Una delle testimonianze presentate il 20 dicembre 2010 durante la festa solidale organizzata dall'ISA Monza.
Anche quest'anno il Natale all'ISA Monza è stato solidale: docenti e studenti della scuola hanno voluto salutarsi il 20 dicembre ospitando le testimonianze di chi è alle prese con i patemi del lavoro, della vita; con chi ha difficoltà a entrare in modo dignitoso nelle professioni e chi ha difficoltà a restarci. Lavoratori dei call center, volontari della Caritas e insegnanti precari. Ringraziamo Sara Rossetti per averci concesso di pubblicare la sua testimonianza di professoressa "a singhiozzo".
S
ono Sara e sono un’insegnante. Per l’esattezza, un’insegnante precaria. Quest’aggettivo, precario, per quanto tu possa non pensarci, per quanto tu non voglia pensarlo, è lì e diventa una sorta di cognome, qualcosa che non ti sei scelto e che volente o nolente ti contraddistingue e definisce.In Italia noi precari della scuola siamo circa 182.035, all’incirca un quarto del personale della scuola a tempo indeterminato, che si aggira intorno agli 857.000.
Ma cerchiamo di capire cosa voglia dire essere precario… Da dizionario il sostantivo sta a indicare “persona con contratto a termine” e il bell’aggettivo connesso rimanda a qualcosa d’incerto e aleatorio, malsicuro, provvisorio e privo di garanzie. Ecco com’è definibile, per eccesso e neanche troppo, la vita di un insegnante precario e molto probabilmente anche quelle di tutti i precari che non lavorano nel mondo della scuola. Qui però vorrei concentrarmi sul mondo scolastico e su quel largo numero di docenti che se ne stanno a spasso in attesa di una chiamata.
Voglio parlarvi del mese di settembre: ecco, perché forse studenti e genitori non sanno cosa sia per noi tutti il mese di settembre. Il mese di settembre è una vera tragedia: se sei tra i più fortunati vai a quello che potremmo malamente definire il supermercato delle cattedre e dopo l’attesa di ore e ore e ore estenuanti puoi forse scegliere un posto vacante per tutto l’anno. Ma ripeto sei comunque tra i fortunati. E comunque se sei tra gli ultimi non hai molto da scegliere e ti resta un bello spezzone di poche ore dall’altra parte del mondo. Se invece quest’anno il provveditorato non ti chiama perché ci sono stati i tagli e di posti vacanti non ce sono altri, allora stai a casa. Perché magari sei il 320 in graduatoria e quest’anno si chiama fino al 317. E tu comunque lo scopri l’8, il 9 o il 10 di settembre. Poi la scuola inizia e tu non sai più quello che sei. O meglio, burocraticamente parlando sei un insegnante-sei precario- e ora sei disoccupato. In attesa di occupazione. E intanto la scuola inizia e le aule si riempiono di ragazzi e docenti di ritorno dalle vacanze. E tu attendi guardando il cellulare e chiedendoti chi sei. Vai a far la spesa e guardi il cellulare e stai a casa e pensi al telefono mentre due miliardi di persone intorno a te ti domandano in che scuola sei quest’anno, come stai e cosa stai facendo. E tu in qualche maniera rispondi e se sei in vena cerchi anche di spiegare a chi non lo sa com’è che funzionano certe dinamiche della scuola.
Se sei tra i più fortunati degli sfortunati ti capita che ti chiamino per una supplenza, una malattia, una maternità oppure un infortunio perché il docente in ruolo è caduto andando a scuola su una buccia di banana. A me è capitato. Lavori sei mesi, oppure tre mesi oppure un mese oppure due settimane. Ricominci tutto daccapo, dando il meglio di te e cercando di capire come funzionano le cose in quel nuovo istituto e chi sono gli studenti e che tipo di didattica vuoi portare avanti e cosa puoi insegnare loro nel migliore dei modi in quindici giorni di lezione. Poi sul più bello quando qualcosa comincia a girare finisce che è arrivato l’ultimo giorno e devi andartene. Così saluti e vai. A casa.
Oppure può succedere che quest’anno le chiamate non arrivano, forse non c’è bisogno del tuo lavoro, forse è l’anno delle coincidenze astrali sfortunate perché non è l’anno del Leone. Tu rimani a pensare se vuoi continuare a fare l’insegnante oppure se devi cercare lavoro altrove. Ma la tua laurea l’hai presa anche e soprattutto per quello e poi hai continuato a studiare, a fare corsi e master anche e soprattutto per quello. Così ti fermi ancora a pensare, mentre i giorni passano e il telefono ancora non ha squillato, nonostante i decreti salva precari e nonostante tu sia sceso in piazza anche quest’anno e nonostante gli incontri con il comitato precari.
Essere precari vuol dire non avere una casa, un luogo dove lavorare bene con colleghi e studenti. Un luogo, quel meraviglioso spazio funzionale della scuola, che tu senta tuo.
Quello che ti resta comunque e nonostante la pesantezza del cognome acquisito è la voglia di stare con i ragazzi, la passione per la tua disciplina e il desiderio di lavorare bene con nuovi colleghi, ovunque tu sia e qualunque sia la casa che ti è in qualche modo capitata per queste due settimane della tua esistenza, passeggera, su questa terra. Così il momento continui a volerlo vivere davvero e continui a riempirlo di desiderio per tutto quello che fai, perché è questo che ti fa andare avanti in questo mestiere.
E infine mi dico che la tua anima nessuno te la può toccare e che la casa, anche se ti chiami Pino di cognome Precario, hai un po’ il diritto di scegliertela anche tu. E quindi io ho deciso stasera di venire qui, in questo istituto, che è una casa stupenda, per festeggiare il Natale con tutte le persone interessanti e meravigliose che ho avuto modo di conoscere qui, in questa che sento un po’ anche come casa mia.