BandAutori 27. In questo numero la poesia di Dino Campana rivisitata in musica da Massimiliano Larocca e il ritorno, all'insegna della spiritualità, di Juri Camisasca con Rosario Di Bella. Per "Libri che suonano" Primo Moroni, ma anche il rapporto tra musica italiana ed americana.
Massimiliano Larocca “Un mistero di sogni avverati. Massimiliano Larocca canta Dino Campana” (Brutture Moderne/Audioglobe)
Tanto di cappello. Intrigante scommessa quella di mettere in musica i “Canti Orfici” e altre poesie di Dino Campana: artista visionario, bistrattato, ignorato e superficialmente liquidato come matto quando era in vita. Poi pian piano rivalutato, addirittura osannato. Massimiliano Larocca è un raffinato musicista che sa cogliere respiri e se ci sono petali caduti, lui li raccoglie. E li dona agli ascoltatori. E’ al suo quinto album e Dino Campana è un po’ il suo pallino, visto che alcuni anni fa incise un altro EP a lui dedicato. “Un mistero di sogni avverati” è animato da una sete di conoscenza che è sinonimo di trasparenza. Tutta riconoscenza e sentimento. Accanto al “tifo sfegatato” ci sono il “contromano”, l’azione folk (tanto rispettosa delle tradizioni quanto propensa all’agire fiero, individuale, autoriale). E capace di non essere soltanto un’agenda ricolma di appunti e annotazioni. Dritti sparati, si va alla ricerca di una credibilità che più che sfogo è spostamento: dal margine al centro. Un fraterno abbraccio ad un poeta costretto più volte alla solitudine e che scrisse di venti che sussurravano, cuori non sazi (anzi, insaziabili e per la scrittrice Sibilla Aleramo, con la quale ebbe una turbolenta storia d’amore), sere fatue, cammini ondulatori, onde volubili, dolci scricchiolii (mentali e non), rose appoggiate là e dimenticate. Album egregiamente suonato, arrangiato e tutto d’un fiato. E’ una sorta di “grande manovra”. Nel suo essere “esercizio” storico, sociale, esistenziale. Nella sua genuinità stupisce e fa meditare. Piacciono il piglio disinvolto, il “lato proibito”, il giostrare. A coadiuvare Massimiliano Larocca, ci sono Riccardo Tesi (organetto diatonico, tastiere) e che ha un ruolo fondamentale nell’intero svolgimento, Antonio Gramentieri (chitarre elettriche e acustiche), Diego Sapignoli (batteria, percussioni). Non mancano ulteriori ospitate: le voci recitanti di Nada in “La sera di fiera” e di Hugo Race in “Il russo”, mentre Cesare Basile presta la voce in “Poesia facile”, una delle migliori canzoni del disco. Fanno centro anche “La petite promenade du poète”, “Batte botte”: entrambe profonde, luccicanti, relazionali. Tutto è di gran livello. Un invito a registrarsi tra le fila della fantasia. Voto: 8 (Massimo Pirotta)
Juri Camisasca & Rosario Di Bella “Spirituality” (Creazioni Artistiche Musicali)
La storia di Juri Camisasca è una delle più particolari all’interno della musica italiana, da ottimo allievo di Battiato negli anni ’70 fino alla vita monastica con qualche ritorno musicale di tanto in tanto. Prima che Rosario Di Bella lo convincesse ad incidere questo disco era infatti dal 1999, dai tempi di “Arcano Enigma” che Juri non faceva uscire un disco a suo nome, anche se negli anni qualche collaborazione (con lo stesso Battiato in particolare) l’ha concessa. Come ha fatto Rosario, cantautore siciliano dalla carriera più orientata al pop rispetto a quella di Juri, a convincere Camisasca? Proponendogli un disco a tema religioso e spirituale, in linea con le sue scelte musicali e di vita. Il tema portante dell’album è infatti, come descritto già dal titolo, la spiritualità. L’argomento è affrontato cercando di unire sonorità moderne ed antiche, ad esempio i canti gregoriani e l’elettronica in “Deus Meus”, così come il pop e la ricerca musicale del Novecento, e qui emergono similitudini con il maestro dichiarato Battiato come in “Se incontri il Buddha…” e “Space And Flowers”, con il fine ultimo di trovare il sacro dentro e fuori di sé. Il risultato è molto buono, grazie agli arrangiamenti particolarmente curati e alla classe che contraddistingue i due interpreti, fuori dal tempo e in particolare