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Quarta puntata della nostra indagine sulle grandi imprese internazionali che scelgono (o meno) il territorio di Monza per insediarsi. Intervista al Direttore Generale di ST Microelectronics.



Qual è la sua visione di medio termine per quanto riguarda l’insediamento di ST ad Agrate?
Prima di rispondere vorrei fornire  una chiave del nostro essere qui. Non tutti sanno che noi siamo nati nel  1958,  con la  nascita dei semiconduttori, come SGS, società voluta da Adriano Olivetti e Floriani.
Siamo nati e cresciuti qui sia come struttura  produttiva (che occupa oggi il 46% del personale), sia come centro di ricerca.  Le due cose sono strettamente legate e interdipendenti. Perché? Perché per produrre in Europa, in aree ad alti costi, occorre che sia elevato anche il valore aggiunto. E un alto valore aggiunto dipende dall’innovazione. La chiave della nostra presenza qui, ora e in futuro,  è l’innovazione frutto della ricerca  e la produzione relativa all’innovazione: Una presenza armonica di ricerca e produzione.

Ma perché proprio qui?
Perché la storia è importante, è un patrimonio. L’industria dei semiconduttori esige una rete di conoscenze, di relazioni con le università, con altre imprese, con centri di ricerca, un tessuto che si crea nel tempo, in un processo costosissimo.
In questo senso le radici, il sistema di relazioni che si stabiliscono in un territorio vengono a creare un asset importantissimo,  molto difficile e costoso da ricostruire altrove.
Noi l’abbiamo fatto, ed è un fattore differenziante per il futuro.
Tutto si può spostare. Ma queste cose radicate nel territorio costituiscono un patrimonio che verrebbe disperso. Noi abbiamo fatto la scelta di restare e crescere qui.

Delocalizzare solo per una questione di costi risponde a una visione limitata.

 

 

Quindi, teoricamente la globalizzazione consente di andare ovunque, ma il radicamento nel territorio costituisce ancora un fattore fondamentale.
Certo. Noi assistiamo a processi di delocalizzazione di attività produttive e anche di ricerca, motivati dai minori costi ma anche da altri fattori. Ad esempio noi siamo in India dove non solo i costi sono bassi, ma ci sono anche competenze che qui ci sono meno. In altri mercati, come la Cina, dobbiamo esserci perché sarebbe impossibile fare  strategia “cinese” da qua, sarebbe una strategia occidentalizzante che lì non funzionerebbe. Delocalizzare solo per una questione di costi risponde a una visione limitata.
Specie nel nostro campo, per la costruzione dell’innovazione ci vogliono competenze specifiche che si costruiscono solo nel tempo.

Lei ritiene che in futuro le condizioni ambientali della Brianza, nel loro complesso, miglioreranno, resteranno le stesse o  peggioreranno per la sopravvivenza e lo sviluppo del vostro insediamento?
Affermato quanto sopra sui rapporti tra la nostra impresa e il territorio, è chiaro che il territorio deve porsi anch’esso in maniera  competitiva. Il primo obiettivo è quello di trattenere le imprese che già ci sono, ma il secondo è quello di attrarne di nuove.
Purtroppo questo territorio  ha perso un po’ di alta tecnologia, perché alcune imprese si sono defilate.
Attrarre vuol dire avere certe caratteristiche. Parlavamo prima della rete delle conoscenze. Ma un altro problema importantissimo è quello della rete di infrastrutture, di diversi tipi di infrastrutture, da quella viaria a quella delle telecomunicazioni. Speriamo che la nuova Provincia costituisca un nuovo e buon interlocutore per affrontare questo tema. Noi viviamo questo problema in una maniera piuttosto critica.
Una terza caratteristica è questa: se vuoi avere realtà eccellenti, devi attrarre persone eccellenti. E non solo quelle che ci sono già qui, ma altre che devi far venire da fuori per contribuire all’eccellenza dell’ambiente. Per attrarre queste persone è necessario offrirgli standard di qualità di vita elevati, altrimenti le persone vanno da altre parti.

