BandAutori 24. Fuoriclasse a confronto: Vinicio Capossela alle prese con le sue radici folk, Stefania Dipierro con Nicola Conte sulle orme del jazz e della bossa nova. Spazio poi a Battiato (secondo Bertoncelli) e alla guerra Skiantos-Elio
Vinicio Capossela “Canzoni della Cupa” (Warner)
Negli ultimi anni ho visto diversi concerti di Vinicio Capossela, e ogni volta che è annunciata una sua esibizione e mi trovo nei paraggi, mi precipito. Perché ogni suo show non è mai uguale. C’è sempre qualche sorpresa e poco importa se c’è un disco nuovo da promuovere e una scaletta che altrove deve essere rigorosamente programmata. Variabili, pescando dal suo ormai vasto repertorio, chincagliere scenografiche (un filo di lampadine attorno al collo e che si accendono ad intermittenza, un improvviso lancio di coriandoli), e poi: un cappello, un pianoforte, l’invito alla danza, alla festa. Una penna nel taschino della giacca pronta a stupire nel suo tratteggio istantaneo. Circondato da musicisti estrosi, quasi sensitivi. Capossela è sinonimo di musica intensa, mobile e che ama giocare con il suo essere apparentemente “stralunata”. Certo, un po’ di surrealismo c’è ma ben si accosta al vissuto personale, all’agire (auto)biografico che sa trasformarsi in rito collettivo. Nulla passa né svanisce. Con Capossela, le essenze rimangono tutte. Se entrano in gioco tradizioni, Lui scava nell’anima, ridà splendore, scruta terre, osserva sagome e personaggi. Irpinia e “Canzoni della Cupa”, un doppio cd, trenta canzoni meno una e riposizionate nel tempo. Nella società del controllo, la sua è una “manodopera contro”, tanto è imparentata con certa letteratura intuitiva, fisicità teatrale, imprevedibilità circensi. Senza trascurare un’invidiabile estensioni di suoni: ancestrali, seminali, folk. Forzieri ben custoditi, ora a disposizione. Contemporaneamente dilatati, stratificati, vestiti a “cipolla”. “Canzoni della Cupa” ha un primo e secondo tempo. La polvere che origina e nella quale ci ritroveremo. Lo stropiccio degli occhi, il legame con la terra. Quindi, le ombre. Magari affiliate a presagi, inquietudini, meraviglie. Stati d’animo che, con facilità, si sbriciolano se li disseziona con cura. Questo disco è un capolavoro. Per il suo nomadismo/epicentrico, per il suo frugare, per la sua schiettezza, per il suo essere spostamento di ciò che appare. Risulta del tutto inutile segnalare un brano piuttosto che un altro. Sono tutti belli, nella loro singolarità, nei loro perché, nel loro essere caparbiamente descrittivi. Apparizioni su apparizioni. Tra paganesimi, fedi, canti orali, roba che è stata, è, sarà. Rigogliosa per l’ennesima volta e provvista di neo-radicalità. Lingua di fuoco. Nell’affascinante avventura, fior di musicisti: Vincenzo Vasi, David Hidalgo, Steve Berlin, Giovanna Marini, Flaco Jimenez, Antonio Infantino, la Banda della Posta, i Calexico. Il migliore “apparato” per sedimentare canti di lavoro, odore del tabacco, ballate antiche, sonetti, ritratti al femminile, toni cavallereschi, seduzioni, serenate, ingiurie, amori, amanti, predicatori, guaritori, sposalizi, cimiteri, il Matteo Salvatore cantore dinamitardo-esistenzialista. Un treno su cui salirci sopra. Voto: 10 (Massimo Pirotta)
Nicola Conte presents Stefania Dipierro “Natural” (Far Out Recordings)
