L'installazione “The Floating Piers” dell'artista bulgaro in questi giorni sta generando molta curiosità e molte critiche, così siamo andati a vedere che succede nel lago d'Iseo.
Partiamo dal fatto che mi è molto cara Montisola, per tante ragioni, affettive e razionali. Lì vado a rifugiarmi quando il lago sembra di perla durante l'inverno, lì porto gli studenti a zampettare e fotografare all'inizio di marzo. Si tratta di un'area centrale e marginale allo stesso tempo: al centro della geografia prealpina – aula all'aperto, come poche altre – sufficientemente lontana dal mondo contemporaneo. Aggirandosi sull'isola, in un quieto mattino di inizio primavera, ci si imbatte in un mondo semplice al riparo dalle insegne del progresso. Maestri d'ascia, artigiani dell'imbarcazione, sardine appese ad essiccare, pescatori che rammendano reti. Alla panetteria dietro al porticciolo di Peschiera Maraglio non c'è mai coda: si entra, si sceglie, si fan due parole e si esce. In alto all'isola - che è la più grande in Europa tra quelle lacustri - il Santuario della Ceriola. Intorno, osserva la vita degli uomini in silenzio la corona delle Alpi.
Ci si perde tra i borghi, si avverte il silenzio; passeggiando tra le viti ancora a riposo, in attesa di giornate con più ore di luce, si annusano odori: quello salmastro dell'acqua di lago e quello di terra umida che scende dal bosco. E' luogo di sensazioni lievi Montisola.
Quest'anno, passeggiando a febbraio, un elemento nuovo ha richiamato il mio sguardo: lungo il lago un cartellone pubblicitario annunciava l'arrivo di Christo, artista bulgaro tra i maggiori rappresentanti della land art. Lì per lì ho distrattamente pensato: un'idea che contribuirà a rendere merito al luogo.
Passano un paio di mesi e, incuriosito, seguo sui giornali, anche americani, la preparazione del grande progetto, con un misto di stupore e timore. Timore che un luogo delicato debba affrontare un'onda violenta, di quelle che la vita placida del lago non conosce. Passano i giorni, si arriva alla inaugurazione e si manifestano subito i primi disagi. Le critiche si levano da più parti, esperti di arte e tecnici.
Resisto quarantotto ore e poi decido di applicare una delle sacre regole della disciplina: verificare le fonti. Con me viene Riccardo, un mio ex studente di qualche anno fa appassionato di cose geografiche. Sembra opportuno confrontare le impressioni.
Decidiamo di puntare su Adro o Provaglio d'Iseo, piccole stazioni di campagna della linea che da Brescia arriva a Edolo fiancheggiando il lago d'Iseo. Partiamo alle cinque del mattino e arriviamo alla stazione per prendere il primo treno di giornata. Svoltato l'angolo per accedere alla banchina, il primo shock: è assiepata di turisti. Poco dopo, il trenino a tre vagoni arriva carico come la metropolitana di Tokyo alle sei di sera. Non è fisicamente possibile comprimere ulteriormente la massa dei viaggiatori, sicché, alcuni lavoratori, che si fanno largo tra i turisti, iniziano a protestare contro il capotreno. “Noi dobbiamo andare al lavoro, è una vergogna”. Il capotreno: “Mettetevi il cuore in pace, per quindici giorni sarà così o peggio”.
Il prossimo convoglio è previsto un'ora dopo, ma ci immaginiamo la stessa situazione. Decidiamo allora di prendere un bus da uno dei grandi parcheggi indicati dall'organizzazione: i pullman partono già gremiti ed è solo l'alba di lunedì.
