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Scenari futuri in due instant-book: "L'economia giusta" del compianto Berselli e "Bancheri, politici e militari" di Cipolletta. Decrescita, modello tedesco, investimenti in cultura e una "riserva" mondiale per le emergenze

Immaginare possibili scenari non significa fare previsioni. Significa esercitarsi in una “conversazione strategica”, inventando possibili “storie del futuro”.

Due recenti “instant book” propongono alcune di queste storie su cui meditare: la prima è del compianto Edmondo Berselli, acuto commentatore politico ed economico, già direttore della rivista “Il Mulino”, che purtroppo ci ha lasciato prematuramente pochi mesi fa. La si trova nel suo libro “L’economia giusta”, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2010. L’altra è di Innocenzo Cipolletta, economista di lungo corso, presidente dell’Università di Trento, nel testo “Banchieri, politici e militari”, Laterza, Roma-Bari, 2010.

economia-giusta1Lo scenario che Berselli immagina è di un amaro declino dell’Occidente, e quindi del nostro Paese, con una speranza piuttosto tenue che l’atterraggio possa avvenire senza troppi sussulti, in una “decrescita serena”, per usare il termine inventato da Latouche.

Secondo lui, questo atterraggio potrà avvenire se si sarà capaci di ridurre le disuguaglianze ed assicurare a tutti, nel peggiore dei casi, un buon naufragio, che “è pur sempre meglio che annegare”.

Il modello economico che egli suggerisce è quello tedesco, cosiddetto “renano”: basato sulla cogestione tra le rappresentanze dei lavoratori e i proprietari. Alla fine, egli auspica un adeguamento alla realtà del duemila delle politiche che hanno caratterizzato nello scorso secolo le socialdemocrazie e il solidarismo democristiano.

Obiettivo fondamentale è la difesa dell’occupazione, considerata non tanto come “variabile indipendente”, ma come oggetto di una politica concordata di gestione attiva del lavoro nei processi di cambiamento. A questo scopo egli richiama un concetto espresso dal Presidente della Daimler Benz-Mercedes: “Voi forse non capite: il sistema industriale tedesco non licenzia nessuno”. Come dire che il sistema (non la Daimler da sola!) sarà in grado di realizzare le riconversioni e le innovazioni che consentiranno di non licenziare nessuno. Cosa possibile (questo non lo dice!) solo o soprattutto con un aumento delle proprie quote di mercato a scapito dei concorrenti.

Pur prospettando questo scenario, Berselli ne delinea in controluce un altro. Una prospettiva non di maggiore frugalità, ma di povertà (“Ecco la parola maledetta: povertà”). Uno scenario che egli non descrive esplicitamente perché non riesce o non vuole immaginarlo, dirompente, con la lacerazione della coesione sociale e con conseguenze imprevedibili.

Secondo Cipolletta, l’esperienza ci dice che le crisi ricorrenti hanno sempre avuto come causa una guerra. Le ingenti risorse richieste da un conflitto comportano per chi lo adotta come mezzo per la soluzione dei problemi incombenti a enormi debiti che generano a loro volta inesorabilmente crisi finanziarie internazionali.

L’autore ci presenta uno scenario, ironico ma verosimile, immaginando una intervista, fatta nel 2020, alla repubblicana Sarah Palin, divenuta Presidente degli Stati Uniti nel 2016 dopo due mandati di Obama, e in procinto di essere riconfermata.

Lo scenario si può riassumere con due slogan equipollenti: “America First “, come dottrina vincente lanciata dalla stessa Palin nel 2017, e “Ognuno a casa propria”, come traduzione a livello globale di “America First”. Per questo secondo slogan, Cipolletta riprende testualmente concetti espressi dal ministro Tremonti .

Nell’intervista, la Palin elenca tutti i risultati positivi derivanti dal fatto che ogni nazione si è dedicata alle proprie faccende, in una logica sostanzialmente autarchica. È vero che questo orientamento globale ha dato luogo a guerre locali, alla frammentazione di diversi stati in piccole nazioni (l’Italia in quattro), ma si è così evitata una guerra tra grandi schieramenti contrapposti, con relativo uso dell’arma atomica (nessuno la lancerebbe contro il proprio vicino di casa!).

Un importante risultato sarebbe anche quello di una scarsa crescita del PIL, ma non è quello che molti auspicano? L’Unione Europea sarebbe scomparsa, e le istituzioni internazionali ridotte al lumicino: l’ordine globale sarebbe assicurato da una sorta di mano invisibile smithiana, la cui caotica prospettiva dovrebbe mettere i brividi non meno della sperimentata globalizzazione incontrollata.

3020754Dopo questo scenario, l’autore ne prospetta uno da lui auspicato come “ipotesi di soluzione positiva”: l’apprendimento, dalle vicende passate, che le guerre non risolvono i problemi del mondo, e anzi li creano, e la messa in atto di diverse misure, tra cui due sembrano le principali: 1. Massicci investimenti in cultura e ricerca, per combattere l’ignoranza diffusa e gli squilibri culturali tra diversi paesi, e porre gli uomini in condizioni di far fronte alle trasformazioni in atto; e 2. L’adozione di uno “strumento di riserva internazionale” in sostituzione del dollaro, una sorta di euro globale non più manipolabile da un singolo stato a proprio comodo, leggi (per ora) gli Stati Uniti.

Nonostante il titolo “Banchieri, politici e militari”, il buon Cipolletta parla in realtà di guerre, debiti e crisi economiche. Così facendo spersonalizza e sterilizza il suo discorso, lasciando da parte i veri protagonisti con cui occorre fare i conti: il denaro e il potere.

Che dire, in conclusione? Che occorre prima di tutto chiedersi cosa il futuro ci riserva “di sicuro” (secondo l’acronimo TINA: There is No Alternative”). Di sicuro c’è che l’Occidente, che all’inizio del secolo scorso contava per il 33% della popolazione mondiale, al 2040 sarà ridotto al 12%. E che l’aumento del reddito porterà ai vertici mondiali nuove realtà come la Cina, l’India, il Brasile e forse qualcun altro.

A quel punto potranno essersi verificate due alternative: 1. Che, come nel passato, emerga un nuovo “impero” in sostituzione di quello instaurato dopo la seconda guerra mondiale dagli USA, probabilmente quello della Cina (per la prima volta la rivista Time ha posto al vertice del potere mondiale non il Presidente degli Stati Uniti, ma quello cinese); 2. Che la globalizzazione trasformi la piramide tradizionale del potere in una rete, nella quale “l’ombelico del mondo” (che difficilmente mancherà) sia controbilanciato da una pluralità di “nodi”, ciascuno e tutti insieme dotati di un peso adeguato a controbilanciare la concentrazione del potere in un solo stato.

Alla base di questa seconda possibilità sta la diffusione della cultura (come auspicato da Cipolletta) e un grande melting pot universale, che consenta all’Occidente (e all’Italia, e alla Brianza) di non diventare un “paese per vecchi”, una sorta di grande casa di riposo, con quel che segue.

Il che significa: porte aperte agli immigrati, massima cura da dedicare ai loro figli come ai nostri, da cui dipende il nostro futuro di italiani (e di brianzoli).

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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