20160301 cultura

L'inversione di tendenza è iniziata: nel 2015 i fondi per la cultura dopo lustri di tagli sono aumentati del 27%. Come renderla strutturale?

Certificato, numeri alla mano, che un’inversione di tendenza netta sulle risorse destinate dallo Stato alla Cultura c'è stato e che ci sono più risorse, la prima domanda da farsi è: era facile che succedesse?

Era facile perché era incredibile il taglio che c’era stato prima, quindi rispetto alla situazione precedente  invertire la tendenza e aggiungere risorse era matematicamente facile.

Ma era difficile perché le risorse sono state tagliate in un momento di crescita di bilancio, adesso vengono aggiunte in un momento di tagli. Siamo quindi di fronte a una scelta politica chiara. C’è un’inversione di tendenza, ci sono più risorse, ma non sono ancora stabilizzate.

Non è una situazione specifica che riguarda questo settore e dietro questo non c’è una volontà politica, ma è sicuramente uno dei temi su cui bisogna intervenire.

Un dibattito dove i cittadini si riappropriano della titolarità rispetto alla discussione sul ruolo della cultura.

L’alleanza che dobbiamo realizzare noi oggi è che l'occasione legislativa di un testo unico per lo spettacolo dal vivo diventi occasione di un dibattito politico, un dibattito dove i cittadini - e i cittadini interessati in particolare - si riappropriano della titolarità rispetto alla discussione sul ruolo della cultura. Perché questo è il nodo: la cultura è ancora troppo marginale nel dibattito pubblico di questo Paese. È marginale in termini assoluti ed è marginale rispetto alla rilevanza che a mio parere dovrebbe avere. La cultura è il punto di partenza di una democrazia perché non esiste una democrazia senza cultura. La democrazia è l’utopia che ogni cittadino possa scegliere i suoi rappresentanti. Se uno non ha gli strumenti culturali, non li può scegliere i suoi rappresentanti. E quindi il motivo vero per cui si fa cultura, prima di tutto il resto, non è per stare bene, per intrattenersi, per passare del tempo bello, per fare delle cose interessanti, il motivo vero fondamentale e originale è la democrazia. Il teatro in Grecia era uno strumento di democrazia e la democrazia nasce lì nello stesso luogo dove nasce il teatro. Nell’ordine dei fattori, la cultura è troppo poco rilevante rispetto a quello che dovrebbe essere nel dibattito pubblico, dentro la cultura lo spettacolo dal vivo è troppo poco rilevante e c’è in Italia un peso eccessivo di attenzione anche economica su tutto quello che è il patrimonio. Dentro le attività culturali, lo spettacolo dal vivo è meno rilevante di altri, e dentro lo spettacolo dal vivo il teatro arriva per ultimo. Perché quando uno parla di spettacolo dal vivo e ne parla come ha fatto ad esempio, con grande merito, il Comune di Milano con lo sportello unico, che è un passo avanti fondamentale rispetto ad alcuni degli obiettivi che c’eravamo dati, ha in mente la musica e i concerti, non ha in mente il teatro.

Il teatro non ce l’ha quasi mai in mente nessuno. 

Il teatro non ce l’ha quasi mai in mente nessuno. Mi piacerebbe poi discutere del valore della discrezionalità nella cultura. Perché questo è un tempo in cui ci siamo tutti innamorati troppo dell’oggettività, ma l’oggettività ha tanti difetti in generale e nella cultura ne ha tantissimi. Io credo che se ci fosse qui Paolo Grassi e gli dicessimo che dobbiamo misurare tutto con dei criteri oggettivi, ce le direbbe dietro perché nella cultura ci vuole anche una componente forte di discrezionalità e di responsabilità rispetto alle scelte discrezionali. Per cui se quando ho fatto l’assessore alle politiche culturali ho fatto delle cose sbagliate, i miei cittadini lo devono sapere, devono giudicarmi e devono cacciarmi via. Ma io devo essere responsabile. Non posso dire: ho fatto l’assessore, abbiamo finanziato alcune cose ma non l’ho deciso io, l’hanno deciso i tecnici o i parametri. E in questo senso il valore della politica per la cultura è fondamentale. Perché i tecnici bravi e competenti in questo settore ci vogliono, ma devono fare i tecnici, che è una cosa fondamentale che arriva subito dopo. Ma c’è un punto di responsabilità che o se lo prende la politica mettendoci la faccia e dicendo "per me questo è importante e questo no", oppure non si risolve il problema.

Ma c’è un punto di responsabilità che o se lo prende la politica mettendoci la faccia e dicendo "per me questo è importante e questo no"

In un momento di straordinaria sfiducia nella politica - comprensibile, motivata e con mille ragioni e con mille responsabilità della politica - se crediamo tutti che la cultura sia prioritaria, dobbiamo creare le condizioni perché abbia il peso che le spetta nel dibattito politico.

Vanno rimessi in ordine i fattori per cui è importante la cultura. Il secondo è quello economico, perché è vero che gli investimenti culturali sono fondamentali per una crescita anche economica per far ripartire il Paese anche sul piano economico e perché la cultura non è nemica dell’economia ma anzi ne è amica.

Ma non è questo il motivo principale, il principale è di natura civile: l’investimento culturale è qualcosa che interviene nelle menti è ha una serie di ricadute positive su tutto il resto. Se io devo dire qual è la priorità delle politiche sociali, io dico che è la cultura. Perché se ho delle persone che hanno strumenti culturali capiscono l’importanza di occuparsi di chi ha più bisogno. Altrimenti ho un approccio alle politiche sociali di natura tecnicista. Se devo dire qual è la priorità delle politiche ambientali, dico che è la cultura perché la comprensione del valore di quello che ci circonda viene data dagli elementi culturali. Lo stesso vale per le politiche dell'innovazione. In questo senso è necessario cambiare la tendenza prioritaria del Paese. Cioè fare in modo che la percezione diffusa sia quella di mettere più risorse sulla cultura. Cioè dobbiamo lavorare, giustamente, sui rappresentanti, ma noi dobbiamo rappresentare i rappresentati quindi è su di loro che dobbiamo lavorare.

Io penso che a teatro ci debbano andare tutti e che noi ci dobbiamo porre il problema di come fare perché ci vadano tutti. Dobbiamo invertire il meccanismo altrimenti avremo delle persone generose, appassionate, illuminate, che difendono un principio, che sostengono la cultura per loro convinzione,  ma non ci baseremo su quello che deve essere veramente una democrazia e cioè che le scelte hanno dietro la forza e la convinzione almeno della parte maggioritaria delle persone.

Gli autori di Vorrei
Roberto Rampi
Roberto Rampi

Roberto Rampi ha iniziato la sua attività culturale con l'associazione giovanile Fonendoscopio, organizzando per otto anni concerti, eventi e manifestazioni. Ne ha fatto un professione lavorando nel managment musicale, tra gli altri con Roberto Vecchioni e Eugenio Finardi, e nella comunicazione e valorizzazione dei beni culturali. Si è occupato di comunicazione istituzionale e politica. È studioso e appassionato di filosofia ermeneutica. Oggi in commissione cultura alla Camera dei Deputati per il Partito Democratico, è stato prima consigliere comunale, poi vicesindaco e assessore alle politiche culturali, partecipazione e politiche giovanili del Comune di Vimercate. È presidente del Sistema Bibliotecario Vimercatese. Per quattro anni è stato membro della segreteria regionale del PD Lombardo e prima di quella provinciale di Milano, poi di Monza e Brianza.

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