Riusciamo a mettere piede sulla passerella dorata alle 8 passate. L'installazione è affascinante, un lampo giallo nel blu; camminandoci sopra sembra di esser cullati dal respiro del lago. In men che non si dica, però ci sono troppe persone, e poi bancarelle, chioschi della birra, porchettari. I timidi profumi dell'isola sono coperti dall'odore di fritto e carne grigliata. Il cammino incespica in continuazione tra selfie, foto di gruppo e bagnanti stesi a prendere il sole. Dopo un giro decidiamo quindi di lasciare la bolgia e scalare il dorso dell'isola. Lungo i sentieri bellissimi che portano in alto - dove l'opera di Christo potrebbe essere ammirata in un solo colpo d'occhio nella sua interezza - non c'è nessuno.
Penso alla signora che urlava al capotreno e guardo i sentieri dell'isola senza escursionisti. Mi confronto con Riccardo per provare a capire cosa non torna. Non cogliamo fino in fondo le intenzioni dell'artista, ma la maggior parte delle critiche che ci vengono in mente si rivolgono verso chi ha scelto di ospitare un'installazione di questa portata senza preparare un contesto, finendo per ridurla ad una mera operazione di marketing territoriale; per giunta mal fatta. Si poteva promuovere il lago d'Iseo, si finisce col promuovere nemmeno Montisola. Il popolo è li per la passerella e lo dimostra il fatto che non c'è nessuno fuori di lì. Nessuno.
Criticare chi organizza è sempre semplice e non è un'attività affascinante. Ma da persone che si interessano di territori, viene da chiederci perché sui materiali distribuiti ai turisti non compare nemmeno una mappa con i sentieri e i luoghi dell'isola? Non sarebbe stato più sostenibile distribuire i flussi creando un sistema di collegamento e informazione tra le molte altre attrattive naturalistiche e artistiche del lago?
Sarebbe stato bello passeggiare sui sentieri di Montisola e poi nelle torbiere del Sebino, lungo la panoramica via Valeriana, visitando le Piramidi di Zone. Attrattive che sono a dieci minuti da Sulzano e Monte Isola. Invece niente.
Se proprio tenete a camminare sulle acque, il mio consiglio è di recarvi a Sulzano di notte, sperando in meno congestione e più suggestione. Ancor meglio, prendetevi un giorno per venirci in autunno, quando il lampo e l'orda d'oro saranno solo un'eco lontana dell'estate.
Il file rouge tra le opere di Christo
Dopo gli esordi legati al gruppo dei Nouveaux realistes francesi, Christo, in coppia dagli esordi con la moglie Jeanne-Claude, passò dalla realizzazione di opere di piccole dimensioni a progetti su scala monumentale. I suoi primi assemblaggi erano infatti costituiti da oggetti coperti di cellophane e legati tra loro con corde o strisce di pezza, secondo la logica ormai nota del ready made. In breve tempo essi uscirono dallo spazio circoscritto della galleria per approdare a quello di un ambiente all'aperto: dalle calcolatrici e dai tavolini con soprammobili coperti, l'artista passò a "impacchettare" monumenti, edifici e persino isole e intere vallate.
Nell'artista bulgaro questa "ansia di espansione" ha coinciso con il precisarsi di uno specifico criterio concettuale, legato ai meccanismi della percezione e giunto infine ad investire la sfera del dialogo tra l'opera e il paesaggio. Ragionando sull'idea di "pacco" come strumento utile a nascondere e a cambiare i connotati di un luogo conosciuto, l'artista è approdato alla convinzione che solo sottraendo il luogo alla vista, il pubblico avrebbe potuto tornare a percepire una realtà ormai invisibile nel quotidiano, poiché data per scontata. Ecco il "velare per rivelare". In questo modo Christo agisce arbitrariamente sul paesaggio, naturale o umano, come fosse un'enorme tela, elaborando un'originale interpretazione della poetica della Land Art.
© Fulvio Fontana
Altro fondamentale carattere del lavoro di Christo è quello temporale: le spettacolari installazioni dell'artista restano infatti in vita di norma poche settimane prima di essere smantellate per sempre. Si tratta di un ulteriore ragionamento sul carattere effimero dell'arte, in cui anche le dimensioni del ricordo e della memoria entrano a far parte della logica della creazione.
Isabella Maggioni, docente di Storia dell'Arte