“Brianza 2030: scenari e prospettive future”, il convegno promosso dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza.
Un paio di mesi fa lamentavo (Brianza: l’economia che cambia, Vorrei, 11 giugno 2012) la carenza di studi sulle prospettive di lungo termine per Monza e la Brianza.
Ed ecco che solo dieci giorni dopo (il 22 giugno) si apre un convegno dal titolo: “Brianza 2030: scenari e prospettive future”, promosso dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza.
Essendomi già occupato dell’argomento in passato (Brianza: due storie del futuro, Sistemi & Impresa, n.3, marzo 2008, pp.50-56) ho accolto la notizia con grande interesse.
Il rapporto completo della ricerca verrà distribuito in autunno. Tuttavia nel sito della Camera di Commercio sono disponibili le sintesi sia degli studi affidati ad esperti, sia di una indagine quantitativa su alcuni aspetti strutturali delle imprese brianzole. Per quanto scarne, mi sembra utile commentare queste sintesi, in quanto dovrebbero dare una idea dell’impianto della ricerca.
Prima del commento, mi sembra utile richiamare alcuni aspetti metodologici che vanno sotto il nome scenario building, costruzione di scenari.
Uno scenario non è una previsione, né un programma. E’ un insieme documentato e coerente di ipotesi sul futuro. La probabilità che queste ipotesi si realizzino è ovviamente molto bassa. Per sottolineare l’alto contenuto immaginativo degli scenari, si parla di “storie del futuro”.
Si formulano di regola due o tre scenari alternativi, molto diversi tra loro e tali da racchiudere un ventaglio di futuri possibili. Che sono infiniti ma che, dati i limiti cognitivi della mente umana, sarebbe impossibile esplorare, oltre che inutile.
Uno scenario dovrebbe toccare tutti gli aspetti che possono determinare il futuro dell’entità in esame, sia essa una impresa, una istituzione, o un territorio. Per tenerli a mente si usano degli acronimi, come STEEP, che rammenta la necessità di tener conto congiuntamente degli aspetti socioculturali, tecnologici, economici, ecologici, politici. Uno scenario deve essere olistico, anche se declinabile nelle sue parti. Ad esempio la Shell, antesignana del metodo degli scenari, propone scenari globali alternativi, al cui interno elabora scenari specifici sul futuro delle fonti energetiche, il suo business, immaginando anche per questi due futuri possibili.
Ultima notazione, last but not least: gli scenari non debbono essere il frutto di un ristretto gruppo di addetti ai lavori. Debbono invece coinvolgere un vasto numero di persone, a cominciare da coloro che hanno maggiori responsabilità decisionali: essi debbono essere lo strumento di una “conversazione strategica” (strategic conversation), finalizzata al miglioramento delle decisioni operative.
Alla luce di questi criteri proviamo a valutare le sintesi delle relazioni presentate al convegno del 22 giugno corso.
La Premessa va nella direzione giusta. A partire dalle prime due parole: “Pensare collettivamente”. Cioè avviare “un laboratorio di idee intitolato Brianza 2030” aperto al dialogo, auspicabilmente non solo limitato al mondo delle imprese. Un lavoro quindi non occasionale, ma in un certo senso una “corsa a tappe” di lunga lena.
E si è deciso di “partire dall’impresa non per astratto economicismo, ma perché qui forse più che altrove l’impresa è sorta e si è fatta società”. E in effetti, questa affermazione è confortata dal dato di fatto che in Brianza, cosa eccezionale, c’è una impresa ogni 13 abitanti.
In questa logica sono state avviate due indagini. La prima consiste nell’affidamento a quattro esperti del compito di “riflettere sui possibili futuri di modernizzazione in quattro dimensioni cruciali”: i cambiamenti demografici; i cambiamenti strutturali imposti alle imprese per adeguarsi ai mutamenti sociali, culturali ed economici del contesto in cui operano; i fabbisogni e le capacità di utilizzo dei “saperi”, delle “culture produttive”, della “società della conoscenza”; gli effetti della rivoluzione digitale. La seconda, una inchiesta condotta su un campione di 1000 imprese operanti nei quattro settori principali della Brianza (mobile, meccanica, costruzion, hi-tech) e nel terziario, alle quali è stato chiesto di gettare uno sguardo nel futuro economico di breve termine, con qualche proiezione sul lungo termine.
