Dossier. Ecologia dell'informazione. A nessun ragazzo passerebbe mai per la testa di andare in edicola ad acquistare un quotidiano. Anche per questo, non esiste al momento una richiesta dal mercato di nuovi giornalisti eppure sono moltissimi i “giovani aspiranti”
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vete mai visto un diciottenne con un quotidiano in mano? Pensateci: avete mai visto una persona fra i quattordici e i venticinque anni entrare in edicola? Se è successo, avete assistito a una rarità.
Non si tratta di criticare gli adolescenti di oggi e il loro presunto disinteresse verso la cultura. Tra quelli della loro età, chi si vuole informare e intende leggere le notizie (e ce ne sono) lo fa su internet. Gratuitamente.
A nessun ragazzo passerebbe mai per la testa di andare in edicola ad acquistare un quotidiano. Perché farlo? Le notizie sono lì, gratis sul computer e sul cellulare. Siano essi appassionati di calcio o perché no, vogliano interessarsi per la prima volta alla politica o agli affari esteri (esiste ancora questo tipo di giovani, anche ai giorni nostri, e non bisogna metterlo in dubbio), lo farebbero su internet. Mai e poi mai andrebbero in edicola a comprare la Gazzetta dello Sport, la Repubblica o Internazionale. D’altronde sono tutti e tre accessibili su internet. Certo, hanno alcuni contenuti a pagamento, ma quello che lasciano disponibile gratis sulla rete è più che sufficiente per chi ha un interesse superficiale su un argomento. Ed è proprio questo il tipo di lettore che è andato perduto. Quello che comprava il quotidiano solo ogni tanto, che lo prendeva per informarsi e approfondire un determinato fatto del giorno precedente.
Perché si dovrebbe acquistare un giornale per leggere la descrizione dello scoppio di una bomba in Siria, quando un video dell’accaduto è su YouTube due ore dopo?
Oggi come oggi, perché si dovrebbe acquistare un giornale per leggere la descrizione dello scoppio di una bomba in Siria, quando un video dell’accaduto è su YouTube due ore dopo il fatto? Perché prendere un giornale sportivo il giorno successivo a una partita dopo aver osservato ogni gol in diretta, guardato i replay in streaming e letto le interviste sui siti?
Se queste domande suonano ormai retoriche anche a chi è più avanti con gli anni, figurarsi per i cosiddetti “nativi digitali”, in pratica tutti i nati negli anni ’90, per i quali il computer è da sempre l’oggetto essenziale.
Ciononostante, c’è sempre qualcuno che ribatte a queste domande con “Sì, ma il fruscìo della carta…” oppure “Beh, ma il piacere del quotidiano sull tavolo!”. Ebbene queste persone ci sono ancora, è vero, ed è proprio con queste che si mantengono i quotidiani. Una volta scomparso questo modello di lettore (a volte è meglio essere macabri che ingenui) non ci sarà nessun cambio generazionale. Nessuno di quelli abituati al giornale di carta sta trasmettendo questa passione al figlio. Per quale motivo dovrebbe farlo? Se il figlio è interessato a certi argomenti li cerca su internet, non c’è alcuna possibilità che rimanga a corto di notizie. Grazie alla vastità del web, non esiste questo rischio.
Associare il massiccio utilizzo di internet e del computer ad un affievolirsi dell’interesse verso la cultura nella maggior parte dei giovani di oggi è uno sbaglio da non fare. L’errore, inconsapevole si presume, è aver permesso sin dall’inizio della diffusione reale del web, nei primi anni duemila, che le notizie fossero gratis. La musica non lo è mai stata, e l’idea che procurarsela gratuitamente fosse illegale non è mai venuta meno. Questo non ha impedito che la pirateria degli album mettesse in crisi il settore delle case discografiche, ma per loro fortuna sussiste tuttora, anche fra i più giovani, la convinzione che scaricare musica costituisca un illecito. E, infatti, capita ancora oggi che gli album, soprattutto in formato digitale ma anche cd, siano acquistati regolarmente nei negozi, online e non. Andate in quei grandi centri multimediali, come le librerie Feltrinelli o le Fnac, e visitate il reparto musica. Troverete ragazzine che acquistano il cd di Emma Marrone e di altri idoli pop e qualche ragazzo che ascolta l’ultimo cd rap. Ora spostatevi nel reparto edicola che questi grandi magazzini molto spesso hanno. Nessuno sotto i trenta anni.
Non so chi abbia deciso che avere informazioni, siano esse semplici cronache di un fatto (come ad esempio un lancio di agenzia) o articoli approfonditi (da un’analisi politica alla recensione di un film), doveva essere gratis, ma così è stato. E così rimarrà d’ora in avanti. Non si può tornare indietro.
