Tutti presi dalla discussione sulla riforma dell’articolo 18... senza sapere di cosa si parla
Alzi la mano chi non ha sentito discutere nelle passate settimane di articolo 18. Un tambur battente a reti ed edicole unificate per spiegare in tutte le salse quali limiti imponga al mercato del lavoro italiano la presenza di quell’articolo dello Statuto dei Lavoratori. Una discussione lunare, lontana mille miglia dalla realtà, in cui le opinioni si sprecavano quasi sempre per dire la cosa sbagliata.
Partiamo dalla lettera del testo di legge. Prima di tutto, l’articolo 18 è intitolato significativamente “Reintegrazione nel posto di lavoro”, quindi niente balle su licenziamenti e affini. L’articolo 18 infatti si occupa di discriminazioni, soprusi, colpi di mano che colpiscono il lavoratore, non di licenziamenti tout court. Questo il testo di legge: “ll giudice [...] annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità [...], ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro”. Insomma, siamo di fronte ad una norma di pura civiltà che è presente anche negli ordinamenti di Francia, Germania e Gran Bretagna: se vuoi utilizzare il licenziamento per discriminare, non c’è trippa per gatti. Il problema, semmai, è che tale norma si applica solo al lavoratore a tempo indeterminato in aziende con più di 15 dipendenti o 5 se azienda agricola. Parliamo, secondo dati della Cgia di Mestre, del “2,4% delle aziende ed il 57,6% dei lavoratori dipendenti italiani occupati nel settore privato dell’industria e dei servizi”.
Altro elemento. Lo Statuto dei Lavoratori avrà sì 44 anni (risale al 1970) ma è molto chiaro: se le tue istanze sono meritevoli di tutela lo decide un giudice terzo. Non c’entrano i sindacati o i pissi pissi tra gruppetti di potere (“caro imprenditore, questo reintegralo che è amico mio, quest’altro no; in cambio chiudo un occhio su questo e quello”) ma solo la valutazione di un elemento terzo come Costituzione impone. Del resto è chiaro che per alcuni anche la Costituzione è ormai un vecchio arnese...
Ulteriore elemento decisivo: se il giudice stabilisce che il lavoratore ha ragione, quest’ultimo non è detto che debba per forza rientrare in azienda. L’articolo 18 così recita: “Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto”. Ossia il lavoratore può scegliere. Ed è pacifico che, a meno di essere masochista, scelga i soldi invece di tornare in un luogo in cui non è gradito. In ultima istanza, il lavoratore che, dopo sentenza, sceglie di rientrare in un posto in cui non è ben voluto e dove realisticamente continuerà a respirare un clima non propriamente sereno, è solo colui che non ha altre scelte: mi hanno discriminato, un giudice ha riconosciuto le mie ragioni, non ho altre alternative, torno lì dove non mi vogliono.
Alla luce di quanto il testo di legge dispone, come la modifica dell’articolo 18 possa causare un aumento dell’occupazione è questione metafisica. Del resto l’articolo 18 è già stato oggetto di riforma due anni fa (ministro Fornero: sono state modificate le norme in caso di licenziamento che manchi dei requisiti soggettivi ed oggettivo, ossia motivi disciplinari o economici che non stanno in piedi) e non sembra proprio che l’occupazione dal 2012 sia aumentata, che ne dite? [fonte dei dati: Eurostat; il tasso di disoccupazione 2014 è il dato mensile di agosto]
Inoltre, a proposito di Jobs Act (che al momento è sostanzialmente una delega in bianco al governo, approvata dal Senato e in discussione alla Camera), ecco quel che ne pensa il ministro Padoan: la riforma del lavoro serve secondo lorsignori ad assumere con più flessibilità... e a licenziare più facilmente. Parole e musica pronunciate a Washington il 9 Ottobre scorso nel corso del meeting “A Reform Agenda for Europe’s Leaders” organizzato dal Fondo Monetario Internazionale. Come dicono gli americani, “enjoy!”:
Addendum del 02 Novembre in relazione al commento di Alberto. Da fonte Istat, qui il trend del tasso di occupazione del segmento 15-64 anni. Devastante come quello del tasso di disoccupazione: