brianzoli verso l’esterno. Sono gelosi del loro orto e non sanno fare sistema. Questo ha aiutato ad affossarli.

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Nel tessile rischiano di perdere il lavoro in quattromila in Brianza.

I problemi dipendono anche dal fatto che molti hanno preferito l’estero, dove il lavoro costa meno?
Moltissimi sono andati all’estero negli anni scorsi e, anche se in misura minore, ancora ci vanno. Ma non è sempre un vantaggio. Ieri ero in un’azienda che chiuderà entro due anni. Ci lavorano 186 persone, di cui 127 donne tra i 40 e i 50 anni. Questa azienda comprava il filato per fare i suoi tessuti in Cina. Risultato: i suoi clienti hanno iniziato a comprare i tessuti direttamente in Cina. Perché non dovrebbero? Intanto l’imprenditore fallisce e le operaie non si sa se troveranno un altro lavoro.

Quante persone rischiano di perdere il lavoro da noi?
Circa un migliaio per quanto riguarda la mia zona, quattromila in Brianza. Moltissime sono donne. E non considero il precariato, che sta peggio perché non dispone di ammortizzatori sociali.

Uno o due li sopporti, ma quando vedi decine di persone disperate alla fine non ne puoi più.

Ti sembra che le cose cambino più in fretta di ciò a cui eri abituata?
In frettissima, direi. Vado in giro per le fabbriche e il più delle volte non mi sento tanto una sindacalista. Faccio un po’ di tutto, dalla psicologa al prete al notaio. Sto diventando un po’ cinica. Sono stufa di sentire gente che piagnucola. Uno o due li sopporti, ma quando vedi decine di persone disperate alla fine non ne puoi più. La situazione però è questa. Non sai quante chiamate ricevo dagli assistenti sociali.

Perché?
Mi chiedono se le situazioni descritte dalle persone sono vere, se davvero questi non hanno i soldi, se è vero che non percepiscono lo stipendio. C’è gente che non riesce più a pagare il mutuo, che non ce la fa a sostenere la retta dell’asilo dei figli. Un lavoratore in cassa integrazione a zero ore.

E tu cosa rispondi?
Che sì, la situazione è quella.

Cosa prevedi per i prossimi mesi?
Un peggioramento.

Ci sono dei segnali di uscita dalla crisi?
Nessuno, per ora. Sappiamo che prima o poi finirà. Bisogna tener duro.

Come evolve la cassa integrazione in Brianza? C’è un aumento come nel resto d’Italia?
È aumentata del 400 per cento, secondo la media nazionale. Non può che essere così. Le fabbriche sono qui e noi siamo lo specchio della crisi. Un lavoratore a zero ore prende 750 euro e in Brianza è abbastanza frequente trovare marito e moglie che lavorano nella stessa fabbrica. Come fai a mantenere una famiglia con 1500 euro al mese?

E chi non può usufruire della cassa cosa fa?
È dura. Prima c’era il lavoro nero, adesso non c’è più nemmeno quello.

Si dice che le donne perdono meno il lavoro degli uomini, per adesso, ma che nel lungo periodo saranno loro a pagare di più il prezzo della crisi. Sei d’accordo? Saranno le donne, come sempre. Non c’è niente di nuovo.

Aiuti solo quelli iscritti alla CGIL?
Noi siamo il sindacato dei lavoratori, iscritti o non iscritti. Ultimamente gli iscritti sono aumentati perché chi ha bisogno di aiuto lo fa. Iscriversi costa l’uno per cento del salario: se sei cassaintegrato costa poco.

Sfido i nostri a fare il lavoro che fanno loro. Ho fabbriche dove si tingono i tessuti o si fabbricano materie plastiche, dove respiri cose schifose, nelle quali lavorano quasi solo extracomunitari.

È vero che gli extracomunitari ci rubano il lavoro? Che se la passano meglio di noi?
Sfido i nostri a fare il lavoro che fanno loro. Ho fabbriche dove si tingono i tessuti o si fabbricano materie plastiche, dove respiri cose schifose, nelle quali lavorano quasi solo extracomunitari. Abbiamo un ufficio migranti. È una processione. Se perdi il lavoro vai a casa.
Ma non è che le donne se la passano meglio. Nelle tessiture, dove sono impiegate quasi solo donne, il lavoro è pesante. Ci sono nastrifici dove si lavorano fibre miste in atmosfera modificata. Si lavora con il 100 per cento di umidità. Uguale nelle ditte di confezioni, dove si stira.