Se vuoi avere realtà eccellenti, devi attrarre persone eccellenti, per attrarle è necessario offrire loro standard di qualità di vita elevati

E Lei pensa che la Brianza offra questi standard elevati?
Facciamo riferimento alla Brianza intesa come territorio esteso, con la sua vicinanza a Milano. Torno per un momento al problema delle conoscenze. Negli ultimi anni si è perso qualcosa. La  Fondazione del Distretto tecnologico del Nord est milanese, a cui noi partecipiamo, ha appunto come obiettivo di rilanciare il tessuto di aziende ad alta tecnologia attraendone di nuove. Riteniamo che sia possibile ricreare una situazione soddisfacente, dato che  essa  è  ancora relativamente buona. Ma dal punto di vista delle infrastrutture stiamo male, e da tutti i punti di vista: vale per l’azienda come entità operativa, ma vale soprattutto per  le persone che abitano e che lavorano nell’azienda. Noi per supplire abbiamo costituito una rete  di trasporti nostra, che collega l’azienda con le metropolitane e altri mezzi pubblici, Va bene, rientra nel nostro impegno per la responsabilità sociale,.evitiamo ai nostri collaboratori  di usare l’automobile con le conseguenze note, ma non dovrebbe essere compito nostro.
Quanto alla qualità della vita (di cui peraltro le infrastrutture sono un fattore) anche qui c’è molto da lavorare. La cartina di tornasole è che noi, che siamo una multinazionale, facciamo fatica a far venire colleghi provenienti da altri nostri insediamenti. Si metta nei panni di una persona che viene dalla Francia o da altre parti: solo per la interlocuzione con gli uffici, dai certificati di residenza al contratto per la luce, è tutto piuttosto complicato.
Oggettivamente, alla voce “qualità della vita” non ci metterei un segno “più”.
Se vuoi attrarre aziende nuove, devi attrarre persone nuove. Lo vediamo confrontandoci con altre sedi ST nel mondo.

Dal punto di vista delle infrastrutture stiamo male: vale per l’azienda come entità operativa, ma vale soprattutto per  le persone che abitano e che lavorano nell’azienda

Altre sedi ST. Può farmi degli esempi?
Non parliamo ovviamente di Singapore, ma la Francia è vicina. Ora, chi vive e lavora a Grenoble piuttosto che ad Aix en Provence dove abbiamo nostre sedi, vive un’altra realtà in fatto di interlocuzione con il territorio. Una buona parte dei nostri colleghi di Grenoble va a lavorare in bicicletta, perché Grenoble ha una rete di piste ciclabili invidiabile.

C’è un aspetto su cui ho scarsa competenza, la “banda larga”. Ho letto che in Finlandia, dove solo il 5% della popolazione non ne usufruisce, si è deciso che tutti debbono averla, come la luce e l’acqua. Pochi giorni prima alla nostra TV  qualcuno vantava il fatto che prossimamente un terzo degli italiani ne potrà disporre.  Qual è la situazione della Brianza da questo punto di vista?
Noi abbiamo una rete propria. Ma in un’ottica territoriale il problema esiste. Il fatto che la connessione venga considerata  un diritto del cittadino è un sintomo del fatto che ormai lo qualità della vita dipende anche da come si è connessi con l’esterno. Una connettività scarsa è un fattore di scarsa competititivtà delle imprese e di esclusione del cittadino  da un parte del mondo civile.  Da questo punto di vista, il nostro territorio vede una situazione a macchie di leopardo, e non è molto migliore di altre aree del Paese.. Di fatto la connettività in Brianza  è di qualità media, e in alcuni casi medio-bassa. Uno degli obbiettivi del Distretto è l'Obbiettivo 100 Megabit, cioè portare cento megabit distribuiti sul territorio, alle aziende, alle istituzioni e poi ai cittadini. Anche qui, dunque, c’è molto da lavorare.