Nicola Conte e Stefania Dipierro sono in contatto fin dagli anni Novanta, quando Nicola guidava Fez, un collettivo musicale e non solo che tentò di portare una ventata di novità nel mondo culturale barese ed italiano aprendo una finestra sulle musiche altre che in quegli anni si stavano facendo largo nei migliori club ed etichette d’Europa. Negli ultimi vent’anni la loro vicinanza musicale non ha però mai trovato sfogo, se non in qualche brano in “Jet Sounds”, disco di Conte del 2000. Ora è finalmente giunto il momento per Nicola e Stefania di concretizzare la loro collaborazione, grazie a “Natural”, disco uscito per Far Out Recordings pochi mesi fa. Nei quattordici brani che compongono il disco, quattro originali e dieci preziose cover, i due musicisti dimostrano di saper maneggiare alla perfezione i verbi del jazz e della bossa nova, come già provato da Nicola lungo tutta la sua carriera da musicista, DJ e produttore. Sulle basi musicali create da Conte assieme ad un faraonico ensemble (Fabrizio Bosso, Mirko Signorile e Gaetano Partipilo tra i vari partecipanti) va poi a posarsi la voce della Dipierro, dalle mille sfumature e in grado di trasmettere elegantemente emozioni. Il disco diventa così un bigino del meglio della musica brasiliana e jazz a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta: tra gli artisti omaggiati ci sono infatti Gilberto Gil (“Maracatu Atômico”), Caetano Veloso (“Joia”, che chiude alla grande l’album) e Jobim (“Caminhos Cruzados”) per il lato sudamericano e Steve Kuhn (“The Meaning Of Love”) per quello settentrionale. Tra le cover vanno a inserirsi i quattro originali, che non sfigurano assolutamente sia a livello di scrittura che interpretativo, in particolare la title-track e “Ainda Mais Amor”, a dimostrare una volta di più la perfetta comprensione dei mondi sonori affrontati. Voto: 8 (Fabio Pozzi)
TOP 5. I dischi, di ieri e di oggi, più ascoltati negli ultimi giorni
Antonello Venditti “L’orso bruno”, Agorà Feat. Patrizio Fariselli “Boombook”, Enrico Ruggeri “Punk prima di te”, Verdiana Raw “Whales Know The Route”, Bernardo Lanzetti “Gente nervosa” (Massimo Pirotta)
Orchestra Bailam “Taverne, Café Amàn e Tekés”, Actores Alidos “Galanias”, Fabrizio Coppola “Una vita nuova”, Giuliano Dottori “Temporali e rivoluzioni”, Gerda “Your Sister” (Fabio Pozzi)
Novità discografiche, ristampe, prossime pubblicazioni
:absent (Ettore Bianconi) “Tetra”, Adamo “I miei successi”, Afterhours “Folfiri o Folfox”, Angelo Branduardi “Da Francesco a Francesco”, Armando Corsi “Cinquanta”, Calcutta “Mainstream” (deluxe edition), Consorzio Acqua Potabile “Coraggio e mistero”, Egisto Macchi “Biologia animale e vegetale”, Ennio Morricone “Amanti d’oltretomba” (LP), Fabri Fibra “Tradimento 10 anni”, Franco Battiato “Dieci stratagemmi” (LP), Giorgio Laneve “La mia più bella storia d’amore sei tu”, Il Castello di Atlante “Arx Atlantis”, Ivan Graziani “I lupi” (LP), Ivano Fossati “L’arcangelo” (LP), La Bottega del Tempo A Vapore “Il guerriero errante”, Lacuna Coil “Delirium”, Lisa “Rispetto 6.1”, Lucio Battisti “Il mio canto libero” (LP), Luigi Mariano “Canzoni all’angolo”, Luigi Tenco “Luigi Tenco” (LP), Mara De Mutiis “The Man I Love”, Marco Carta “Come il mondo”, Marco Tamburini “Isole”, Matteo Schifanova “Lo scapolo”, Mauro Molino “Inside” (LP), Max Gazzè “Maximiliano” (LP), Milva “Milva” (3cd boxset), Neon “My Blues Is You” (LP), Paolo Palopoli Quartet “Sound Of New York”, Pooh “Collection 5.0” (5cd boxset), Pooh con Riccardo Fogli “1966-1969”, Premiata Forneria Marconi “P.F.M. ? P.F.M. !”, Salmo “The Island Chainsaw Massacre”, Samantha Iorio “A Lady In Soul”, Samuele Bersani “La fortuna che abbiamo. Live (2cd+dvd), Stefano Bollani “Napoli Trip”, Stelvio Cipriani “Rhytmical Movement” (LP), Teodoro Anzelotti “Of Water Making Moan”, The Bidons “Clamarama”, Toto Cutugno “L’Italiano” (m.p.)
