La vita di Cavour, grande statista oggi dimenticato, ricostruita dallo storico Denis Mack Smith
Fra un anno o poco più il regista Steven Spielberg comincerà a girare in Italia un film sull’incredibile vicenda di Edgardo Mortara, un bambino ebreo di Bologna che fu rapito dalla polizia pontificia nel 1858 e che fu costretto a subire una “rieducazione” cattolica. Si trattò di uno scandalo che non diede certo lustro all’Italia, ma che ebbe quantomeno il merito di far conoscere al pubblico europeo anche l’esistenza di un movimento culturale e politico italiano che avrà poi come sua più grande conquista, oltre che l’unificazione politica della penisola, addirittura la fine del millenario potere temporale dei papi. Questo variegato movimento si chiamava Risorgimento. Lo scandalo Mortara fece inoltre salire alla ribalta internazionale per la prima volta anche uno scaltro politico italiano, che in quell’occasione giocò sporco sfruttando propagandisticamente lo “scandalo Mortara” per denigrare la Francia, che dello stato pontificio si era eretta a tutore. Si trattava di Cavour.
Oggi la considerazione di cui gode Cavour, e con lui la considerazione di cui gode il Risorgimento, sono ai minimi storici
Ci auguriamo che il film di Spielberg possa riaccendere l’interesse del grande pubblico nei confronti del Risorgimento e nei confronti di Cavour, anche se non ne siamo affatto convinti. Ci ricordiamo infatti la nota osservazione di Benedetto Croce secondo cui “la storia è sempre storia contemporanea”, intendendo con ciò dire che ogni epoca tende a considerare il passato a partire dagli interessi presenti, e che è dunque normale che si susseguano, nel corso delle generazioni, interpretazioni sempre diverse di un determinato periodo storico. Oggi la considerazione di cui gode Cavour, e con lui la considerazione di cui gode il Risorgimento, sono ai minimi storici, anche se, effettivamente, seguendo a ritroso l’intuizione crociana dobbiamo riconoscere che in passato non sempre è stato così.
Se alla fine dell’Ottocento era comprensibile che il sentimento comune considerasse in modo positivo quel periodo e quei protagonisti, tale considerazione positiva continuò – e a lungo – anche nel Novecento.La prima guerra mondiale fu vista per esempio da molti – e non senza una qualche ragione – come l’ultima guerra di indipendenza.
In seguito il fascismo, almeno nelle sue prime manifestazioni, espresse l’esigenza di dover completare l’opera iniziata dal Risorgimento, e Giovanni Gentile mise nero su bianco questo suo concetto nel “Manifesto degli intellettuali fascisti” del 1925.
Gerolamo Induno La Battaglia della Cernaia
In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie.
Anche la Resistenza risentì del fascino e delle suggestioni risorgimentali; pensate per esempio alle Brigate Garibaldi. Inoltre i frutti più importanti della Resistenza, e cioè il suffragio universale, la Repubblica e soprattutto la Costituzione, maturarono all’interno di una ideologia per certi versi ancora risorgimentale. Piero Calamandrei, a questo proposito, pronunciò queste famose parole:
In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane...
E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie... ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini!
O quando io leggo nell’art. 8: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!
O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!
E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani...
La Costituzione nata dell’esperienza della Resistenza sarebbe dunque stata, secondo Calamandrei e secondo una vulgata che poi tutti abbiamo sentito raccontare, il completamento definitivo del Risorgimento.
Dì lì a poco gli ideali del Risorgimento cominciarono però inesorabilmente a declinare.
La politica italiana negli anni immediatamente successivi all’esperienza resistenziale si polarizzò tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. La vicinanza della DC alla Chiesa cattolica e l’adesione del PCI al marxismo resero decisamente indigesta l’accettazione dell’esperienza risorgimentale. Il Risorgimento aveva infatti, da un lato, messo fine al potere temporale dei papi ma, d’altro lato, era stato anche molto lontano dalla lotta di classe, tanto che Gramsci ne aveva parlato come di “rivoluzione mancata”.
Insomma, dopo la Seconda Guerra Mondiale Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Mazzini trovavano ammiratori ed “eredi politici” in partiti e movimenti politici di scarso peso numerico in parlamento: Partito Liberale, Partito Monarchico, Partito Repubblicano e Partito Socialista. Pochissimi intellettuali seppero apprezzare i risultati conseguiti dal Risorgimento, e molti di loro preferirono appiattirsi su ciò che aveva scritto Gramsci, talvolta per mero conformismo.
