Una volta il "pezzo di carta" era uno strumento prezioso per accedere a lavori qualificati e di prestigio, oggi ha bisogno di essere completato con altro: master, stage e tirocini
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na caratteristica del mondo attuale è la crescente difficoltà per i neolaureati nel cercare e trovare un lavoro confacente alle proprie capacità, ma soprattutto al percorso di studi scelto. Una ragione di questo fenomeno può essere ravvisata in quella che Pierre Bourdieu chiamava "inflazione" dei titoli di studio: la laurea è diventata un titolo alla portata di un numero maggiore di persone rispetto al passato, quindi nel giudizio dei datori di lavoro è un elemento del curriculum vitae sempre meno prestigioso e distintivo. L'introduzione del famigerato "tre più due", cioè laurea triennale più laurea specialistica biennale, ha di certo favorito questo processo.
Non di rado, riguardo alla formazione universitaria italiana, ci si lamenta che è poco pratica, soprattutto in ambito umanistico. Piuttosto che mettere mano in maniera decisa e drastica alla didattica, le università italiane, pertanto, si sbizzarriscono nell'offrire a coloro che hanno conseguito le due lauree previste dall'ordinamento attuale un numero altissimo di corsi vari e disparati, oppure la possibilità di collaborare per un certo periodo con alcune aziende (le quali ringraziano, dato che si vedono arrivare risorse umane gratuite o quasi gratuite, pronte a svolgere una gran mole di lavoro al posto degli stipendiati). Le possibilità più praticate sono in sostanza di due tipi: master o tirocini.
I master, ovvero: "quello che avrebbero dovuto insegnarti in questi cinque anni"
Sono più di duemila i corsi denominati "Master" in Italia (2.300 secondo un dossier pubblicato nel 2007 dal "Sole 24 ore"). Si tratta di un'offerta formativa variegata, impossibile da giudicare in maniera univoca. Di certo, la scelta di intraprendere o no un corso di questo tipo va ponderata molto bene, visto che pochi mesi (al massimo un anno in alcuni casi) di lezioni hanno un costo equivalente a quello di due, forse anche tre anni di università, se non di più. Per quanto riguarda l'Università Statale di Milano, l'ateneo di maggiori dimensioni in Lombardia, i costi si aggirano da un minimo di 2.600 euro a massimi che variano da un'area didattica all'altra (6.500 euro per quella umanistica, 5.000 per quella sanitaria, 4.200 per quella scientifica e tecnologica, 7.500 per quella giuridica). Le borse di studio spesso coprono buona parte dei costi, ma raramente superano il numero di una o due, a fronte di un numero ben maggiore di interessati. Per l'Università Cattolica di Milano, un altro ateneo molto frequentato da giovani brianzoli, si va da minimi di 2.300 euro a massimi di 14.000. Al Politecnico di Milano, si va da 0 a 26.000.
I tirocini, ovvero: "tanto lavoro per nulla"
Secondo un altro articolo del 2007 de Il Sole 24 Ore, i master costituiscono una grande opportunità per i neolaureati, visto che offrono la possibilità di entrare davvero in contatto con le aziende, oltre a dare la possibilità di misurarsi con l'aspetto pratico del lavoro, dopo tanti anni di studio teorico. Opinione condivisa anche sui tirocini e stage da parte dell'associazione AlmaLaurea, nata nel 1994 su iniziativa dell'Osservatorio Statistico dell'Università di Bologna e gestita da un consorzio di atenei italiani con il sostegno del Ministero dell'Istruzione. Nel suo dossier sui laureati 2008, si legge: «Su valori elevati risultano all’opposto [rispetto agli scarsi valori della partecipazione al progetto Erasmus] le esperienze di tirocinio e stage riconosciuti dal corso di studi che entrano nel bagaglio formativo di 60 laureati su cento: 94 su cento neo-dottori in agraria, 86 e 85 laureati, rispettivamente, del gruppo psicologico ed insegnamento, ma anche 47 laureati su cento del gruppo economico-statistico e perfino 22 neo-dottori su cento nelle materie giuridiche. E’ uno degli aspetti positivi della riforma, quello di aver avvicinato gli studenti universitari al mondo del lavoro prima ancora della laurea».
