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Aldo Cazzullo tratteggia i contorni di una Torino lontanissima da quella che di recente ha visto sfidarsi Fassino e Appendino per la carica di sindaco. I ragazzi di via Po. 1950-1961 quando e perché Torino ritornò Capitale.

Il 20 febbraio scorso è morto Umberto Eco, certamente l’autore italiano con il maggior numero di pubblicazioni comodamente reperibili in libreria. Alcuni tra suoi libri sono già disponibili sotto le insegne della nuova casa editrice La Nave di Teseo, di cui Eco è stato uno dei fondatori, ma la maggior parte di essi (tra cui tutti i romanzi) fanno ancora parte del catalogo della casa editrice Bompiani. In ogni caso, procurarsi oggi un qualsiasi saggio di Eco - anche uno di quelli scritti negli anni Sessanta come per esempio Opera Aperta - non è un problema, e non lo sarà nemmeno in futuro.

Se per i libri “di” Eco dunque siamo a posto, per i libri “su” Eco non siamo messi ancora bene. Intendiamoci: in giro ci sono studi per esempio sulla sua narrativa e studi parziali su alcuni suoi interessi, come per esempio la sua semiotica. Inoltre, per una visione più generale, sono anche disponibili almeno un paio di “profili critici”, che è il modo elegante di chiamare le biografie intellettuali di filosofi e di scrittori.

Quello che però manca ancora è una biografia vera e propria. Una grave lacuna che prima o poi, ne siamo certi, qualcuno si incaricherà di colmare. Per scrivere una sua biografia, questo qualcuno non potrà però che partire, come si deve fare in ogni biografia che si rispetti, dal contesto in cui Eco si formò intellettualmente e umanamente: Torino; la Torino degli anni Cinquanta per la precisione, quella del boom economico e dell’immensa ondata migratoria proveniente dal meridione d’Italia.

In questo senso una sorta di “lavoro preparatorio” potrebbe essere considerato il libro che vi consiglio questo mese: I ragazzi di via Po: 1950-1961 quando e perché Torino ritornò Capitale, di Aldo Cazzullo.

Il titolo, lo capite da soli, fa un po’ il verso al celebre I ragazzi di via Panisperna, uno sceneggiato - oggi si chiamano fiction - del 1989 di Gianni Amelio che raccontava le vicende del giovane pool di scienziati (Majorana, Pontecorvo, Segrè, Arnaldi, Rasetti) che nella Roma degli anni Trenta del XX secolo si coagulò attorno alla figura di Enrico Fermi e che portò a compimento scoperte sensazionali nel campo della fisica atomica.

Richiamandosi a questo illustre precedente, il libro di Cazzullo tratteggia le storie di un gruppo fantastico di ragazzi e di professori che si incontrarono nella Torino degli anni Cinquanta. Nel collegio universitario di via Gallinari in quegli anni si formò infatti una vera e propria “generazione di fenomeni” di studenti: Umberto Eco, Claudio Magris, Edoardo Sanguineti, Furio Colombo e Gianni Vattimo. Altri “ragazzi” di grande avvenire frequentavano inoltre la città in quello stesso periodo: Saverio Vertone, Gianpaolo Pansa, Pietro Citati, Giovanni Arpino, Enzo Tortora, Giorgio Bocca, Piero Angela. E poi ancora Calvino, Einaudi, Fruttero & Lucentini, Bollati e Ceronetti. Ma sto dimenticando senz’altro qualcuno. E i professori non erano da meno: Getto, Bobbio, Abbagnano, Viano, Del Noce e Payreson.

 

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Cazzullo abbozza svariate biografie di questi personaggi, tra le quali quella più importante e che occupa il maggior numero di pagine è proprio quella di Eco.

Si scoprono così gustosi aneddoti sulla sua vita, che accenno soltanto, per non rovinare il gusto della lettura personale: si va da quando Eco fu costretto a seguire un corso di dizione in Rai, a quando si fidanzò con Enza Sampò, dal suo litigio con il suo maestro Payreson al suo successivo riavvicinamento, dai ricordi del servizio militare alla confessione dell’esistenza di suoi diari fino ad oggi inediti.

Questo però è uno di quei libri dove ad essere importante è anche il sottotitolo: 1950-1961 quando e perché Torino ritornò Capitale. E sì, la vera protagonista del saggio di Cazzullo è la città di Torino perché, negli anni Cinquanta, Torino seppe esprimere tali eccellenze e avanguardie in tutti i campi, da poter essere davvero considerata la capitale intellettuale d’Italia.

Dalle pagine del saggio di Cazzullo emerge inaspettatamente il ritratto di una città vivacissima dal punto di vista politico e intellettuale, molto aperta alle avanguardie e alla sperimentazione tecnologica e artistica. Si trattò di momento magico, di quelli irripetibili e non riproducibili a comando, in cui tutto gira per il verso giusto, anche per un po’ di fortuna.