Le cose andarono peggiorando negli anni 60, quando la giovane generazione di allora eruppe in una furia libertaria che travolse tutte le manifestazioni di retorica, e il Risorgimento – ricco com’era di giuramenti, saluti alla bandiera, idealismi, fedeltà alla Patria, missioni suicide – divenne un bersaglio naturale (un celebre intellettuale arrivò persino a farsi beffe del libro Cuore di De Amicis, che dei valori del Risorgimento era un compendio, nelle pagine in cui il libro invitava al rispetto degli invalidi di guerra).
Successivamente, a partire dalla fine degli anni 70 e soprattutto con il degrado morale verificatosi a partire dagli anni 80 in poi, le conquiste risorgimentali vennero considerate come qualcosa di scontato, di naturale, e i valori civili che avevano animato quel periodo andarono completamente dispersi. Negli anni del riflusso e dell’edonismo una vicenda umana e politica come quella di Mameli divenne impensabile e incomprensibile, tanto che non se ne parlò più.
Benedetto Croce aveva dunque ragione: la storia è sempre storia contemporanea. L’ideologia dei nostri tempi è lontanissima da quella risorgimentale, e per questo semplice motivo il Risorgimento non interessa più.
Addirittura oggi siamo arrivati all’elogio del Brigantaggio, eroico quanto presunto difensore delle libertà meridionali spazzate via dell’esercito piemontese; all’elogio del buon governo borbonico e all’esecrazione di Garibaldi, padre di tutti i mali attuali dell’Italia.
Se non si è salvato neppure Garibaldi, Cavour è proprio caduto nella polvere, e se non vi fossero piazze e strade a lui intitolate, probabilmente oggi il suo nome sarebbe persino sconosciuto ai più.
Se non si è salvato neppure Garibaldi, Cavour è proprio caduto nella polvere, e se non vi fossero piazze e strade a lui intitolate, probabilmente oggi il suo nome sarebbe persino sconosciuto ai più.
Negli anni in cui in Italia le idee e i valori del Risorgimento uscivano di scena, all’estero cominciarono invece ad essere apprezzati. L’idea di una “libera Chiesa in libero Stato” e la sua applicazione pratica era una soluzione che veniva giudicata molto interessante da alcuni intellettuali di paesi a maggioranza musulmana.
Per esempio negli anni 40 il politico siriano Michel Aflaq (1910-1989) fondò un partito che avrete senz’altro sentito nominare: Baath. Sì, è quel Baath lì, quello di Saddam Hussein. Solo che raramente viene ricordato che il termine Baath significa “Risorgimento”, e che questo nome venne scelto proprio come richiamo alla vicenda italiana, al suo forte spirito nazionalista, all’idea che lo stato debba essere laico e all’idea che le gerarchie religiose non debbano essere sovrapponibili alle gerarchie burocratiche, amministrative e politiche di uno stato. Tali idee hanno reso il Baath – che è ancora oggi presente in Siria ed è stato a lungo al governo in Iraq – odiatissimo dagli islamisti radicali.
Gerolamo Induno La presa di Palestro
Veniamo dunque al nostro saggio. Partiamo dall’autore.
Denis Mack Smith è uno storico di 96 anni, una voce autorevole e di solida preparazione, che ha pubblicato studi sulla storia d’Italia e in particolare sul nostro Risorgimento, tra cui una celebre biografia di Garibaldi. È l’autore anche di questo testo che vi propongo di leggere e che si intitola: Cavour: il grande Tessitore dell’Unità d’Italia.
Avverto subito che, per godere appieno del saggio di Denis Mack Smith, è necessario conoscere bene la cronologia degli eventi risorgimentali perché l’autore la dà per scontata e non si perde in riepilogazioni, nemmeno per sommi capi.
Una volta superato questo scoglio, si scoprono però – oltre a curiosità di cui si sa comunque poco, come il tentativo di suicidio di Cavour e le febbri malariche che lo portarono alla morte – anche tante altre cose interessanti.
