I migranti ci mettono a disagio perché toccano i nostri nervi scoperti: precarietà e solitudine del cittadino globale. In video l’intervento integrale del sociologo polacco, a Lecco per presentare il suo nuovo lavoro “Stato di crisi”.
Domenica 20 marzo 2016, all’interno della rassegna “Leggermente”, presso il Teatro della Società di Lecco, Zygmunt Bauman, uno tra i più attenti studiosi delle dinamiche della società contemporanea, è stato invitato a relazionare sull’ultima fatica editoriale “Stato di crisi”, scritta a quattro mani con il sociologo Carlo Bordoni. Dei molti aspetti della crisi attuale che Bauman e Bordoni sottolineano nel loro dialogo letterario, ieri l’intellettuale polacco ha scelto di trattare il tema delle migrazioni che, secondo il suo punto di vista, «è quello che oggi avvertiamo come più urgente da affrontare».
Porta lentamente la sua sagoma alta ed elegante sul palco, si siede e, mentre lo presentano, si guarda attorno con grande curiosità. Tamburella con la mano sinistra sul tavolo, con la destra gioca con una bic gialla. Attende impaziente di poter prendere parola. E' un bell'entusiasmo per un accademico di novant'anni. Ascoltarlo fa bene e non solo perché invita a pensare, è riconciliante: è l'esempio di come riflessione non debba per forza finire in pesantezza e terminologie incomprensibili; parla per esempi, avanza chiaramente, con vivacità.
«A differenza di altre tematiche – esordisce - la crisi umanitaria dei migranti era prevedibile, siamo noi ad aver ignorato a lungo i segnali che pure c’erano: pensiamo a quanto accadeva già diversi anni fa nella vostra piccola Lampedusa. L’Europa non si è preparata e oggi viviamo spiazzati, senza capacità di adeguarci ai cambiamenti e dare risposte. Dovessi scegliere una parola da abbinare alla parola “crisi” oggi sceglierei “sorpresa”».
Siamo “sorpresi” dal cambiamento per due motivi: non ci siamo preparati e, colti all’ultimo istante, abbiamo dato risposte in cui prevalgono irrazionalità e paura
Secondo Bauman siamo “sorpresi” dal cambiamento per due motivi: non ci siamo preparati e, colti all’ultimo istante, abbiamo dato risposte in cui prevalgono irrazionalità e paura. «Sono prevalse le risposte di quelle frange della società che temendo di essere schiacciate dall'invasione hanno risposto dicendo: provo a fare paura agli altri, a chi arriva, provo a farmi spazio. L’idea di costoro è di bloccare queste persone in arrivo, renderle il meno evidenti possibili, arginarle. Facendo paura agli altri combatto la mia paura. A questo movimento coincide l’ascesa di partiti xenofobi di estrema destra, che stanno guadagnando consensi sulla base di queste emozioni negative. Paesi che tradizionalmente sono stati aperti e tolleranti iniziano a vedere crescere movimenti sempre più simili a quello di Le Pen in Francia o Orbán in Ungheria: Germania, Svezia, Danimarca, Paesi Bassi e l’elenco potrebbe essere lungo».
Secondo il sociologo i grandi flussi migratori in arrivo hanno generato anche un cambiamento nella percezione generale e oggi al termine “sicurezza” gli europei tendono sempre più ad associare questioni di ordine pubblico: la presenza di militari, di polizia, di sistemi di sorveglianza. La società europea chiede questo tipo di risposte securitarie ai governi, non comprendendo ciò che veramente li fa sentire a disagio.
«Spesso abbiamo punito i messaggeri per il contenuto del messaggio, senza interrogarci e capire il senso di quel messaggio. Dopo le stragi di Parigi la risposta di Hollande è stata “dichiaro lo stato di emergenza per la Francia, dobbiamo essere certi che nessun altro venga a commettere qui quanto è successo negli attentati degli scorsi giorni”. Dopo quelle dichiarazioni Hollande è risalito nei sondaggi, imbarcando molti dei francesi che erano scesi dalla sua nave».