da questi tempi. A volte forse si esagera con le mescolanze, ad esempio nel reggae/dub gregoriano di “Cogli l’essenza”, ma la sensazione anche in questi casi è che gli autori avessero una grande convinzione e una certa ingenuità, come in quei dischi anni Settanta di cui “Spirituality” può essere visto come un erede. In virtù di quanto detto il disco non è di facile ascolto per un pubblico generalista e al giorno d’oggi anche per quello “alternativo”, ma merita una possibilità proprio per questo suo essere totalmente alieno, per confrontarsi almeno una volta con qualcosa di diverso in un mondo discografico appiattito, dove la mediocritas sempre meno aurea detta legge in ogni campo. Voto: 7 (Fabio Pozzi)
TOP 5. I dischi, di ieri e di oggi, più ascoltati negli ultimi giorni
Motta “La fine dei vent’anni”, La Batteria “Tossico amore”, Franco Battiato “La voce del padrone”, Carnival Of Fools “Blues Get Off My Shoulder”, Uzeda “Out Of Colours” (Massimo Pirotta)
Paolo Saporiti “Paolo Saporiti”, Riccardo Sinigallia “Per tutti”, Giancarlo Frigieri “Distacco”, 3 Fingers Guitar “Rinuncia all’eredità”, Riccardo Lolli “Fuori catalogo” (Fabio Pozzi)
Novità, ristampe, prossime pubblicazioni discografiche
Afterhours “Folfiri o Folfox”, Ainè “Generation One”, Alan Sorrenti “Come un vecchio incensiere all’alba” (LP), Alessandro Lanzoni “Diversions”, Angelo Branduardi “Da Francesco a Francesco. Il cantico di Frate Sole”, Ambra “T’appartengo” (LP), Anudo “Zeen”, Cara “Respira”, Chiara Grispo “Blind”, Claudio Coccoluto “The Dub 107” (LP), Deus Ex Machina “Devoto”, Emmanuelle “L’uomo d’affari” (LP), Erri “Dentro la stessa tempesta”, Franco D’Andrea Electric Tree “Trio Music Vol.1”, Franco J. Marino “C’è una vita nuova” (EP), Furio “Furiology”, Garybaldi “Storie di un’altra città”, Gegè Telesforo “FunSlowRide”, Gerardo Balestrieri “Canzoni nascoste”, Giulia Calì “Giulia sta bene”, Glauco Venier “Miniatures”, Il Mucchio “Il Mucchio” (LP), Juri Camisasca & Rosario Di Bella “Spirituality”, Kings Of The Opera “Pangos Sessions”, Kotiomkin “Squartami tutta (Black Emmanuelle Goes To Hell)”, Luigi Mariano “Canzoni all’angolo”, Matteo Addabbo Organ Trio “Bugiardi nati”, Orax “Cometa”, Paolo Conte “Live Collection” (7cd box set), Paolo Siani Feat. Nuova Idea “Faces With No Traces”, Radio Days “Back In The Day”, Romina Capitani “Isola jazz”, The Lemon Squeezers “Pop Hurt”, Verano “Verano”, Autori vari “Musicultura” (m.p.)
Libri che “suonano”
La generazione del Dopoguerra. I giovani che avevano 15 o 16 anni all’inizio degli anni ’50 avevano uno scarso interesse per la guerra vissuta da bambini. Più che altro avevano una percezione della paura, quando ne avevano una reale consapevolezza. Si trovano di fronte una società fortemente bloccata, nel senso che, a seconda della classe cui appartengono e tenuto conto del grado di istruzione e avanzamento sociale, sono destinati inevitabilmente a ripetere il mestiere dei genitori, operaio, commerciante, ecc. In quegli anni, tuttavia, si sviluppano i primi elementi della generazione della “rivolta esistenziale”, ci si comincia a chiedere: qual è il senso della storia precedente? Perché le scelte individuali e collettive sembrano così predeterminate? Perché il futuro appare così bloccato? Questa situazione deve essere subita o può essere modificata. Questi giovani, in gran parte figli di proletari, frequentano le sezioni del Pci, che in quegli anni sono straordinari luoghi di aggregazione collettiva, aperte tutte le sere, generalmente con un bar, spesso con la bocciofila e la sala da ballo. Qui si mantiene, si alimenta e si sviluppa una speranza, l’utopia di cambiamento della propria condizione. (Primo Moroni)