 

C’è qualcosa che di recente ti ha stupito e ti ha fatto pensare che le cose vanno più male del previsto?
Le fabbriche con marchi e nomi che mai avrei pensato avrebbero avuto problemi. Fino a Natale negrieri per evadere le molte commesse e oggi devono lasciare la gente a casa. C’è gente che da gennaio non ha più avuto un ordine. C’è il calo di ordini, i clienti non pagano, le banche non finanziano il credito. Devi pagare gli operai e le materie prime. Come si fa? Un serio imprenditore brianzolo, da decenni sul mercato mi ha detto: “la mia banca chiede maggiori garanzie.” C’è gente che ipoteca il capannone, che mette il proprio patrimonio per ricapitalizzare. Ma non tutti ce la fanno. Alla fine ci troveremo anche gli imprenditori da ripiazzare sul mercato.

C’è qualcuno che ne approfitta per licenziare senza motivo? Per allungare l’orario di lavoro?
C’è qualcuno che approfitta per licenziare e non vuole traghettare fino alla fine della crisi. Il lavoro del sindacalista è evitare l’arbitrio. Non bisogna far fuori quelli che hai già spremuto e non sono più freschi. Quelli che hanno il tunnel carpale, la calcificazione della spalla per movimenti ripetitivi, che sono le malattie degli operai del tessile. Prima l’hai scassato e poi con la scusa della crisi lo mandi via: non deve funzionare così. Il problema dell’orario non c’è più, perché non c’è il lavoro e quindi non c’è motivo di rimanere in fabbrica oltre l’orario. Il problema è inverso, cioè restarci durante l’orario.

Dicci qualcosa di positivo. C’è qualche azienda che funziona?
Qualcuna. Una che produce polistirolo espanso per imballaggi, vaschette dei gelati, interno dei caschi, tavole da surf. C’è una fabbrica che ha fatto la cassa integrazione e ora fa tessuti per l’edilizia, cioè reti resinate da mettere sotto gli intonaci. Un produttore di scarpe in pelle tra aprendo, tra mille difficoltà, dei negozi. Lui ha coraggio. C’è gente tenace che cerca in ogni modo di tenere in piedi la fabbrica del papà. La voglia di fare brianzola c’è ancora, da parte di tutti.

Qualche azienda che fa innovazione?
Qualche spirito brillante c’è, qualcuno fa ricerca e innovazione, ma non sono cose che si improvvisano. Per fare innovazione ci vuole tempo. Investire potrebbe essere una strada, ma per assurdo chi ha investito ora perde. A parte casi sporadici. Un’azienda di Carate ha inventato una tegola fotovoltaica. La vendono in tutto il mondo e qualcosa guadagnano, ma non è la loro produzione principale, che invece non vende. C’è uno che sta aprendo a Giussano. Si è messo insieme ad altri imprenditori e ha costruito un bell’impianto di cogenerazione (fatto per recuperare il calore e riutilizzarlo) che serve più fabbriche. È scintillante, nuovo, e vederlo alimenta la speranza.

Qualcuno che assume?
Assunzioni no, nessuno. C’erano fabbriche che avevano appeso fuori fisso il cartello “cercasi operai” e ora l’hanno tolto.

Puoi dirci qualcosa di positivo circa la vita dei lavoratori?
C’è più solidarietà, perché hanno capito che nessuno è inamovibile. Per esempio i contratti di solidarietà: prima era difficile convincere le donne, mentre ora hanno capito che è meglio lavorare meno e lavorare tutte. Per esempio ora non è più un problema decidere l’orario estivo e vengono concessi orari più comodi senza problemi. Nessuno è più obbligato a fare orari da cinesi. La mattina presto, quando vado al lavoro, non c’è in giro la gente di prima. Le casse integrate alla mattina vanno al mercato. Decidete voi se questo è positivo.

Dicono che la crisi fa venire le idee. Che ne pensi?
La crisi c’è e ce la dobbiamo gestire. Ma dovrà finire e ci dovremo per forza far venire le idee.

Cosa significa il primo maggio quest’anno?
Nelle fabbriche non gliene frega niente del primo maggio. Non riusciamo più a spiegare il senso di queste cose perché abbiamo un’emergenza da gestire.

Come vedi il futuro?
Mi sforzo di essere ottimista. Mi piacciono le scarpe. Quando sono depressa o vedo che le cose non stanno andando bene vado a comprare, o quantomeno a guardare, i negozi di scarpe. Diciamo che ultimamente ne ho viste parecchie.

Continuerai a fare questo mestiere?
Sì, sono contenta. Non riuscirei a fare altro. Però, se le fabbriche chiudono, perdiamo il lavoro anche noi, perché servono 900 iscritti per fare un nostro stipendio. E poi chi la prenderebbe a lavorare una ex sindacalista di 38 anni?

Gli autori di Vorrei
Clementina Coppini