1976. Giusto, giusto 40 anni fa…
Franco Battiato “Mademoiselle Le Gladiator” – Qui c’è una delle migliori teste del pop (del pop?) italiano che muove alla ricerca di una propria identità. Con “Clic”, seduto nella tenda del presente ironico provocatorio, Franco Battiato aveva liquidato i vecchi fantasmi concedendo loro la possibilità di un ultimo valzer, Philip Glass, i notturni di Chopin, il rock della “pollution” avevano sputato l’anima sgombrando la strada da ogni sorta di ostacolo: si poteva costruire, a quel punto, era possibile un’avventura libera verso il non-Fetus, non-Aries della cosiddetta “maturità”. “Mademoiselle Le Gladiator” (disco nuovo costruito con amore, con pazienza, con ossessione, quasi) parte da quel punto per tirar su le nuove mura, pur non trovando qualche volta la necessaria chiarezza. I tre brani, profondamente diversi tra di loro ma pure uniti dal filo invisibile del “gusto mentale”, cercano la strada della libertà non definita, lanciandosi in avventure dove l’emozione ha lo stesso diritto di cittadinanza del logico ragionamento: se manca qualcosa è il fiato, non certo l’intelligenza, la capacità di arrivare sino alla fine mantenendo tutte le promesse seminate lungo il cammino. “Goutez et comparez”, il quadro centrale, riprende la trama indimenticabile di “Ethica Fon Ethica”, mescolando una impressionante serie di “banalità” con il semplice scopo di esorcizzarle nel momento stesso della cruda proposta. L’effetto è interessante, se non travolgente come nel celebre originale: brutture radiofoniche, fischi, sospiri, poesiole, marinetti sfilano ritmando la propria precaria esistenza, “musica” né più né meno di un gran concerto d’archi. Il rimprovero spontaneo, oltre il “colpo” di una pregevole intuizione, riguarda l’eccessivo diluirsi della materia: la giostra tastieristica finale aggiunge fuoco al dubbio, riproponendo gli spettri al color di Terry Riley che si credevano assassinati da un anno e più. “Canto Fermo” (dedicata a Riccardo Mondadori) e “Orient Effects”, “giochi proibiti” all’organo della Cattedrale di Monreale, cercano altri agganci con la realtà. Si bersaglia Klaus Schulze, nei densi minuti di quelle esperienze, si stravolge quell’ampia “magia” ormai banale, la si ubriaca facendo uso geniale dell’imperizia dello strumento. Il risultato (grappoli di suono “storto”, “armonici” in agguato dietro l’incredibile e il non previsto, grossa fiera creativa) è succoso, ma la vita si rallenta, il suono perde i contorni, lo gnomo della noia fa rapidi balzi in avanti spiegando la storia di un filo narrativo smarrito. C’è vita tra queste righe, c’è sangue musicale che solo vorremmo sistemato meglio: crediamo nel musicista e nel suo essere oltre ogni categoria, anche se forse il “disco ufficiale” della sua mente non è ancora stato messo in circolazione. (Riccardo Bertoncelli, “Gong”, febbraio 1976)
Libri che “suonano” (un estratto)
Una guerra fratricida: Skiantos vs Elio e le Storie Tese - Nel corso della stagione teatrale 2007, sul palco del Teatro Dal Verme di Milano, Freak Antoni, leader della storica band degli Skiantos, ed Elio, fondatore e frontman del gruppo Elio e le Storie Tese, si sfidano a singolar tenzone per concludere una lunga guerra fratricida combattuta per anni senza esclusione di colpi. In palio c’è non solo il diritto esclusivo del termine rock demenziale, coniato 15 anni prima dallo stesso Freak Antoni, ma anche il titolo del miglior gruppo rock della