Cavour, a proposito del quale è stato detto che nessun uomo politico ha mai ottenuto così tanto partendo da tanto poco, fu una figura grande e controversa. Vi do qualche spunto, senza pretese di completezza, ma per farvi assaggiare qualcosa di un pasto che è un po’ pesante da consumare per intero.
La carriera politica di Cavour cominciò tardi, a 37 anni, e durò poco – 13 anni – a causa della sua prematura scomparsa, poco più che cinquantenne.
Figlio di una famiglia nobile di origine franco-elvetica, il suo nome era Camille, e non Camillo come è stato invece italianizzato e come ci è stato sempre presentato. Suo padre era responsabile della Polizia Politica del Regno. Intraprese la carriera militare. A scuola eccelleva in matematica. Da giovane ebbe una fugace simpatia per le idee ultraliberali e giacobine. È possibile che in quegli anni abbia anche conosciuto personalmente Mazzini, ma non è certo.
Abbandonata la carriera militare, cominciò a studiare autonomamente storia, politica, economia e agricoltura, e da autodidatta imparò anche l’inglese.
Per oltre quindici anni gestì l’azienda agricola di famiglia, affinando le sue doti diplomatiche con una trattativa… con i briganti che infestavano le montagne dei dintorni. Viaggiò all’estero per apprendere la gestione di impresa. Visitando gli altri paesi maturò la convinzione che soltanto una serie di ininterrotte concessioni fatte al momento giusto avrebbe portato a una crescita della società.
Con il passare degli anni annacquò le sue idee politiche, che passarono dunque da “quasi radicali” all’apprezzamento del “giusto mezzo”.
Tentò speculazioni finanziarie, sia in Italia sia in Francia, con esiti però sfavorevoli. Ogni tanto non disdegnava di giocare un po’ d’azzardo, e non era dunque il freddo calcolatore che ci è stato tramandato. Fu editorialista e poi direttore del giornale “Il Risorgimento”. Negli anni successivi ricordò che fare il giornalista era stato un eccellente tirocinio politico. Entrò dunque in politica da opinionista politico.
Aveva l’ambizione di trattare la politica come una scienza esatta. Fu un politico assai colto, per i suoi tempi e anche per i modesti standard attuali. Ci sono rimasti i suoi taccuini e i suoi quaderni che riportano una mole immensa di letture. Non amava però la cultura letteraria; preferiva quella scientifica e tecnica. Nella sua biblioteca sono conservate per esempio oltre cinquanta opere di ingegneria.
Era un cattolico non praticante, moderatamente anticlericale, che riconosceva però l’utilità sociale del cattolicesimo. Per ironia della sorte oggi sono tutti concordi nel ritenere che la conquista più importante del Risorgimento (ottenuta però solo anni dopo la morte di Cavour) sia stata proprio l’aver messo fine al potere temporale dei papi.
Credeva inoltre che fosse necessaria una rivolta politica, non una rivoluzione sociale. Se per anni Cavour non apparve come una ardente nazionalista, ciò accadde – secondo Denis Mack Smith – perché l’area del nazionalismo era presidiata dai mazziniani, e Cavour non voleva che ci fossero confusioni tra la loro posizione e la sua.
Prima di diventare Presidente del Consiglio, Cavour fu Ministro dell’Agricoltura, del Commercio e della Marina, poi anche delle Ministro delle Finanze. Ricoprendo tali incarichi dimostrò una capacità di lavoro enorme.
In realtà Cavour tentò di impedire in tutti i modi l’impresa dei mille e poi in qualche modo vi mise sopra cappello.
La ricostruzione che sentiamo fare di solito di un Cavour lungimirante che si servì di Garibaldi per fare l’unità d’Italia, un’idea che aveva in testa da tempo, è falsa. In realtà Cavour tentò di impedire in tutti i modi l’impresa dei mille e poi in qualche modo vi mise sopra cappello.
Il saggio mostra ancora una volta, casomai ce ne fosse bisogno, quanto sia frastagliato e contraddittorio il fatto storico. è forse anche per questo che Mack Smith, nel tentativo di arrivare una sintesi dell’operato di Cavour, deve infine arrendersi all’ossimoro di “rivoluzione conservatrice”.
Denis Mack Smith, Cavour: il grande Tessitore dell’Unità d’Italia, Bompiani, 1984 (pp. 322, 11,00 euro)