Ragionando secondo l’acronimo STEEP, la scelta di partire dal futuro del sistema produttivo coinvolge sia gli aspetti economici che quelli tecnologici. Tuttavia sarebbe opportuno che sin dall’inizio si riflettesse su altri futuri fondamentali, strettamente connessi con le attività produttive in senso attivo e passivo: quello ecologico, con riferimento al possibile destino dell’ambiente naturale, determinante per la vivibilità e l’attrattività della Brianza; e quello culturale, come potenziale nuovo fattore trainante dell’economia nella prospettiva di una rivoluzione non più prevalentemente industriale.
Comincio dall’esame delle sintesi prodotte dai quattro esperti, per poi passare all’indagine quantitativa.
G.C. Blanciardo, dell’Università di Milano Bicocca, rileva che negli ultimi venti anni la popolazione della provincia di Monza Brianza non ha mai smesso di crescere, e prevede ragionevolmente che anche nel prossimo ventennio la popolazione continuerà a crescere moderatamente, per passare dagli attuali 860 mila a quasi un milione. Questo aumento si accompagnerà a una profonda modifica della struttura della popolazione, con un aumento degli immigrati e delle classi di età più anziane. Resterebbe stabile “il segmento di popolazione lavorativa più dinamico e flessibile” (20-44 anni).
L’autore ne trae indicazioni in termini di “trasformazioni del welfare”. Ma mi aspetto che nel rapporto si parli anche di altri impatti, come quelli sul consumo del suolo e della mobilità. Recenti dati Istat pongono la provincia di Monza e Brianza al vertice del cosiddetto soil sealing, l’impermeabilizzazione del suolo, con una percentuale del 50% del territorio, contro il 43,2% della provincia di Napoli e il 37,1 di quella di Milano.
In questo caso, due scenari possono essere immaginati: quello di un ulteriore sviluppo del settore edilizio a scapito del suolo libero, che porterebbe a una forse definitiva compromissione della vivibilità del nostro ambiente, o quello di un trade off tra i settori produttivi che vedrebbe recedere il settore edilizio dal ruolo trainante del passato rispetto ad atri settori produttivi. Anche sul traffico indotto dall’aumento della popolazione si possono formulare diverse ipotesi (ad es. lo sviluppo del trasporto su ferro o su gomma con la sua maggiore velocizzazione, e quello delle reti telematiche).
Enzo Rullani, grande esperto di organizzazione d’impresa, rileva le profonde trasformazioni che stanno investendo il sistema produttivo di Monza e Brianza, osservando che oggi “la priorità per le aziende è la sopravvivenza”. Egli ritiene che il sistema produttivo sia ancora robusto, con un nucleo d’imprese innovative, ma che occorra un “complessivo rinnovo della cultura imprenditoriale e dei rapporti di lavoro”.
Qui è sotteso lo scenario di un impatto inusitato proveniente dall’esterno, di carattere globale, che vede la Brianza sulla difensiva. Un impatto non solo di tipo economico e tecnologico, ma anche politico e culturale. E’ certo comunque che la provincia di Monza e Brianza, piccola ma strettamente dipendente dal sistema globale (è la provincia italiana con il più alto tasso di import-export) sarà direttamente investita dai suoi cambiamenti. Forse, rendere espliciti in modo articolato i futuri possibili potrebbe essere di stimolo ai rinnovamento culturale auspicatio da Rullani.
Il sociologo Bruno Manghi (tema della ricerca: “Le imprese della Brianza e la sfida dei saperi”) rileva che le grandi innovazioni sono alla portata solo delle imprese medio-grandi, perché richiedono forti investimenti, mentre le piccole imprese, che caratterizzano il tessuto imprenditoriale brianzolo, innovano con adattamenti e miglioramenti incrementali. E si pone la domanda: in futuro, questo tipo di innovazione sarà “sufficiente a trainare il sistema territoriale brianzolo fuori dalle difficoltà attuali”?
La storia della Brianza, che ha saputo trasformare radicalmente nei secoli le proprie attività produttive, indurrebbe a rispondere senz’altro “sì”. E ciò sulla base di una cultura imprenditoriale diffusa, rinfocolata continuamente grazie alle piccole dimensioni e alla conseguente flessibilità e capacità di adattamento, che mancano spesso alle imprese maggiori.Tuttavia resta il quesito di Manghi, che configura due alternative: un contesto, quello della terza rivoluzione produttiva, che accetti un adattamento relativamente lento ai cambiamenti, o al contrario uno spiazzamento drastico causato da eventi come l’invenzione della macchina a vapore (oggi l’ICT o le nanotecnologie), tale da richiedere un cambiamento radicale e veloce. La rivoluzione elettronica ha mietuto importanti imprese nel passato (leggi Olivetti) e potrà farlo nel futuro (leggi Fiat). Riusciranno i nostri eroi brianzoli a passare dall’edilizia all’hi-tech, o a una economia più legata alla cultura?