stessa scuola. Freak Antoni prende la parola per primo dando vita alla sfida, unica e irripetibile. Il teatro è stracolmo dei due rispettivi gruppi di fans. “Gli Skiantos hanno perseguito con ostinazione l’insuccesso. Noi siamo partiti dalle cantine per arrivare alle fogne. Siamo il gruppo che vanta decine, centinaia e probabilmente migliaia di tentativi di imitazione, tutti perfettamente riusciti, come ad esempio Elio e le Storie Tese”. Elio replica con classe, tenendosi alla larga dal citare la guerra fratricida fra Beatles e Rolling Stones o fra Duran Duran e Spandau Ballet. Tiene testa al più agguerrito rivale, trasformando la guerra in una sana e onesta rivalità sportiva. Ma certo la rivalità esiste da anni. Molti pensano che sia stata architettata ad arte come astuta campagna pubblicitaria, ma in realtà le due band hanno sempre saputo che c’era da dividersi un pubblico di seguaci che amano la commistione tra il rock e la comicità irriverente, per non parlare di una rivalità di campanile tra due città: Bologna, contaminata dal punk che fa a pezzi la tradizionale scuola della canzone cantautoriale emiliana, e Milano, più aperta al pop, che conta anche sulla tradizione del suo cabaret. La guerra viene ufficialmente dichiarata da Freak Antoni quando accusa i rivali di aver scippato un verso della canzone degli Skiantos, “MONOtono”, per dare il nome alla loro band: “Ho delle storie ragazzi, ho delle storie pese”. Le storie “pese” milanezzate in “storie tese”. Ci sono due ideologie opposte da difendere. La bandiera di Freak Antoni s’identifica col contro-accademismo musicale tendente a dividere i “bravi musicisti” da quelli che non sanno suonare. Non a caso lo slogan d’esordio degli Skiantos è assolutamente provocatorio: “Noi non sappiamo suonare”, che rifà un po’ il verso alla “grande truffa del rock’n’roll” in atto, negli stessi anni, dal gruppo punk dei Sex Pistols. Dice Freak: “Quando iniziammo a suonare nella seconda metà degli anni ’70 era obbligatorio saper cantare e saper suonare. Non saperlo fare e dichiararlo era una bella provocazione. Naturalmente però esisteva anche una certa contromisura, cioè la passione per la musica. Si poteva mancare di grammatica musicale e non essere dei virtuosi, ma era obbligatoria la passione per esprimersi attraverso essa. Era la condizione dovuta per prendere in mano gli strumenti, produrre rumore e ragliare nei microfoni, come dicevamo allora, proprio perché tutto il mondo accademico della musica era diventato insopportabile, persino la musica rock”. Elio e le Storie Tese, invece, rivendicano con orgoglio che si può essere dei musicisti talentuosi e virtuosi anche suonando rock demenziale. Elio è un fan sfegatato dei Weather Report; Sergio Conforti, in arte RoccoTanica, sa suonare, e molto bene, anche la musica classica e jazz; Davide Civaschi, in arte Cesareo, è tutt’ora uno dei più grandi chitarristi italiani, al punto da permettersi un duetto con Carlos Santana, nel corso di una puntata televisiva del programma “Taratatà”. Insomma, diversi e opposti persino i riferimenti del rock: Elio e compagni si ispirano ai primi album di Frank Zappa, gli Skiantos sono assolutamente hard-punk. Non a caso, all’interno della copertina del loro album “Kinotto”, pubblicano persino una preghiera dedicata alla beatificazione di Patti Smith. (da “Skan-zo-na-ta. La canzone umoristica e satirica italiana da Petrolini a Caparezza” di Roberto Manfredi, Skira, 2016)