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Dossier: Gli anni Ottanta. Quando e perché è nata la parabola discendente del nostro Paese? Il declino economico, sociale, ambientale dell'Italia. In attesa del risveglio degli "onesti"

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redo che ormai anche i più ottimisti si rendano conto che il nostro Paese, da alcuni anni, è caratterizzato da un processo denominato “declino”.

Ma in che cosa consista questo declino, e quando sia cominciato, è tutt’altro che chiaro.

Per lo più, quando se ne parla si sottintende “economico”. E quanto al punto di inizio, è facile confondere processi che si sono manifestati a partire da un certo momento, con caratteri più o meno permanenti dell’identità e dei costumi degli italiani.

È anche difficile capire quanta parte del declino del nostro Paese è endogena, e quanta è dovuta al fatto di essere coinvolto in processi in atto in aree più vaste e magari a livello globale.

Occorre poi tener conto del fatto che molti eventi presentano una faccia positiva e una negativa. Basti pensare al miracolo economico degli anni Cinquanta del secolo scorso: alla crescita tumultuosa della ricchezza nazionale, che portò lʼItalia ad essere la sesta economia mondiale, corrispose una devastazione irreversibile del "Giardin dello Imperio".

Da parte mia cercherò di far riferimento non solo a fatti economici, ma anche sociali, culturali, tecnologici, ambientali. E cercherò - cosa difficile - di distinguere tra eventi transeunti (che fanno sperare in un superamento) ed elementi se non proprio permanenti, certo più o meno endemici. E tra fatti specifici del nostro Paese ed eventi globali.

Dal punto di vista economico, due dati sono considerati particolarmente indicativi del declino: la produttività e il debito pubblico.

Come emerge dalla recentissima indagine del CNEL, lʼaumento della produttività media annua del lavoro nel settore manifatturiero è caduta in Italia dal 6,5% degli anni Settanta allo 0, 4% del periodo 2000-2010. Il fatto poi che negli anni Duemila lʼaumento della produttività globale dell’Italia sia stato di appena lo 0,2%, di gran lunga inferiore a quello degli altri paesi, dice che anche nei settori diversi dal manifatturiero (servizi in primo luogo) le cose sono andate male. 

Quanto al debito pubblico in percentuale del prodotto interno lordo (PIL: interno, perché esclude i redditi del nostro Paese allʼestero, e lordo, perché non si riesce ad eliminare certe duplicazioni, n.d.r.) esso è passato da una media degli anni settanta di circa il 50%, toccando il 60% nel 1981, per balzare al 100% nel ‘90 e raggiungere il picco di 124% nel 1994. Livello da bancarotta, come quello attuale.

Ma i numeri economici, come i bilanci contabili, sono per lo più l’espressione tardiva di vicende maturate prima e altrove. Strettamente connesso con gli aspetti economici è quello tecnologico, base degli investimenti. Sicuramente lʼItalia è rimasta indietro nei nuovi settori, soprattutto nelle tecnologie telematiche (ICT), determinanti per la produttività globale e divenute ormai una quota rilevante dei consumi della popolazione. È a Vittorio Valletta, protagonista assoluto del rilancio della Fiat negli anni della ricostruzione (ma con grandi sussidi statali e in condizioni di monopolio), che viene attribuita questa affermazione: “La Olivetti va benissimo, salvo un bubbone che va estirpato: quello dellʼelettronica”. Il che fa riflettere sulle responsabilità, anche attuali, di certi imprenditori e dirigenti in termini di investimenti mancati o errati, di scrasa produttività, di economie assistite.

LʼItalia è il Paese dʼEuropa con la percentuale di suolo impermeabilizzato maggiore dʼEuropa: il 7,3%,

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Ma anche da altri punti di vista il declino si manifesta. Ho già accennato alle devastazioni di città e campagna durante il miracolo economico (a Monza, il marchio indelebile di questo periodo è costituito dal palazzo ex UPIM, uno scarpone sul cuore della città). Ma questo scempio è continuato fino ai giorni nostri. Uno studio dellʼISTAT ci dice che lʼItalia è il Paese dʼEuropa con la percentuale di suolo impermeabilizzato (soil sealing) maggiore dʼEuropa: il 7,3%, come dire lʼIntera Emilia-Romagna, contro una media europea del 4,3%. E in questa indagine spicca la nuova provincia di Monza e Brianza, che con oltre il 50% batte quella di Napoli (43,2%).

 Si lamenta spesso la scarsa attrattività del nostro Paese. E non tanto dal punto di vista turistico: è certamente finito il tempo - e meriterebbe una riflessione - del "Viaggo in Italia", ma il turismo, in qualche modo, regge ancora faticosamente il confronto con altri paesi, contribuendo in modo decisivo all’equilibrio della nostra bilancia dei pagamenti. Quanto dal punto di vista degli IDE (Investimenti Diretti Esteri), indice della capacità di attrarre iniziative economiche straniere. Secondo questo indice, l'Italia si colloca, nel periodo 2000-2010, al 28esimo posto tra i 31 paesi dll'OCSE, che riunisce i paesi più sviluppati economicamente. Cosa non certo dovuta al costo del lavoro, ma piuttosto alle carenze tecnologiche e organizzative delle nostre imprese e a una pluralità di ostacoli (prevalentemente burocratici, giuridici, infrastrutturali) a "fare business" da noi.