Carlo Formenti, (Università del Salento), parlando dello “Ecosistema della Brianza di fronte alla sfida tecnologica del Web 2.0”, cioè della rivoluzione elettronica in atto, ha messo in luce l’importanza di “essere in rete”, e la miriade di opportunità offerte dalla rete “attraverso le più avanzate forme di cooperazione e condivisione” (ma direi anche di competizione), non solo per le grandi imprese, ma anche per quelle minori..
Non vi è dubbio che l’innovazione elettronica costituisce la più importante onda portante tecnologica degli scenari futuri. Il settore dell’hi-tech in Brianza non solo fatica a svilupparsi e a divenire un reale e consistente distretto, come quelli della meccanica e del legno-arredo, ma ha anzi subito negli anni passati gravi ridimensionamenti. Tuttavia, nell’attuale crisi sembra mostrare una maggiore resistenza rispetto agli altri. Qualsiasi siano le storie del futuro (qui sembra valere l’acronimo TINA, there is no alternative), il futuro della Brianza si giocherà su questo terreno. Ma non solo sotto l’aspetto, fondamentale, della necessità di essere in rete, ma anche sotto quello produttivo; e non solo per quanto riguarda le tecnologie info-telematiche, ma anche altri settori montanti, come le fonti energetiche e il settore culturale (pochi rilevano che sono già oltre 2000 gli studenti che frequentano i dipartimenti universitari insediati a Monza.)
L’indagine quantitativa condotta su 1000 capi d’impresa è finalizzata ad esplorare alcuni aspetti della cultura imprenditoriale brianzola.
Dai primi dati emerge la conferma del prevalere di una struttura aziendale famigliare, la carenza di strategie di lungo termine, surrogate da politiche di adattamento incrementale ai cambiamenti e all’innovazione, che peraltro, almeno fino a ieri, hanno funzionato. Questa cultura molto pragmatica porta, ad esempio, molte imprese a non dare molta importanza all’innovazione tecnologica (solo un quarto delle imprese la ritiene strategicamente determinante).
Tra i quattro settori esaminati, quello delle costruzioni appare il più arretrato, con un basso numero di addetti alle funzioni di maggior peso strategico (progettazione, design, R&S, comunicazione, qualità, customer care) rispetto ai livelli degli altri settori, e un conseguente livello di terziarizzazione interna (10,46%) che è la metà dei settori della meccanica e del mobile e un terzo del settore hi-tech.
L’indagine è una fotografia dei comportamenti e delle valutazioni degli imprenditori di fronte alla crisi, e quindi ha scarsa rilevanza per la costruzione di possibili scenari. Fornisce tuttavia, da quest’ultimo punto di vista, un dato interessante: è diffusa la convinzione (quasi il 90% degli intervistati) che la crisi attuale non è frutto di una semplice congiuntura negativa, ma bensì costituisce un fenomeno strutturale di vasta portata. Questa consapevolezza può spingere gli imprenditori i brianzoli a cambiamenti radicali nella cultura (i figli vanno all’università!) e nell’invenzione di nuove produzioni e nuovi processi.
Per concludere: naturalmente, una valutazione più esauriente potrà essere fatta solo sulla base dei documenti completi, promessi per l’autunno.
Da queste prime informazioni, si potrebbe parlare di una prima tappa sulla strada degli scenari brianzoli, avente come obiettivo l’esame della situazione attuale dell’economia e dell’imprenditoria della Brianza, con uno sguardo implicito alle vocazioni espresse nel passato e una anticipazione di proposte sui cambiamenti auspicabili. Il contesto esterno che richiede questi cambiamenti, cioè lo scenario, è lasciato sottotraccia, se non proprio dato per scontato (la competizione globale, la rivoluzione tecnologica).
Forse sarebbe bene “drammatizzare” in maggior misura le alternative radicali di fronte alle quali il nostro territorio potrà trovarsi in futuro: trade off tra vecchi e nuovi settori produttivi, tra servizi (ma quali?) e attività manifatturiere, rilevanza del contesto ambientale, interconnessioni fisiche ed elettroniche, ruolo della cultura, ruolo delle città in un contesto globale sempre più inurbato, vivibilità, attrattività.
Come si vede, molta può essere la carne al fuoco. L’importante è che gli ingredienti siano ben impastati e i menu appetibili.