Si è tentato di mettere limiti alle pagine visitate sui siti dei quotidiani, di chiudere i siti ai non abbonati, di promettere determinati contenuti solo a chi paga le sottoscrizioni, ma l’ampiezza di internet è tale che l’informazione cercata si può sempre e comunque trovare gratuitamente.
Un abbonamento online ad un giornale lo faranno solo i meno avvezzi all’uso del pc, quelli che, paradossalmente, fino a poco tempo fa compravano ancora il giornale in edicola.
Per questi motivi non esisterà più una nuova e numerosa base di lettori abituali di quotidiani. L’informazione ora è gratis, non si può sfuggire a questo teorema.
Oggi come oggi, è il mestiere meno produttivo e vantaggioso da fare in Italia.
Tutta questa lunga premessa per arrivare al punto: non studiate per fare il giornalista. Oggi come oggi, è il mestiere meno produttivo e vantaggioso da fare in Italia.
Fra il necrologio della stampa e quest’ultima sentenza ho già detto una quantità di cose negative non indifferente. Allora fatemi aggiungere la controparte positiva: la soluzione esiste. Si può vivere scrivendo, ci si può mantenere in maniera dignitosa usando la lingua italiana come punto di forza del proprio mestiere.
Io, che come molti sognavo di fare il giornalista vecchio stile, a ventinove anni ho uno stipendio che molti dei miei coetanei non hanno. Al sogno di entrare in redazione al pomeriggio per il giornale che sarebbe andato in stampa la notte ci ho rinunciato da tempo. E sono contento di averlo fatto, perché quella possibilità non esiste più.
Se il vostro sogno è quello di varcare le porte di una grande redazione spaziosa, stile uffici del New York Times, avere una scrivania personale e scrivere un articolo al giorno per il quotidiano dell’indomani, allora il mio consiglio è quello di svegliarvi. Non è possibile. Dovete accettare questa verità.
Esisteranno ancora in futuro questo tipo di redazioni “old school”, questo è più che probabile, ma saranno sempre di meno e sarà sempre più difficile entrarvi. Con numero minore, intendo che è probabile che in Italia ce ne saranno tre (i due mammut nazionali più il mammut rosa sportivo) più altre tre di settimanali o mensili. Troppo drastico?
Analizziamo gli altri casi:
- I giornali locali e medio-grandi. Innanzitutto, e spero che questa non sia una sorpresa per nessuno, ormai questi quotidiani hanno redazioni piccole, ridotte al massimo a dieci persone “fisse” più la solita marea di collaboratori pagati niente. Quando si parla di rinnovamento dell’informazione si citano sempre i nuovi aggregatori à la Huffington Post, ma ci si dimentica spesso dell’informazione locale su internet. Ormai anche le città più piccole hanno uno o più siti o blog d’informazione dedicati agli avvenimenti locali, aggiornati con costanza e più volte durante la giornata. Il creatore del sito, che spesso non ha nulla ha che fare con l’informazione, guadagna grazie ai banner di pizzerie del luogo e officine. Con questi riesce a tirare su uno stipendio solo, per lui. I contenuti sono scritti da giovani redattori non pagati. I tempi degli uffici dei quotidiani nei piccoli paesi di provincia sono destinati a finire, dato che non hanno più ragione di esistere.
I giornali locali e quelli mediamente diffusi (dal Messaggero alla Nazione, passando per Il Secolo e il Mattino) è probabile che lancino dei siti internet per provare a restare in vita. Ma in queste nuove e minuscole redazioni online si assume raramente, magari al momento dell’apertura, e spesso vi vengono integrati gli avanzi della carta stampata. Possibilità di assunzione: zero.
- I giornali nati online, vedi Il Post, Blitz Quotidiano, Lettera43 e simili. Contano su una redazione di solito composta anch’essa da massimo dieci persone (arrotondando per eccesso). Pagati spesso con contratti a progetto a cifre che arrivano giusto a mille euro, i redattori di questi giornali raramente restano per più di tre anni nello stesso posto e comunque mai arriveranno a prendere uno stipendio paragonabile a quello della loro controparte cartacea. Sono siti che vivono di pubblicità online, che permette solo incassi minimi.
- Le riviste settimanali e mensili: più colpite dalla crisi editoriale rispetto ai quotidiani, hanno dovuto subire la mancata rinnovazione dei contenuti. Sfogliate una rivista su carta: vi stupirete nello scoprire che gli autori di molti degli articoli più lunghi hanno nomi stranieri. Perché sono semplici traduzioni.
Da Vanity Fair a Di più, i magazine non vendono più perché offrono, come è normale che sia oggigiorno, gran parte dei contenuti sul web.