Un paio di anni fa ho avuto occasione di intervistare, per questa rivista, alcuni capi di imprese multinazionali con insediamenti in Brianza, chiedendo loro un parere sull’attrattività di questo territorio. In sintesi, la risposta fu: bene le risorse umane, discrete le istituzioni, pessime le infrastrutture di trasporto, non ottimale, ma molto importante, la vivibilità del contesto ambientale. Tutti gli intervistati riconobbero l'esistenza di un declino, anche in Brianza, ma si dissero fiduciosi in un suo superamento.

Sempre dal punto di vista dei dati economici, è vero che il declino dell'Italia si inquadra in una crisi mondiale, che vede un regresso dell'Europa rispetto ai paesi emergenti (BRIC, Brasile, Russia, India, Cina ed altri). Ma molte statistiche mostrano che se le cose vanno male in Europa, il fanalino di coda é sempre l'Italia.

Ma veniamo agli aspetti sociali e culturali, meno misurabili quantitativamente. 

Il degrado della politica è evidente, e testimoniato da due dati: la fiducia degli italiani nei partiti, giunta al punto più basso tra le diverse istituzioni (solo il 4 % della popolazione si fida di loro). E la percentuale di cittadini che non votano o non sanno per chi votare, che si aggira intorno al 50 %.

Credo che particolarmente devastanti siano stati gli effetti della "cattiva maestra televisione", come è stata definita da Karl Popper, con riferimento al sistema democratico ma non solo, effetti che hanno trovato una conferma plateale nel nostro paese. 

 Considerati i dati qui sommariamente citati, certo tutt’altro che esaurienti, possiamo individuare il momento, o il periodo, in cui si è manifestata una inversione dalla fase di crescita del Paese a una fase di declino?

La risposta, a questa mia domanda, del capo di una importante impresa industriale, mi ha piuttosto sorpreso: il declino è stato fotografato da Alberto Sordi, con i suoi film sui difetti degli italiani. Alla mia obiezione che quei film hanno rappresentato degli elementi endemici del nostro Paese, ha risposto che no: hanno descritto un processo degenarativo rispetto al passato. Probabilmente c'è del vero sia nell'una che nell'altra ipotesi. Quando si tennero i funerali di Sordi, una cosa mi colpì: l'enorme consenso suscitato dalla persona dell'attore, testimoniato dalla folla che partecipò alle esequie, ma anche gli scarsi effetti delle sue denunce sui comportamenti degli italiani. Cosa di cui Sordi, da cinico romano, era a mio parere ben consapevole. Lascio al lettore di trarre le conseguenze da questa contraddizione.

Il declino, per quanto maturato in anni precedenti e fondato su certi caratteri nostri propri, è esploso negli anni Ottanta

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Ma non voglio sottrarmi a una mia conclusione: che il declino, per quanto maturato in anni precedenti e fondato su certi caratteri nostri propri, è esploso negli anni Ottanta.

Fisserei anche delle date: quelle dei decreti che, nel corso di quegli anni, hanno legittimato la nascita arrogante della televisione commerciale a raggio nazionale, con ricadute imitative esiziali su quella pubblica e l’instaurazione di un quasi monopolio dell’informazione. Per un riferimento-segnale molto concreto, indicherei l'inizio della trasmissione "Drive In", che ha improntato la cultura popolare tra il 1984 e il 1988. 

Credo che a caratterizzare la svolta sia stata "la fine del pudore". Non tanto quella delle Ragazze Fast Food di Drive In, progenitrici delle veline degli anni Novanta, quanto quella delle vicende politiche ed economiche. Espressioni entrate allora in voga come “Nani e Ballerine”, “Milano da bere”, non si riferivano infatti a spettacoli di strada o a incipienti happy hours, bensì in modo icastico a un insieme organico di processi degenerativi in atto nella società, nella cultura, nell’economia, nella politica italiana. Processo che è continuato sino ai nostri giorni, quasi cronicizzandosi nei termini di un relativismo etico, risultato vincente su brevi soprassalti di dignità. 

Una volta si diceva che il pudore costituisce l'omaggio che il vizio rivolge alla virtù. Fino agli anni Settanta i protagonisti di comportamenti riprovevoli cercavano di tenerli nascosti. Dopo no. Si è arrivati al punto di affermare che scandaloso era chi denunciava lo scandalo e non chi lo provocava. Come sempre, sono i poeti che anticipano gli eventi. Ebbene: a conferma di ciò suggerisco di leggere o rileggere su Internet l'articolo scritto da Italo Calvino su la Repubblica del 15 marzo del 1980, dal titolo "Apologo sugli onesti nel paese dei corrotti", dove gli onesti diventano i reietti della società.

 L'ultima domanda potrebbe essere: dopo che il declino ha toccato il fondo, sarà possibile risalire e conoscere un'epoca di rifioritura? Io penso e spero di sì. Perché se è vero che il nostro Paese ha difetti atavici (come del resto ogni altro paese) è anche vero che ha pregi straordinari, per i quali è apprezzato e amato ovunque. L'Italia rimane pur sempre una importante modello culturale, con riflessi globali positivi e negativi, che spaziano dal Rinascimento al fascismo. E un Paese dove la creatività non manca, anzi spesso si spreca. E credo che "gli onesti" di Calvino non siano una sparuta minoranza, ma una maggioranza troppo remissiva. Si tratta di svegliarla. Di svegliarci.

 

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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