 

 

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Il vero problema non sta nel fare strade più larghe, ma nel togliere le auto dalle strade, privilegiando il trasporto su rotaia, meno impattante sull’ambiente

Più in generale, quali cambiamenti nel territorio sono più importanti o addirittura decisivi per la vostra permanenza e il vostro sviluppo?
Un argomento che non abbiamo toccato è la qualità dell’ambiente, a cui noi siamo particolarmente sensibili, anche come attori. E’ un tema per il quale la sensibilità dei cittadini è sempre più elevata Avendo più di quattromila persone che lavorano da noi, questo è un tema che ci riguarda da vicino.  Le istituzioni dovrebbero dedicare estrema attenzione a questo tema.
Tornando ai trasporti, nel breve si dovrebbe certo  migliorare la rete viaria. Ma il vero problema non sta nel fare strade più larghe, ma nel togliere le auto dalle strade, privilegiando il trasporto su rotaia, meno impattante sull’ambiente. Basta girare un po’ per  città o territori importanti in Europa, dove metropolitane e reti   ferroviarie sono la regola, per capire in che direzione occorre andare. E’ quello che abbiamo detto al “Tavolo della sostenibilità” a cui siamo stati invitati dalla Regione. La quale sta facendo un ottimo lavoro, importante e ben articolato, con riferimento all’Obbiettivo 20-20-20 (% di energia da fonti rinnovabili, 20% di risparmio energetico e 20% di riduzione delle emissioni di Co2; n.d.r.) senza aspettare le direttive  dall’alto. Questa è qualità della vita.

Olivetti diceva che la produttività delle persone dipende molto dalla qualità dell’ambiente.
Certamente. Una persona che deve stare in macchina per ore, oltre a compromettere la propria serenità, sottrae tempo da dedicare alla propria famiglia.
Prenda Monza, secondo me  città bellissima, con un Parco che altri territori invidierebbero. Ma andarci e muoversi al suo interno costituisce un problema. Tutto questo è qualità della vita.

Essere ecocompatibili è un investimento con un buon ritorno. Questo è un concetto che dovrebbe entrare nella mente della gente e delle imprese affinché ci sia un cambio di  direzione deciso

Al di là delle cose che le istituzioni locali dovrebbero fare per migliorare la qualità di lavoro e di vita degli abitanti, la vostra azienda ha dato o si propone di dare un contributo perché il contesto ambientale corrisponda meglio alle esigenze dell’impresa stessa e di coloro che ci lavorano?
Io sento dire in giro: l’ambiente è un costo: è vero il contrario: essere ecocompatibili è un investimento con un buon ritorno. Questo è un concetto che dovrebbe entrare nella mente della gente e delle imprese affinché ci sia un cambio di  direzione deciso. Per noi non si tratta di una dichiarazione di principio, ma di una realtà. Noi da quindici anni stiamo facendo investimenti sull’ambiente, che si articolano nel risparmio di energia, dell’utilizzo dell’acqua, e nel minore impiego di materie prime. Se io risparmio su tutte queste cose,  significa che riduco i miei costi, e che il mio impatto sull’ambiente si riduce. Come  risultato netto tra gli  investimenti in iniziative ecocompatibili e le conseguenti riduzioni di costi,  noi risparmiamo duecento milioni di dollari all’anno. L’anno scorso abbiamo risparmiato un milione di metri cubi di acqua, che non è poco. E’ un nostro obbiettivo quello di essere rispettosi dell’ambiente e di promuovere iniziative positive per le persone che lavorano con noi. E realizziamo ciò ottenendo anche un ritorno economico. Sostituendo come stiamo facendo dei motori elettrici, noi facciamo un investimento che recuperiamo in dodici - diciotto mesi. Che imprenditore è uno che non fa questi ragionamenti? Se si capisce questo, non si capisce perché ci siano tante resistenze a questo tipo di approccio.

Un paese che non investe sufficientemente in innovazione sta di fatto svendendo il proprio futuro. Il modello della creatività italiana che alla fine  supplisce a tutto non funziona più.