Canzone americana. Crollate col fascismo le prevenzioni ideologiche, dopo la guerra la canzone americana dilaga in Italia. Un’accoglienza trionfale è riservata a quello che avrebbe potuto sembrare il genere meno adatto al gusto europeo: il rock’n’roll. Elvis Presley e Bill Haley – ma anche Little Richards, Fats Domino, Jerry Lee Lewis – cominciano a dominare le classifiche a partire dalla metà degli anni ’50. Dall’ascolto si passa prontamente all’emulazione: il primo festival di rock italiano si tiene al Palazzo del Ghiaccio di Milano, il 18 maggio 1957. Basta pensare che in Francia la prima manifestazione del genere è del 1961, per avere la misura dell’ansia di novità che animava in quegli anni i musicisti italiani più giovani. Con il rock’n’roll comincia a imporsi anche in Italia un modello di canzone indirizzata soprattutto a un pubblico di adolescenti, una musica che – da Celentano a Finardi – si presenterà come “ribelle”, come portatrice di valori di opposizione, e sarà sempre legata alle mode ma anche alle idee, ai comportamenti, ai movimenti giovanili. Più ancora che nei testi, la ribellione del primo rock italiano dà segno di sé nei ritmi, negli arrangiamenti e soprattutto nell’uso della voce e nei gesti. Nel proverbiale comportamento scimmiesco di Adriano Celentano, il gesto erotico che fonda il rock’n’roll si maschera e si trasfigura. “Elvis the pelvis” era il celebre soprannome di Presley: Celentano sarà molto più castamente – “il molleggiato”. Con lui, la “via italiana al rock” troverà nell’elemento comico, basso, carnevalesco, il punto di contatto col modello americano, d’altra parte, il rock in Italia – da Carosone a Zucchero, da Little Tony agli Skiantos – dovrà continuamente fare i conti con più o meno volontari effetti di parodia, e darà spesso l’impressione di essere – come il padre fondatore – più vicino allo spirito di Jerry Lewis che a quello di Jerry Lee Lewis. All’opposizione conservatrice dei difensori della tradizione melodica si affianca, negli anni ’60, una opposizione “di sinistra” alla nuova musica americana, che viene indicata come l’espressione della sottocultura borghese, del consumismo e dell’alienazione capitalistica. I primi a criticarla radicalmente sulla scia degli scritti di Theodor Adorno sono gli intellettuali torinesi del gruppo di Cantacronache, nei saggi raccolti sotto il titolo “Le canzoni della cattiva coscienza”, pubblicato nel 1964. La critica e l’opposizione all’imperialismo culturale americano acquistano però dimensioni veramente di massa negli anni ’70, con la crescita del movimento degli studenti e della nuova sinistra, e premono verso la creazione di una cultura musicale “alternativa”. Più che neutralizzare l’influenza della produzione americana in Italia, questa situazione privilegia al suo interno il modello della canzone “impegnata” portavoce dell’ “altra America”. La nuova canzone d’autore, da Francesco Guccini a Edoardo Bennato, da Francesco De Gregori a Eugenio Finardi, deve molto a Bob Dylan e in genere alla cultura musicale americana; ma anche nelle punte più estreme dell’alternativa – come il Nuovo Canzoniere Italiano – si possono riconoscere influenze più o meno dirette dell’etnomusicologia americana (Alan Lomax, per esempio) e del folk revival. (Umberto Fiori, da “Il dizionario della canzone italiana” a cura di Gino Castaldo, Armando Curcio Editore, 1990)
Sembrava non succedesse nulla. Negli anni ’50 la realtà operaia resta chiusa nei propri quartieri, si aveva la sensazione che non succedesse nulla. La vita era lavoro, casa, quartiere. Si veniva a conoscenza di qualche avvenimento internazionale, ma non più di tanto, per esempio non si aveva la percezione esatta di cosa fosse la Guerra di Corea. La sensazione generale era quella di un futuro bloccato, dominato da eventi in gran parte incomprensibili e a cui non si poteva partecipare. Veniva dunque tutto immediatamente dalla strada, nel gruppo di appartenenza, in amicizie formidabili. I figli degli operai e i giovani proletari mitizzavano la classe operaia intesa come modello morale, ma non come modello produttivo. Si consideravamo fondamentali gli operai in una prospettiva culturale e politica, ma tutto si desiderava tranne che andare a lavorare in fabbrica. Del resto non si può dire che lo stesso operaio avesse il mito della fabbrica, faceva le lotte sociali di tipo democratico perché il figlio non finisse in fabbrica. (da “La luna sotto casa” di John N. Martin e Primo Moroni, Shake Edizioni, 2007)