Globalizzazione e innovazione tecnologica strappano dalla povertà milioni di persone in ogni parte del mondo, ma creano anche disuguaglianze e insicurezza, alimentando una sempre più diffusa opposizione. Le ricette di Rich Lesser, presidente del Boston Consunting Group (BCG)
Con il titolo “Taking care of losers, that is saving globalization and technology from themselves” (“Prendersi cura dei perdenti, così è possibile salvare la globalizzazione e la tecnologia da loro stesse”) Rich Lesser, presidente del Boston Consunting Group (BCG), una tra le più autorevoli società di consulenza che alimentano le strategie delle aziende multinazionali, insieme agli strategist Martin Reeves e Johann Harnoss, dà ai suoi clienti un indirizzo rivoluzionario.
La premessa è che globalizzazione e innovazione tecnologica, se da una parte hanno recato enormi vantaggi all’umanità, strappando dalla povertà milioni di persone in ogni parte del mondo, dall’altra creano disuguaglianze e insicurezza crescenti, che alimentano una sempre più diffusa opposizione. Le disuguaglianze, infatti, inducono “i perdenti”, cioè coloro che dalla competizione globale e dai progressi tecnologici vengono progressivamente esclusi, a desiderare un ritorno al passato: barriere contro i prodotti stranieri e i flussi migratori, ostacoli alle tecnologie distruttrici di posti di lavoro, ritorno ai vecchi stati nazionali. Brexit docet.
Il BCG suona l’allarme per i suoi clienti: attenzione, questa deriva sarà distruttiva per gli stessi interessi delle grandi corporate. Occorre cambiare strada, andare in una direzione opposta a quella sin qui seguita.
Ed ecco in sintesi le sette strategie che il BCG propone per evitare che globalizzazione e progresso tecnologico, in sé positivi, producano veleni che alla lunga possono bloccare le magnifiche sorti e progressive del mondo:
1. Dare una diversa forma alla globalizzazione. “La forma della globalizzazione è stata sinora basata sulla conquista di nuovi mercati e sulla creazione di catene produttive internazionali finalizzate a ridurre i costi”. Il risultato è stato quello delle delocalizzazioni selvagge, distruttive di posti di lavoro nei paesi sviluppati e basate sullo sfruttamento dei lavoratori nei paesi arretrati.. Citando Jeft Immelt, numero uno di General Electric, gli autori sostengono che il modello del futuro dovrà puntare sulla valorizzazione delle capacità delle persone in ogni parte del mondo, piuttosto che sulle differenze nel costo del lavoro.
2. Sostenere gli ecosistemi imprenditoriali. Per diversi decenni abbiamo assistito alla concentrazione della attività economiche in gruppi sempre più grandi, con un declino delle nuove iniziative imprenditoriali (startup). In futuro occorrerà fare il contrario: favorire la creazione di sistemi d’imprese, basati sulla collaborazione di migliaia di soggetti anche individuali. Questi ecosistemi potrebbero favorire la riduzione delle disuguaglianze e la sopravvivenza diffusa di attività produttive, la partecipazione di piccole imprese e lavoratori autonomi al progresso tecnologico, combinando occupazione e innovazione. Gli aspiranti imprenditori diventeranno compartecipi dello sviluppo. Orientamenti in questa direzione sono già in atto: le principali imprese energetiche (tra cui la nostra ENEL) stanno investendo in reti diffuse di fonti energetiche alternative alle grandi centrali, dando ragione alla visione proposta anni fa da Jeremy Rifkin (una internet dell’energia), allora apparsa come utopistica . La Toyota è all’avanguardia di questi sistemi nel settore delle auto. Del resto, aggiungo io, i distretti produttivi diffusi nel nostro Paese sono modelli storici di questi sistemi d’imprese, evidentemente con un grande futuro.
3. Fare leva sulla tecnologia dall’esterno, e non dall’interno dell’impresa. Se si parte dalle esigenze organizzative dell’impresa, puntando sull’efficienza e sulla ottimizzazione dei processi interni, l’esito inevitabile è l’espulsione di lavoratori. Ma questo modo di procedere è miope e fa perdere grandi opportunità. Occorre invece partire dall’obiettivo di creare valore per il cliente, di avviare attività innovative che richiedono lavoro, migliorando le condizioni di vita della gente. In sostanza, dare risposta alla vasta e inesplorata marea dei bisogni insoddisfatti, a vantaggio di milioni di persone.