Cambiando discorso: secondo lei, il nostro Paese è in declino o no?
Che domanda! Allora: io temo di sì. E le dico perché. Solamente per un fattore, quello che ci interessa direttamente: quello dell’innovazione. Io penso che un paese che non investe sufficientemente in innovazione sta di fatto svendendo il proprio futuro. Non c’è alternativa tra l’essere forti o deboli senza innovazione: l’unica alternativa è quella di essere deboli. Il modello della creatività italiana che alla fine  supplisce a tutto non funziona più. Il mondo è diverso rispetto a prima: la piccola impresa non si confronta più con il suo vicino, si confronta con il mondo. Anche per la piccola impresa si pone quindi il problema dell’innovazione. Ora, questo Paese spende pochissimo in innovazione, l’1% rispetto al 3% dell’obiettivo di Lisbona e al  2,4% della media europea. I nostri colleghi francesi investono molto di più. Questo è un presupposto indubbio per il declino. Il nostro  è un paese di piccole imprese, e c’è da chiedersi come potranno fare innovazione. Come ha detto il Presidente delle Piccole imprese di Confindustria, nulla sarà più come prima. Sarà necessario un cambio di configurazione delle piccole e medie imprese, che dovranno mettersi insieme, aggregarsi. Però questi processi vanno agevolati, incentivati, e a me non sembra che questo succeda. Il mio timore è che alla fine della crisi ci troveremo con una Italia più debole. Come dicevo all’inizio, noi siamo in una zona ad alto costo, e possiamo quindi produrre solo con un elevato valore aggiunto (che comprende sia i salari che i profitti, N.d.r.). E questo deriva solo dall’innovazione, di qualsiasi tipo, non solo tecnologica. Senza generalizzare, guardando il panorama complessivo, ho l’impressione che questo non stia avvenendo.

E la Brianza come è coinvolta in questa situazione?
La Brianza è pesantemente coinvolta, senza avere molti strumenti per farvi fronte.  L’innovazione è frutto della promozione da parte del pubblico e dell’attuazione da parte del privato. In Italia (ma non solo) la leva economica dell’innovazione è fortemente accentrata. Le istituzioni locali, oltre a fare le cose sopra dette per il territorio, hanno però la possibilità e il compito di far pressione sul centro perché vengano  realizzate   politiche di sostegno all’innovazione.  Per la Brianza l’innovazione è stata sempre un elemento fondamentale, è stata sempre un campione dell’innovazione, ma adesso farla è diventato più complesso. C’è bisogno di configurazioni molto diverse, compresa la presenza delle istituzioni.

 

 

Chi è Pietro Palella

Pietro Palella è nato nel 1951 a Cremona, e si è laureato nel 1974 in Ingegneria Elettronica all'Università di Pavia.
Inizia la sua carriera nei laboratori di R&S dell'Italtel, e nel 1978 entra in SGS, una delle società da cui nascerà la STMicroelecronics.
Dopo aver ricoperto incarichi di primo piano in diverse imprese del settore delle telecomunicazioni, nel 2006 viene nominato Direttore Generale della STMicroelectronics S.r.l., consociata italiana del Gruppo STMicroelectronics. 

 

St Microelectronics in pillole

La STMicroelectronics è la quinta società di semiconduttori al mondo con ricavi netti di quasi 10 miliardi di dollari nel 2008.
E' nata nel 1987 dalla fusione  tra l'italiana SGS e la francese Thomson.
Il gruppo ha circa 50 mila dipendenti, 16 centri di ricerca e sviluppo, 13 siti produttivi e 78 uffci vendita in 36 paesi.
Le vendite della ST sono suddivise in modo equilibrato tra cinque importanti settori a crescita elevata nel mercato dei semiconduttori (in percentuale sul fatturato 2008, 36% comunicazioni, 17% elettronica di Consumo, 16% computer, 15% automobile, 17% industriale).
La ST è stata una delle prime società globali a riconoscere l'importanza della responsabilità nei confornti dell'ambiente, realizzando risultati eccezionali e sistematici nella riduzione dei consumi di energia, di acqua e di emissioni di CO2.
La sede italiana della consociata  STMicroelectronics  S.r.l. è ad Agrate. I dipendenti in Italia sono oltre 8 mila, di cui quasi 2 mila  ad Agrate e oltre 2 mila a Catania.

 

Le puntate dell'inchiesta

Introduzione - Monza e Brianza: cosa li rende attraenti?

1 - L'intervista ad Adriano De Maio (Distretto HiTech Brianza)

2 - L'intervista a Stefano Venturi (AD Cisco Italia)

3 - Augusto Abbarchi (SAP Italia)

4 - Pietro Palella (STMicroelectronics)

5 - Giuseppe Crippa (Brianza Plastica)