Il segretario della Camera di Commercio di Monza fa i conti: Monza perderebbe 71 milioni se il GP andasse a Roma. Ma secondo gli studi della Camera il valore complessivo è, in realtà, molto superiore.
La Camera di Commercio di Monza e Brianza entra nel dibattito sul possibile ‘scippo’ del Gran Premio a Monza in favore di Roma. E, in linea con la sua missione istituzionale, lo fa con dati e fatti. E con uno sguardo che va al di là dell’ambito territoriale per allargarsi al sistema paese. Ne parliamo con il Segretario Generale, Renato Mattioni.
Dottor Mattioni, cosa perde Monza se dovrà rinunciare al Gran Premio? “Cominciando con l’indotto turistico, parliamo di una perdita secca di 30 milioni di euro. Questo è il dato dell’edizione 2009. Oltre un terzo di questa cifra, il 34% pari a circa 10 milioni di euro, riguarda lo shopping, a cominciare dai gadget. Quindi ci sarebbe un impatto diretto sul commercio, oltre che sulla ristorazione che vedrebbe sfumare quasi 9 milioni, e la ricettività più di 8”.
E al di fuori del turismo? “Abbiamo calcolato che il volume d’affari mosso complessivamente dal Gran Premio nell’indotto sia di circa 71 milioni. Oltre al turismo, Il GP di Monza frutta alle imprese del settore motori della Brianza, di Milano e di Lecco 37 milioni e 300 mila euro, facendo anche indirettamente da volano alle imprese automobilistiche e motoristiche di questi territori il cui giro d’affari annuo è stimato in oltre 2,4 miliardi di euro. Ma nel GP di Monza sono coinvolti anche artigiani, allestitori, elettricisti, installatori, imprese di comunicazione e pubblicità del territorio che proprio grazie al GP incrementano il loro giro d’affari di 4,6 milioni di euro”.
Sono numeri importanti per una città come Monza. Ma nelle scorse settimane sono circolate cifre molto più corpose, basate proprio su vostri dati. Si parla di 3 miliardi di euro di valore per la presenza dell’Autodromo… “Si tratta di un tipo di calcolo differente. La cifra di 71 milioni si riferisce al giro d’affari diretto e indiretto generato da un Gran Premio. È una misura qualitativa calcolata dal nostro Ufficio Studi su dati di Registro Imprese, Regione Lombardia, Istat, Censis, Isnart, Autodromo di Monza e Provincia di Milano. La cifra di 3 miliardi di euro si riferisce, invece, al valore come ‘brand’ dell’abbinata Autodromo/Gp secondo una stima per così dire, anche ‘qualitativa’ condotto da DigiCamere per la CCIAA sulla base di informazioni di Autodromo, Registro Imprese, Istituto Tagliacarne, Rapporto sulla Internazionalizzazione della nuova Provincia di Monza e Brianza curato dall’Università Cattolica di Milano e che tiene conto di numerosi aspetti più immateriali e quindi meno facilmente calcolabili”.
E quindi come avete fatto a determinarli? “Abbiamo utilizzato una serie di parametri internazionalmente riconosciuti per valutazioni di questo tipo, come la conoscenza della manifestazione a livello internazionale, flussi turistici generali e legati all’evento, competitività economica del territorio in termini di imprese, indice di apertura commerciale, Pil…”
Alcuni hanno commentato che la cifra sembra sopravvalutata, soprattutto se la si confronta con il valore stimato dei brand commerciali: i due brand italiani di maggior valore sul mercato internazionale, Gucci e Tim, valgono rispettivamente 7,5 e 6,4 miliardi di dollari, quindi solo il doppio circa dell’Autodromo. Come è possibile? “Il brand Autodromo/Gp ha caratteristiche più istituzionali che commerciali e risponde a logiche differenti, di marketing più territoriale che aziendale. Il brand di un’azienda è un asset messo a bilancio, appartiene a quella società che, volendo, lo può anche cedere. Ha un valore monetizzabile legato più o meno direttamente a una serie di caratteristiche misurabili dell’azienda, ad esempio i copyright o i brevetti, il numero di filiali internazionali, piuttosto che il valore della produzione”.