Come mai? Si chiede Bauman. «Queste dichiarazioni hanno duplice valenza perché cercano di rispondere a due richieste, una esplicita e una implicita. Quella esplicita: la popolazione vuole più sicurezza e i governi rispondono facendo il pugno di ferro. Il lato nascosto è invece più profondo: la sicurezza esistenziale, quella che cerco nella mia vita e che, nell’epoca della globalizzazione, i governi non sono più in grado di garantirmi. I fenomeni trasnazionali che oggi ci avvolgono non hanno redini o reti che possano contenerli, superano i confini e gli strumenti dello stato-nazione. Vi faccio un esempio: quando io avevo la vostra età media la piena occupazione era un dato di fatto in Europa. Oggi non lo è più. E questo genera un’inquietudine che pervade tutta la società. Posso perdere il lavoro da un giorno all’altro e niente più mi può dare garanzie. Le multinazionali spostano velocemente le loro sedi e i loro affari, c’è una enorme competizione su scala globale, i sindacati non riescono più a rappresentare una società polverizzata, i partiti non danno risposte concrete e io mi trovo solo davanti a tutto questo».
Nel corso della sua presentazione Bauman ricorda il sociologo tedesco Ulrich Beck, scomparso pochi mesi fa, proprio lui riassunse brillantemente cosa significa vivere la globalizzazione sulla propria pelle: “trovare soluzioni biografiche a contraddizioni sistemiche”, cavarsela da sé insomma.
Ieri la classe media era composta di persone che, bene o male, nella vita ce l’avrebbero comunque fatta. Le classi medie di oggi sono le classi dei precari.
«Che connessioni ci sono tra questa insicurezza esistenziale e i fenomeni migratori? – si chiede Bauman . Chi ha lasciato l’Africa o il Medioriente, lo ha fatto lasciando tutto, arrivando in paesi che nemmeno conosce, non ha potuto fare calcoli. Ci fa paura accogliere queste persone perché sono grandi punti di domanda per noi. Questa è una sfida di comprensione che interessa soprattutto la classe media. Ed ecco il punto di connessione: la classe media di oggi non è quella di ieri. Ieri la classe media era composta di persone che bene o male, la dico in sintesi, nella vita ce l’avrebbero comunque fatta. Le classi medie di oggi sono le classi dei precari. Questa generazione condivide l’incertezza totale, un’incertezza che riempie ogni spazio della nostra vita. Una vita al buio, al piano interrato. C’è chi scappa, chi guarda e sta in silenzio. I precari non sono assolutamente in grado di fare previsioni e senza previsioni può esserci una vita dignitosa? L’elemento che accomuna migranti e precari è la paura, l’assenza di possibilità di pianificazione».
Per Bauman l’attuale clima sociale promuove l’individualismo, la competizione e la diffidenza, quando le migliori risposte davanti alla crisi sarebbero di segno opposto: solidarietà e senso di responsabilità nei confronti dell’Altro. «La sicurezza è un sentimento che si crea e si rinforza nell’idea di vivere dentro un orizzonte comune».
«Papa Francesco ha parlato di globalizzazione dell’indifferenza. Sono d’accordo con lui, siamo sempre più indifferenti, alle immagini, alle storie, voltiamo la testa, diciamo “non è affare mio”. E così rendiamo sempre più profondi i problemi, peggioriamo».
Sollecitato dal pubblico circa gli scenari futuri, risponde con una battuta: «Nessuno può dire cosa succederà, perché la società è sempre più complessa e davanti non abbiamo un solo bivio, ma una serie di decisioni molto delicate da compiere. Quando mi chiedete del futuro mi piace citare il grande Gramsci: a breve termine sono pessimista, ma voglio rimanere ottimista nel lungo periodo!».