Dato che la pubblicità sul web (e questo vale per tutti i siti) paga molto meno di quella sulla carta stampata (anche in questo caso non si capisce il perché: nessuno si è mai lamentato della pubblicità in tv o sulle riviste, ma se sul web il banner è invasivo o copre tutta l’homepage, orde di commentatori minacciano di abbandonare il sito) una redazione per soli contenuti web sarà composta da molti meno giornalisti del suo corrispettivo su carta. Meno delle metà.
Per quanto riguarda le riviste di gossip e simili, che sono necessarie come tutte le altre, non fatevi ingannare dal proliferare di nuove uscite. Servono solo a nascondere i fallimenti di quelle che le hanno precedute e nei colophon troverete sempre le stesse persone.
Altro destino comune ai giornalisti di oggi è seguire un percorso simile. Studiano per diventare pubblicisti e professionisti (e gli ordini professionali, in un contesto come quello appena descritto, hanno sempre meno ragione di esistere), cominciano a fare gavetta in siti di informazione locale senza essere pagati e poi finiscono a scrivere gratis per qualche sito magari più letto e visitato, dove vengono pagati pochissimo o illusi con la scusa della visibilità.
Fare la gavetta è un periodo dovuto e necessario per imparare qualsiasi mestiere. Che questa gavetta continui fino a trent’anni o che diventi mestiere senza essere però adeguatamente retribuita, è un’idea falsa e malvagia alla quale non bisogna sottostare.
Come spero sia chiaro, non sostengo che la figura del giornalista scomparirà. Ci saranno meno giornalisti, ma ce ne saranno.
Il punto è che entrare nelle redazioni sarà sempre più difficile, sempre simile a vincere una lotteria.
I posti rimasti nelle vecchie redazioni saranno naturalmente mantenuti da chi già li occupava e quelli dei nuovi siti online andranno ai licenziati dai suddetti quotidiani. E si tratta di gente dai quarant’anni in su, quindi non si può nemmeno sperare per che vadano in pensione a breve, anzi.
Insomma non c’è posto per nuovi giornalisti.
Insomma non c’è posto per nuovi giornalisti. Lo dico perché è quello che avrei voluto sentire anch’io, due o tre anni fa, quando ho cominciato a prendere in considerazione l’idea di fare il giornalista come mestiere. Avrei preferito che qualcuno fosse stato sincero, invece di continuare a leggere editoriali e analisi dove i numeri drastici e inopinabili dei cali di vendite e guadagni nel mondo dell’informazione vengono - chissà perché - sempre bilanciati con false speranze per il futuro.
Forse la ragione è che sono scritti da chi il lavoro come giornalista l’ha trovato nel passato e dell’assenza cronica di occupazione degli ultimi anni è solo osservatore e non vittima. Le loro analisi sullo status attuale del giornalismo sono troppo oggettive, mentre io ho scelto, in questo articolo, di dare una visione soggettiva. Possono essere utili anche sensazioni e pensieri personali per comprendere una situazione.
Ora, non venite a dirmi che voi ce l’avete fatta o che invece avete letto che i numeri di un determinato giornale stanno risalendo. Non lo metto dubbio, è sicuramente vero. Ma si tratta di un’eccezione, di una mosca bianca. E, se qualcuno di voi vorrà rispondere, vi prego di non parlarmi dell’ultimo meeting sui nuovi media (ormai ogni settimana c’è un meeting/festa/happening sul giornalismo) dove una volta Luca Sofri intervista Gianni Riotta, e la successiva Gianni Riotta intervista Luca Sofri, dove modera Riccardo Luna e poi invitano Arianna Huffington e Vittorio Zucconi e dove, insomma, alla fine va tutto bene e si scopre che una soluzione c’è. Ecco, non è così. Mentono oppure non lo sanno. D’altronde loro stessi rientrano nella categoria di giornalisti moderni senza però esserlo realmente, avendo fatto la gavetta nella carta stampata quando ancora godeva di buona salute. L’arrivo di internet è stato per loro un passaggio, non il punto di partenza.
Non esiste al momento una richiesta dal mercato di nuovi giornalisti. Chi nel 2012 lavora come giornalista, con uno stipendio e un contratto duraturo, è probabile che lo faccia anche per meriti di anagrafe.
Come ho detto però, si può ancora scrivere per vivere. Non è facile, e non è bello come essere inviati all’estero o vedere la propria firma su un pezzo di carta in edicola. Ma si può fare. Se interessa, nel prossimo articolo vi spiegherò quale metodo ho trovato io.
Intanto, però, raccontatemi nei commenti le vostre esperienze di giornalisti, parlatemi di quello che avete passato e soprattutto delle idee che avete per portare avanti questo mestiere.
Attenzione, non ho detto “aspiranti” giornalisti, come si usa definirci. A trent’anni e oltre un mestiere lo si è imparato, e se non riusciamo ad acquisirne i meriti e gli onori non è per forza colpa nostra.
Pubblicato con il titolo “Ragazzo, non fare il giornalista!” su www.doppiozero.com