“Nel caso di un brand legato a un territorio, come l’Autodromo e il Gran Premio, non è così – prosegue Mattioni. – Monza non può ‘vendere’ a nessuno il brand Autodromo ‘di Monza’ o GP ‘di Monza’: è legato alla città. Inoltre esistono una serie di fattori che si influenzano reciprocamente. Le faccio un esempio: come si fa a calcolare quanto valore aggiunto porti al GP di Monza la presenza di un marchio stranoto e di grande prestigio come Ferrari? E quanto viceversa il brand Ferrari acquisisca ulteriore valore grazie alla partecipazione a un GP storico come quello di Monza? Lei pensi che sulla base di queste cosniderazioni è stato calcolato che il brand ‘Made in Italy’ vale il 125% dello stesso Pil italiano! Con lo stesso metro, il valore del brand per Monza sarebbe addirittura superiore a quanto abbiamo stimato. Noi abbiamo fatto riferimento ai metodi dell’Anholt Brand Index, il più qualificato per i brand istituzionali e territoriali, e riteniamo che la nostra possa essere anche una stima prudente”.
Ma stando così le cose, allora non hanno ragione quelli che vogliono spostare il Gran Premio a Roma? Se il ‘brand’ Gran Premio riesce a valere almeno 3 miliardi di euro in una città come Monza, che non ha molte altre eccellenze note internazionalmente a questi livelli, figuriamoci quanto varrebbe a Roma che è una città già ultraconosciuta in tutto il mondo e di grande appeal turistico… “In realtà le cose non stanno esattamente così, e proprio per questo motivo. Vede, a Monza il Gran Premio aggiunge 3 miliardi di valore che altrimenti non ci sarebbe. Non è Monza che ha ‘attirato’ il Gran Premio per caratteristiche intrinseche (non è, per esempio, una capitale dell’auto come Torino o Detroit), ma è la scelta di farlo qui, nata da esigenze soprattutto pratiche come la disponibilità di spazio nel Parco, che ha qualificato Monza come ‘città dell’Autodromo’. Nel caso di Roma è l’opposto: Il GP si farebbe a Roma perché è Roma, il valore aggiunto del Gran Premio in se stesso è minore perché la città lo genererebbe comunque in gran parte con il proprio brand. Infatti, il comitato organizzatore lo ha stimato in circa un miliardo a fronte dei tre di Monza”.
Quindi per il sistema paese una perdita secca di due miliardi, se il Gran Premio andasse a Roma. “In astratto sì, ma ricordiamoci che stiamo parlando di valori virtuali, potenziali. Quando si parla di valore aggiunto per un territorio, come dicevo prima, non si può fare solo un calcolo finanziario, economico, specialmente a livello di stati nazionali. Per quanto riguarda l’aspetto strettamente turistico, però, i nostri studi ci suggeriscono che i guadagni sarebbero limitati. Se ci fossero due GP in Italia, la maggior parte dei turisti sportivi internazionali ne sceglierebbe probabilmente solo uno dei due, non si sobbarcherebbe due viaggi all’estero. E se anche scegliesse Roma, il turista sportivo è un viaggiatore tendenzialmente monotematico: per intenderci, non è che visto il Gran Premio se ne va a vedere i Musei Vaticani e cena in un ristorante di lusso in centro. È un turismo di panini, gadget, campeggio e soggiorni sempre più brevi. Che a Monza rappresenterebbe comunque una risorsa, mentre a Roma non inciderebbe su un’industria turistica di dimensioni già ragguardevoli.”
Quindi, mi sembra di capire, vi schierate per Monza ma senza chiudere la porta a Roma. “Occorre fare dei ragionamenti più vasti del semplice calcolo economico: certamente la possibilità di avere due gran premi nel nostro paese sarebbe un motivo di prestigio internazionale, che in qualche modo potrebbe a sua volta accrescere il valore del brand Italia. E l’esigenza di mantenere gli equilibri tra diverse aree del paese può avere un valore immateriale superiore a quello generato dall’evento. Noi in quanto realtà monzese siamo per l’Autodromo e siamo parte del suo comitato in sua difesa. Come Camera di Commercio, abbiamo un orizzonte più ampio che mira a collocare Monza e Brianza nel contesto nazionale e internazionale senza preclusioni”.