La situazione dopo la laurea
I laureati di tutti i livelli nel 2008 sono stati 156.293, e che di questi il 37,8% sta partecipando o ha partecipato a corsi di formazione post-laurea; il 51,3% lavora; il 14,9% è disoccupato; 37,2% continua il lavoro che svolgeva prima della laurea; il 40,8% svolge un lavoro stabile (a tempo indeterminato). La media del guadagno mensile netto è di 1.178 euro (fonte: AlmaLaurea).
«E dopo la laurea? – si legge nella stessa ricerca – 43 laureati su cento intendono proseguire gli studi, il 13% con un dottorato di ricerca. Altri 8 su cento puntano a master universitari e poco meno a scuole di specializzazione. L’intenzione di proseguire riguarda l’81% dei laureati del gruppo psicologico, il 60% dei loro colleghi del gruppo giuridico, il 59% del gruppo geo-biologico, ma anche il 62% delle professioni sanitarie; all’opposto riguarda il 22% dei laureati in ingegneria e il 24% del gruppo economico-statistico».
Dal punto di vista occupazionale, i valori medi acquistano ben altro valore se divisi per genere, ovviamente a scapito delle donne: «Ad un anno dalla laurea gli uomini possono contare più delle colleghe su un lavoro stabile (le quote sono, rispettivamente, 46 e 35%); un differenziale, questo, imputabile soprattutto alla diversa presenza dei contratti a tempo indeterminato, che coinvolgono 38 uomini e 30 donne su cento (il lavoro autonomo, invece, riguarda l'8% dei primi ed il 5% delle seconde). Corrispondentemente, il lavoro atipico è di fatto connotata al femminile, estendendosi fino a 47 occupate su cento (rispetto al 35,5% dei colleghi). Il questo caso, il differenziale di genere è legato in particolar modo alla maggiore diffusione dei contratti di collaborazione e consulenza (23 e 16,5%, rispettivamente)».
Identica situazione per ciò che riguarda la retribuzione, in cui si assiste anche ad una disparità evidente tra aree disciplinari: «Differenze retributive si rilevano anche all'interno dei vari percorsi di studio (si tralasciano anche in tal caso i laureati delle professioni sanitarie): guadagni più elevati sono infatti associati ai laureati dei gruppi economico-statistico e ingegneria (circa 1.320 euro in entrambi i casi). Nettamente inferiori risultano invece le retribuzioni dei laureati dei gruppi psicologico e letterario (il guadagno mensile netto non supera mediamente i 900 euro mensili). Gli uomini guadagnano il 25% in più delle donne (1.312 euro contro 1.053); le differenze di genere sono confermate all'interno di ciascun gruppo, in particolare nel giuridico dove gli uomini guadagnano ben il 44% in più delle colleghe».
A quanto riferiscono i dati messi a disposizione da AlmaLaurea, dunque, la situazione lavorativa dei molti laureati italiani non sembra essere disastrosa come spesso ci viene proposto, anche se è decisamente problematica: le retribuzioni in molti ambiti disciplinari sono troppo basse per pensare che un giovane possa rendersi indipendente subito dopo la laurea, conseguita ad un'età media che si aggira sui 26 anni, ma con picchi di 35 e 40 in alcuni settori particolarmente ardui come medicina e architettura. Senza contare la scarsa efficacia nel mondo del lavoro, di lauree ad indirizzo umanistico, che contano infatti i neolaureati meno retribuiti. Oltretutto, la ricerca evidenzia una volta di più quanto sia difficile per le donne riuscire ad affermarsi alla pari dei compagni e colleghi uomini, a parità di preparazione e titolo di studio. Ne esce, forse, una sorta di fotografia dell'Italia attuale: volenterosa nell'impegno per diventare un paese avanzato, ma spesso poco capace di sostenere a dovere i suoi giovani, ai quali si preferisce offrire mille e più master e corsi vari, piuttosto che pochi ma ben indirizzati ed efficienti corsi di laurea.
Fonti dei dati citati: