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Cosa ci dicono i dati Istat sul lavoro e sul trend demografico italiano se messi insieme.

Se vi piacciono numeri e grafici, questa articolo fa per voi. Se non vi piacciono, fa per voi lo stesso: poco testo scritto e tante immagini. Grazie al lavoro dell’Istituto Nazionale di Statistica e della Fondazione Di Vittorio, è possibile ricostruire qualità e quantità del lavoro in Italia negli ultimi 14 anni.

Le statistiche Istat messe in fila ben spiegano il terremoto politico degli ultimi mesi. Ve le proponiamo di getto traendole dall’interessante ricerca curata da Lorenzo Birindelli per la Fondazione Di Vittorio e pubblicata il 7 Ottobre 2017:

 

LAVORO AUTONOMO E A TEMPO DETERMINATO

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DURATA DEI CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

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PART-TIME VOLONTARIO E INVOLONTARIO

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OCCUPATI, UNITÀ DI LAVORO E ORE LAVORATE (n.b. il grafico è espresso in numeri indice con base = 100 nel primo trimestre del 2004; le unità di lavoro sono una misura del volume di lavoro prestato nelle posizioni lavorative e sono calcolate rapportando il valore unitario delle posizioni lavorative a tempo parziale in equivalenti a tempo pieno)

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Il concetto è chiaro: si lavora di meno, si lavora peggio. E ciò ha una conseguenza precisa: si guadagna meno. Tanto che in molti emigrano.

E qui viene in aiuto direttamente l’Istat, che il 3 Maggio scorso ha pubblicato il report “Il futuro demografico del paese”. Lo studio riporta le proiezioni della popolazione residente in Italia al 2065.

Questa la sintesi dello scenario mediano in quell’anno: 54,1 milioni di abitanti vs 60,6 milioni nel 2017. Non solo 6,5 milioni in meno ma anche una composizione culturalmente molto diversa dall’attuale. Così diversa da portarsi dietro potenziali problemi di convivenza e tenuta sociale.

L’Istat, nei prossimi 48 anni, prevede infatti l’arrivo in Italia di 14,6 milioni di immigrati (poco più di 300mila all’anno).

Ovviamente (purtroppo) ci saranno anche persone residenti sul territorio nazionale, cittadini italiani e non, che si trasferiranno all’estero (alcune ragioni del perché ci si sposta le avete viste sopra): il saldo migratorio sarà secondo l’Istat positivo per 165mila unità all’anno.

 

Assumiamo che ben il 30% dei 14,6 milioni di immigrati previsti o dei loro discendenti a sua volta abbandoni l’Italia da qui al 2065. Ne rimarranno sul territorio nazionale 10 milioni. A cui si aggiungono i 5 milioni di stranieri attualmente residenti.

 

Quindi, questo il quadro nel 2065:

  • 54,1 milioni di residenti
  • 15 milioni di origine straniera (prima, seconda, terza generazione), il 27,7% del totale
  • 39,1 milioni di origine italiana, il 72,3% del totale

 

Tutto questo in appena 48 anni e con nuovi residenti per lo più di origine africana ed asiatica in considerazione dei flussi in essere.

Si pone una questione politica non da poco: alla luce dei volumi in ballo, si tratta di immigrazione o sostituzione di popolazione? Con quali conseguenze sociali?

I precedenti storici con numeriche di questa entità (USA) non sono incoraggianti anche a distanza di secoli e pur con un continente “nuovo” da popolare. I precedenti geografici più vicini (Francia e Belgio), con numeri inferiori, nemmeno.

 

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Gli autori di Vorrei
Ivan Commisso
Ivan Commisso

Vado per i quaranta, mi occupo di soluzioni pubblicitarie online in una grande concessionaria. La mia formazione universitaria è economica. Sono giornalista pubblicista e su Vorrei scrivo per lo più di economia perchè da lì verranno (ulteriori) problemi e su quel tema si dicono un sacco di fesserie. Nota Bene: mi piacciono le metafore, i dolci e la Calabria.

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