I capitoli dedicati alla Torino degli anni Cinquanta e alle sue eccellenze sono parecchi - tutti quelli iniziali, che riguardano la casa editrice Einaudi; la Fiat; il Partito Comunista Italiano; il teatro, la musica e il design d’avanguardia; la Rai - e preparano il terreno agli ultimi capitoli che invece trattano specificamente delle vicende di quella “generazione di fenomeni” di cui dicevamo prima.

Quello dedicato alla Rai, che nasceva in quegli anni proprio a Torino, è per esempio un capitolo interessante. Eco vi collaborò, e l’esperienza in Rai sarà molto importante nella sua successiva produzione scientifica che in parte si occupò – come è noto – dello studio della cultura di massa.

Cazzullo ha fatto un lavoro con i fiocchi. Anni dopo - la prima edizione di questo saggio è del 1997 - sulla scorta di questo lavoro ne scriverà uno ancora migliore sulla storia di Lotta Continua, il movimento extraparlamentare di sinistra. E i capitoli dedicati in questo libro alla Fiat e al Partito Comunista Italiano  verranno poi ampiamente utilizzati in quel saggio. Inoltre, la scrittura di questo saggio fu il primo banco di prova per il suo metodo di lavoro che verrà affinato nei libri successivi, ma che è qui già abbastanza evidente. Un metodo di lavoro fatto di accurate consultazioni di archivio e di una valanga di interviste ai protagonisti dei fatti narrati. Un lavoro faticoso, ma che a suo tempo fu ripagato. A seguito della pubblicazione di questo saggio, l’avvocato Gianni Agnelli volle infatti incontrare l’autore del libro e… gli offrì un posto alla Stampa.

Un’ultima osservazione.

In filigrana mi par di vedere, ma non vorrei esagerare, anche qualche spunto per riflettere sulla Torino di oggi, che è politicamente appena uscita da un’esperienza di governo locale che aveva una tradizione vecchia di decenni e che a sua volta affondava le proprie radici nella Torino degli anni Cinquanta, quella dell’Einaudi e del Partito Comunista, dell’Università e della FIAT. Era una città di eccellenze, e nche di élite.

E proprio nella recente campagna elettorale che ha contrapposto Appendino e Fassino il discorso sulla élite torinese è tornato più volte alla ribalta. La “casta torinese” è stata indicata da alcuni come l’ostacolo che ha impedito il ricambio della classe dirigente cittadino negli ultimi anni. Io penso che però di fondo ci sia stato uno slittamento semantico - che si verifica quando si usano le stesse parole per designare concetti diversi - e che da qui si sia generata una gran confusione.

Mi spiego meglio. Negli anni Cinquanta a Torino si poteva “accedere” a Bobbio e a Einaudi; poteva accadere che a un concorso indetto dalla Rai vincessero sconosciuti come Eco e Vattimo; poteva accadere che un ragazzo che stesse ancora facendo il militare inviasse un proprio manoscritto a una casa editrice e che questa lo accettasse senza nemmeno aver conosciuto di persona l’autore (Arpino); poteva accadere che la casa editrice che pubblicava Gramsci e Adorno pubblicasse anche le tesi di due neolaureati (Magris e Salvadori); poteva accadere che si vincesse il concorso per una cattedra universitaria a venticinque anni; poteva accadere che Agnelli leggesse una relazione - che smontava un documento di Confindustria - scritta da un impiegato, che ne volesse conoscere l’autore e che lo facesse diventare il suo collaboratore per eccellenza (Chiusano) .

via Po copertinaIl punto centrale è proprio qui. Torino era certamente una città che aveva delle élite ma non era una città elitaria perché la élite era selezionata per merito e non per censo, e quindi essa non aveva come scopo quello di perpetuare sé stessa ma - sottoposta alla pressione di un possibile ricambio - aveva come obiettivo il “fare”, il “dimostrare” e soprattutto “l’eccellere”. Tutti gli intervistati da Cazzullo concordano infatti su un punto: in quegli anni si studiava e si lavorava moltissimo.

Ma per chi si impegnava c’erano chance, possibilità e speranze. Pare che questo sia il maggior tratto distintivo della Torino degli anni Cinquanta che sia andato perso nella Torino di oggi.

Aldo Cazzullo, I ragazzi di via Po: 1950-1961 quando e perché Torino ritornò Capitale, Mondadori, pp. 296, 11,00 euro

Gli autori di Vorrei
Juri Casati
Juri Casati

Classe 1975, lavora in un'Agenzia per il Lavoro. Laureato in Filosofia, è autore di numerosi racconti di genere horror, gotico, fantastico e fantascientifico. Coltiva interessi in ambito storico e di filosofia della scienza

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