4. Investire in capitale umano. il continuo cambiamento e la crescente diversità delle attività produttive esigono che le persone siano capaci di aggiornare le proprie capacità a un ritmo più veloce. Le imprese private possono trarre profitto, anche in collaborazione con le istituzioni pubbliche, dal favorire questi cambiamenti. ”Riteniamo anche di grande importanza che i leader delle imprese siano sostenitori appassionati e coerenti nel promuovere l’accesso all’istruzione di alta qualità di persone di ogni età e di ogni livello di reddito”.
5. Pensare l’impresa come orientata alla società. Le imprese dovrebbero avviare delle attività produttive orientale alla soluzione di problemi sociali, collaterali ai loro core business (attività principali) ma capaci di rinforzarli, e quindi ben diverse da quelle filantropiche, estranee alla missione propria dell'impresa, spesso insostenibili. Muhammad Yunus, creatore della Grameen Bank, che ha lanciato in India un sistema di finanziamento delle attività delle donne in condizioni di povertà in villaggi sperduti, viene citato come esempio; così come la Danone, che ha finanziato una rete di microimprese produttrici di yogurt a livello locale, la Essilor (produttrice di lenti da vista a prezzi accessibili per i meno abbienti), la Safaricom, (trasferimenti di denaro via cellulare, adottati dal 70% degli adulti in Kenia). Il premio Nobel Amartya Sen viene considerato come il guru di questa nuova politica economica d’impresa a livello globale.
6. Bilanciare e allineare il riconoscimento dei meriti dei dipendenti. I leader dovrebbero occuparsi direttamente del come i collaboratori valutano i propri meriti, la correttezza dei riconoscimenti, le opportunità per tutti di salire di livello. Questo orientamento indurrebbe molte imprese a dedicare maggiore attenzione e un migliore trattamento del personale meno pagato, aumentandone l’autostima, la motivazione, il contributo creativo.
7. Rinnovare, possedere e trasmettere una visione. Traduco così il titolo “Renew and own the narrative”, perché in italiano il significato della parola “narrativa”, anche se molto di moda, è inteso cinicamente come puramente formale e manipolatorio. Gli autori osservano che “nei consigli di amministrazione, tra gl’investitori, i potenziali acquirenti vige una tremenda pressione a focalizzarsi sui profitti di breve termine e sui guadagni di capitale”. Qualcosa di analogo, io direi, avviene per i leader politici, attenti soprattutto ai sondaggi di opinione alla ricerca del consenso immediato. La “contro-narrativa” che emerge da questi comportamenti ha effetti deleteri sull’opinione pubblica: la fiducia verso le élite crolla, esse sono sempre meno ascoltate e credute, la globalizzazione e l’innovazione tecnologica, invece di essere apprezzate nei loro aspetti positivi, vengono addirittura demonizzate. Nel vuoto di visioni ampie e lungimiranti, prosperano le controstorie basate sull’istinto, la paura, le emozioni. “E’ giunto il tempo per i leader di assumere un atteggiamento attivo e non difensivo, di presentare visioni credibili, inclusive, capaci di ispirare fiducia, sia per la guida della società civile sia per la condivisione di benefici e di opportunità al suo interno”.
Quanta probabilità di essere tradotti in realtà può essere attribuita a questi indirizzi che il BCG rivolge direttamente ai vertici delle grandi imprese? Ovviamente non è il caso di farsi grandi illusioni, ma non è neanche razionale affossarli nello scetticismo, come è purtroppo costume soprattutto nel nostro Paese. Personalmente ho sempre pensato che i “poteri forti”, di cui le multinazionali fanno parte a pieno titolo, debbano essere oggetto di regole e controlli a tutti i livelli, più che combattute come nemici del genere umano. Gli scontri attualmente in atto tra le multinazionali e diversi paesi sui domicili fiscali, con l’Unione Europea che agisce efficacemente in questo campo, sono un un esempio fisiologico della logica “Regola e Controlla”, propria dei sistemi democratici. La trasparenza dei comportamenti, che l’informatizzazione rende sempre più possibile, dovrebbe facilitare enormemente, in futuro, questa regola.
Il vero avversario, a mio parere, sta nei “poteri oscuri”, che vanno dalla finanza speculativa alla criminalità e si annidano in tutte le strutture, private e pubbliche, tanto che sarebbe errato individuarle in particolari aziende o istituzioni, comprese le banche. Occorre individuarli e colpirli inesorabilmente, come incita efficacemente Il neo premio Nobel per la letteratura Bob Dylan, nella splendida e feroce canzone “Masters of war”:
"E guarderò mentre verrete calati
nella vostra bara
E starò lì davanti alla fossa
Finché sarò sicuro che siete morti".